Le visite in Italia di alte personalità politiche della Repubblica Popolare Cinese non sono una novità. Pur senza voler rievocare la lunga storia dei rapporti commerciali tra l’Italia e la Cina, la storia più recente vede i due paesi legati a doppio filo da circa quarant’anni. Nell’aprile del 1978 l’allora Comunità Economica Europea firmava il suo primo accordo con la Repubblica Popolare Cinese. Dopo pochi mesi l’Italia concludeva un proprio accordo culturale con la Cina.
Dopo le visite di Hua Guofeng nel 1979 e di Zhao Ziyang nel 1984, proprio nel 1987 Li Xiannian – allora membro del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese – si recava in visita a Venezia, dove ammirava la casa di Marco Polo. La visita era compiuta in concomitanza con l’entrata in vigore del trattato bilaterale di investimento tra Italia e Cina (BIT) concluso due anni prima. A questa visita avrebbero fatto seguito le visite di Jiang Zemin e Hu Jintao – entrambi segretari generali del Partito, nonché Presidenti della Repubblica Popolare Cinese – che vedevano la conclusione di una serie di accordi volti a incrementare il commercio e gli investimenti tra i due paesi.
Nondimeno le visite di Li Xiannian, Jiang Zemin e Hu Jintao non hanno suscitato tanto scalpore quanto è stato, invece, per la visita del Presidente Xi Jinping, tenutasi a Roma e a Palermo dal 21 al 26 marzo scorso. La visita di Xi ha attratto una quantità e varietà di commenti, editoriali, interviste, analisi e pezzi di opinione senza precedenti.
L’occasione immediata per la nascita di un dibattito pubblico sui rapporti tra Italia e Cina è stata fornita dall’ingresso formale del nostro paese nella Nuova Via della Seta, sancito dalla firma di un Memorandum di Intesa.
Presentare un quadro puntuale di ciascuna delle opinioni e delle analisi sull’adesione dell’Italia alla One Road one Belt (OBOR) è impresa ardua, e non è questa l’occasione per farlo. Ma non sembra esagerato affermare che sulla firma del Memorandum di Intesa si è scatenata una vera e propria querelle.
Alle posizioni di quanti hanno sottolineato gli aspetti obiettivamente vantaggiosi dell’adesione italiana alla Nuova Via della Seta sono stati contrapposti timori, scetticismi e incertezze. Più importante delle specifiche posizioni espresse nel corso del dibattito è stato l’emergere di orientamenti divergenti. Definire questi orientamenti sulla base delle categorie “pro-Cina” o “anti-Cina” non è corretto in un panorama socio-politico come quello italiano, ove l’esistenza di opinioni talvolta speculari non gioca la stessa funzione riscontrabile in altri contesti socio-politici.
Le opinioni e le vedute più ottimiste hanno posto in risalto come l’adesione dell’Italia alla Nuova Via della Seta aprirà ulteriormente il secondo mercato più grande del mondo all’export italiano, fornendo anche l’occasione di nuovi scambi accademici, culturali e artistici. Le posizioni maggiormente scettiche hanno paventato timori di squilibri nella bilancia commerciale, di un potenziale ed eccessivo indebitamento dell’Italia nei confronti della Cina, nonché di interferenze nella governance domestica. Alcuni settori dell’opinione pubblica hanno espresso delusione per la marginalità del ruolo di alcune regioni del Meridione d’Italia nel quadro degli accordi e delle trattative concluse con Pechino.
Nel complesso, il dibattito ha posto in risalto fattori di rilevanza strettamente domestica e attivi sul breve periodo. Di volta in volta la discussione pubblica sulla Nuova Via della Seta si è concentrata su sé stessa, subendo brusche virate, prima di focalizzarsi sull’attimo in cui i due Presidenti avrebbero apposto le proprie firme in calce al Memorandum di Intesa. Senza osare uno sguardo molto in là nel futuro, né voltarsi indietro verso il passato.
