Quello che di Blade Runner si ricorda sono gli schermi giganti, la pioggia e il sinistro bagliore della fortezza della Tyrell Corporation. Ma ciò che il film racconta – la sopraggiunta invivibilità della terra – è annunciato dagli animali artificiali: gufi, serpenti ed esseri umani.
Lo scorso 19 marzo i ricercatori dello Scripps Research Institute hanno definitivamente fugato qualsiasi dubbio sull’origine “naturale” del virus.
Il 19 marzo è anche il giorno in cui nella zona di Wuhan, per la prima volta dopo mesi, non sono stati rilevati nuovi contagi da virus Sars-CoV-2, anche se, come riporta la corrispondente del Guardian il 23 marzo, molti in Cina e fuori dubitano che questo azzeramento sia effettivo, suggerendo che le priorità economiche stiano accelerando in modo piuttosto spregiudicato il ritorno alla normalità.
Non c’è momento migliore di questo per fare un bilancio di quello che è successo e mettere in guardia, nel nostro piccolo, dalle dannose rimozioni della propaganda.
Risalgono al 31 dicembre 2019 i primi rapporti giunti alla sede cinese del WHO (World Health Organization) su un virus sconosciuto dietro i casi di polmonite che si stavano manifestando nella città di Wuhan, provincia dello Hubei. Il suo genoma è risultato essere compatibile al 96% con quello dei coronavirus riscontrati nei pipistrelli e, secondo uno studio non-ufficiale, al 99% con quello dei pangolini, animali che, tra i tanti altri, si potevano incontrare e acquistare nel mercato ittico di Wuhan – il Huanan Seafood Wholesale Market, nel distretto di Jianhan. Al mercato di Huanan, chiuso il primo gennaio per ispezione sanitaria e disinfezione, sono stati collegati due terzi dei quarantuno ricoverati per polmonite collegata al virus Sars-CoV-2. È da lì che si pensa possa essere stato innescato il contagio, anche se alcuni casi antecedenti farebbero pensare