Queste sono solo alcune caratteristiche di un dibattito obiettivamente molto articolato e complesso, che meriterebbe uno studio attento. Le particolarità della querelle sulla Nuova Via della Seta però non vanno confuse con la strategia del “sistema Italia” verso la Cina.
Per la Repubblica Popolare cinese la Nuova Via della Seta è una politica di respiro globale, che si gioca sul lungo periodo. Rispetto alla Nuova Via della Seta, l’Italia si muove su di un piano multilaterale, entro una prospettiva di lungo periodo.
La Via della Seta prima della Via della Seta
L’adesione dell’Italia alla Nuova Via della Seta si è sommata agli storici rapporti di cooperazione con i partner Europei e di Oltreoceano. Allo stesso modo, la firma del Memorandum di Intesa va collocata in un tessuto di rapporti commerciali, politici e culturali, pazientemente ordito dal nostro paese fin dagli anni ‘70. La firma del Memorandum di Intesa appare come un passo coerente con uno dei percorsi che l’Italia scelse di intraprendere quarant’anni fa, cui hanno contribuito tutti i governi succedutisi dal 1978, seppur in misura e con orientamenti diversi.
Tra la fine degli anni ‘70 e i primissimi anni ‘80 lo scetticismo circa la continuità e il potenziale della Politica di Apertura e Riforma (gaige kaifang 改革开放) erano molto diffusi. L’incredulità nei confronti delle riforme lanciate da Deng Xiaoping era causata dai bruschi cambiamenti di direzione che la politica interna cinese aveva subito fin dal 1949. A scommettere sul reciproco potenziale dei rapporti con la Cina erano in pochi. L’Italia scelse di riconoscere la Repubblica Popolare Cinese nel 1970, alla vigilia di quel riavvicinamento sino-americano che avrebbe permesso di lì a poco alla Cina di entrare nelle Nazioni Unite. Già negli anni seguenti si erano sviluppati contatti per scambi commerciali e culturali. Nel 1978 il quarto governo Andreotti aveva scelto di avviare rapporti di collaborazione scientifica, tecnica e culturale tra i due paesi. Due anni dopo, nel 1980, il nostro Presidente Sandro Pertini si recava in visita ufficiale a Pechino, dove incontrava Deng Xiaoping.
In continuità con il passato
L’avvio dei rapporti di collaborazione tra Italia e Cina ha, giorno dopo giorno, prodotto cambiamenti nelle nostre città, che gli sguardi più acuti non hanno mancato di notare. Il grande pubblico ha acquisito consapevolezza del ruolo della Cina solo negli ultimi anni, quando l’intensificazione dei flussi di investimento, commerciali e turistici ha dato al cambiamento dimensioni maggiormente visibili.
Ma già trent’anni fa, sia nelle città del Nord che nei capoluoghi del Sud, chi conduceva attività produttive, commerciali, o forniva consulenze professionali era consapevole del ruolo che la Cina si apprestava a svolgere. Né poteva dirsi all’oscuro degli eventi talvolta tragici che hanno punteggiato la storia più recente della Repubblica Popolare.
Cos’è cambiato, dunque, con l’ingresso dell’Italia nella Nuova Via della Seta?
Il Memorandum di Intesa non ha un valore giuridicamente vincolante. La firma del Memorandum si rivela piuttosto come l’atto posto a chiosa, e a continuazione, di una fittissima serie di accordi vincolanti, che il nostro paese ha concluso con la Cina fin da prima del lancio dell’iniziativa della Nuova Via della Seta.
Anche qui, la continuità sul lungo periodo è innegabile. L’Iniziativa della Nuova Via della Seta è stata annunciata nel 2013 dal Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping durante una visita ufficiale in Kazakistan. In poco meno di cinque anni, l’iniziativa ha visto l’adesione di circa 68 paesi e territori. Ma, ancor prima che l’Italia compisse l’atto formale di adesione alla Nuova Via della Seta, tra i due paesi esisteva un trattato bilaterale di investimento.
Il trattato è stato stipulato nel 1985, ed è entrato in vigore nel 1987. Il trattato è il vero fondamento dell’adesione dell’Italia alla Nuova Via della Seta. In assenza del trattato, il nostro paese non avrebbe potuto godere dello scambio commerciale, accademico, culturale e artistico con la Cina. La firma di un trattato bilaterale di investimento nel 1985 non ha precluso l’esistenza di rapporti tra l’Italia e altri paesi. Il trattato del 1985, infatti, è solo uno tra i 179 trattati bilaterali o multilaterali di investimento e/o libero scambio stipulati dall’Italia, o di cui l’Italia è parte in qualità di Membro dell’Unione Europea.
I trattati bilaterali di investimento e di libero scambio hanno l’effetto concreto di “eliminare” qualsiasi tipo di frontiera, muro, limite o confine tra due paesi. Permettono alle aziende di entrambi i paesi di commerciare e di investire liberamente nei reciproci territori, ricevendo parità di trattamento. La finalità del trattato del 1987 infatti è incoraggiare, promuovere, e proteggere gli investimenti delle aziende cinesi in Italia, e delle aziende italiane in Cina. Il trattato del 1987 stabilisce la piena uguaglianza di trattamento degli imprenditori italiani e cinesi, siano essi imprenditori privati, fondi di investimento della Repubblica Popolare Cinese, o anche imprese multinazionali di proprietà privata o dello Stato.
Quindi, con il trattato l’Italia si è impegnata a trattare gli investitori individuali o le imprese cinesi che intendono investire in Italia allo stesso modo degli investitori individuali o le imprese italiane, applicando le medesime norme di legge tanto ai soggetti cinesi quanto ai soggetti italiani. La Cina ha assunto un impegno analogo riguardo gli investitori italiani, impegnandosi a trattare gli investitori e le imprese italiane secondo le norme di legge vigenti per gli investitori e le imprese cinesi.
Il trattato, e la successiva adesione alla Nuova Via della Seta, non pregiudicano la protezione dei settori considerati strategici per l’economia nazionale italiana, e per quella cinese. In ogni caso, l’Italia mantiene il potere sovrano di poter decidere, in piena libertà, come proteggere i settori realmente strategici per la nostra sicurezza nazionale. A dimostrazione di ciò, proprio durante la visita di Xi Jinping il Presidente Mattarella firmava un decreto che aumentava i poteri di salvaguardia da utilizzare a difesa di asset strategici per l’interesse nazionale.
Italia e Cina: partner strategici dal 2004
L’esistenza di rapporti di investimento che vanno avanti dal 1987 ha permesso la formazione di un partenariato strategico tra Italia e Cina. Il partenariato è stato concluso nel 2004, nove anni prima che il Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping lanciasse l’iniziativa della Nuova Via della Seta.
Lo strumento principale del partenariato strategico è il Comitato Governativo Italia-Cina. Il Comitato è presieduto dai Ministri degli Esteri del governo italiano e cinese, e ha finora tenuto ben nove riunioni. Il Partenariato Strategico è solo uno degli strumenti che l’Italia può scegliere di utilizzare per portare un contributo nazionale alla Nuova Via della Seta. Infatti, in seno al Comitato è possibile avviare tutta una serie di piani e programmi di cooperazione, coerenti con gli obiettivi della Nuova Via della Seta. L’Italia ha utilizzato queste opportunità. A titolo di esempio, cito solo alcuni degli accordi e dei piani finora varati dal Comitato:
il Piano d’Azione per il rafforzamento della cooperazione economica, commerciale, culturale e scientifico-tecnologica tra Italia e Cina 2017-2020;,il Programma Esecutivo di Cooperazione Scientifica e Tecnologica tra Italia e Cina 2016 – 2018;la Strategia Italiana in Cina per la Scienza e la Tecnologia; i finanziamenti alla ricerca collaborativa nel quadro del Protocollo di Intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e la Federazione Nazionale Cinese per le Scienze Naturali (NSCF).
Fin dal 2004, il Partenariato Strategico ha anticipato alcune delle tematiche che sarebbero balzate agli occhi del grande pubblico solo nel marzo del 2019.In primo luogo, il nostro paese ha preso l’impegno di coordinare le proprie politiche di governo con le politiche del governo cinese già 15 anni fa. Il coordinamento coinvolge i settori aeronautico e aerospaziale, infrastrutturale e dei trasporti, dell’energia, dell’agricoltura, della sanità, della tutela ambientale, dell’informazione, e dell’innovazione. In secondo luogo, l’impegno dell’Italia a rimuovere le barriere tariffarie e non tariffarie agli investimenti diretti cinesi in Italia, e all’importazione di merci cinesi ha ormai tre lustri.
In terzo luogo, la scelta del nostro paese di intensificare la cooperazione per la realizzazione di una rete di trasporto trans-europea (TEN-T), e incrementare i flussi turistici in ingresso, gli scambi culturali e scientifici, e i trasferimenti di tecnologia è stata compiuta ben prima del marzo 2019. Compiere una scelta non necessariamente implica la sua attuazione concreta, ma pone le fondamenta per una futura azione.
Le istituzioni finanziarie internazionali lungo la Nuova Via della Seta
Realizzare la visione della Nuova Via della Seta richiede ingenti risorse finanziarie. Per reperire i capitali necessari ad attuare i progetti infrastrutturali, ma anche le iniziative volte a favorire una più stretta integrazione tra popoli, Pechino ha creato tre nuove istituzioni finanziarie internazionali: il Fondo per la Via della Seta, la Banca Asiatica per gli Investimenti in Infrastrutture e il Consorzio Interbancario dell’Associazione per la Cooperazione di Shanghai.
Di queste istituzioni, e del ruolo che l’Italia gioca in esse, si è parlato poco durante la querellesul Memorandum di Intesa.
L’Italia non partecipa al Fondo per la Via della Seta, poiché questo fondo di investimento è controllato interamente dalla Repubblica Popolare Cinese. Né il nostro paese è coinvolto nell’Associazione per la Cooperazione di Shanghai, poiché la cosiddetta SCO è un’organizzazione regionale, che comprende laCina, il Kazakistan, il Kirghizistan, la Russia, il Tajikistan, l’Uzbekistan, il Pakistan e l’India. Il suo Consorzio Interbancario è un’organizzazione nata per finanziare i progetti infrastrutturali realizzati dagli stati membri.
Invece, l’Italia è tra i membri della Banca Asiatica per gli Investimenti in Infrastrutture (BAII). La BAII è un’istituzione finanziaria multilaterale con sede a Pechino, composta da 68 Stati membri effettivi, e fondata nel gennaio del 2016. Si tratta di un’istituzione che finanzia progetti solo nei settori rurali, dell’energia, della protezione ambientale, dei trasporti e delle telecomunicazioni, delle risorse idriche, dello sviluppo urbano e della logistica.
Essa è partner della Banca Mondiale, e ha concluso accordi di cooperazione con istituzioni bancarie regionali nei continenti asiatico, africano, americano ed europeo. Quindi è un’istituzione finanziaria internazionale profondamente inserita nel sistema della finanza globale, e tenuta a giocare in base alla regolamentazione internazionale.
Cosa meno nota al grande pubblico, la maggior parte dei finanziamenti della BAII è rivolta ai progetti infrastrutturali realizzati nei Paesi asiatici. Solo il 15% può essere investito in progetti aventi luogo in Europa. Anche su questo tipo di investimenti esistono regole precise, che vogliono che i progetti infrastrutturali agevolino il commercio e la connettività con i Paesi asiatici, ad esempio mediante la costruzione di porti, impianti elettrici, gasdotti, oleodotti, ecc.
La BAII è governata da uno Statuto autonomo (Articles of Agreement) e da un quadro normativo interno. Lo Statuto è un trattato internazionale, che consente alla BAII di operare nel quadro del diritto internazionale, ma anche delle norme di soft law. Il quadro normativo interno della BAII è in gran parte pubblico.
Il nostro paese è diventato membro della BAII nel 2016, tre anni prima della firma del Memorandum di Intesa. Il versamento dei contribuenti italiani alla BAII ammonta a una quota in conto capitale per 2.571.800.000 dollari statunitensi. Questa quota di capitale però è stata effettivamente versata solo per il suo 20%,1) benché per il periodo 2016–2019 fosse stato previsto un onere complessivo di 515 milioni.
L’Italia ha acquisito solo il 2,50% dei voti presso il Consiglio di Amministrazione della BAII. Questa quota di voti è inferiore alle quote detenute dalla Germania (4,19%), Francia (3,21%), ma superiore alle quote detenute dagli altri membri dell’Unione Europea. La maggioranza dei voti presso la BAII è detenuto dalla Cina, con il 26,58%. In seconda posizione si colloca l’India, con il 7,63%, e in terza la Russia, con il 6,01% dei voti.
Il nostro paese può ottenere solo il 15 % del totale dei finanziamenti concessi dalla BAII. Questi fondi però sono da dividere con gli altri 23 membri Europei della BAII, così come deciso in base al potere di voto dei singoli Stati. Eventuali finanziamenti ottenuti dalla BAII devono essere utilizzati dalle imprese del nostro Paese per compiere investimenti infrastrutturali in Asia. Gli investimenti in Europa sono possibili solo se agevolano il commercio con altri paesi della Nuova Via della Seta, o se migliorano i collegamenti tra le rispettive infrastrutture fisiche e digitali.
Date le quote possedute dall’Italia, e le condizioni a cui possono essere concessi prestiti, la tanto paventata “trappola del debito” sembra essere molto lontana.
Conclusione: Dati, dati, dati
I timori del grande pubblico, però, non si sono concentrati sugli investimenti diretti cinesi e sui meccanismi finanziari della Nuova Via della Seta – tematiche oscure ai più. Gli scenari più pessimisti sollevati dal grande pubblico hanno paventato, analogamente ad alcune delle vedute espresse durante il dibattito domestico, un forte disavanzo delle esportazioni italiane verso la Cina.
Avere dati precisi circa i flussi di import-export tra Italia e Cina è piuttosto complesso, ma è certo che l’Italia importi dalla Cina più di quanto le nostre imprese non riescano a vendere nel gigante asiatico. O almeno tale era lo stato di cose fino a prima della firma del Memorandum di Intesa. Da mettere in conto è l’esistenza di differenze obiettive tra le dimensioni del sistema economico italiano, e quelle dell’economia cinese, ormai seconda economia del mondo.
In mancanza di dati accessibili al pubblico, completi, disaggregati per anno, regione e comparto dell’economia, un’analisi esaustiva dei flussi di investimento e di import-export non è possibile. Né è possibile formulare previsioni attendibili sull’andamento futuro dei flussi di investimento. Però è pur sempre possibile prevedere un’ulteriore intensificazione e una crescita dei rapporti instaurati 40 anni fa, nonché dei benefici che il “sistema Italia” continuerà a godere.
In definitiva, la via che ha condotto alla firma del Memorandum di Intesa è stato costruita nel tempo, passo dopo passo, da tutti gli uomini e le donne che hanno fatto la storia delle relazioni tra Italia e Cina. Se il Memorandum di Intesa invia un segnale univoco, esso indica la volontà del nostro Paese, e della Cina, di proseguire nelle relazioni che ormai mantengono da quarant’anni.
Di Flora Sapio*
**Sinosfere è una rivista che si occupa di cultura cinese, intesa come l’universo molteplice e mutevole delle rappresentazioni che, viaggiando storicamente nel tempo e nello spazio, hanno variamente influenzato i particolari modi di vedere, di parlare e di sentire che informano la vita delle società cinese odierne. Creata da un gruppo di studi di storia e cultura cinese, Sinosfere vuole essere – come meglio si chiarisce in altro luogo – una piattaforma volta a esplorare e una discussione sulle dinamiche socio-culturali cinesi indagando su una logica peculiare che il governano.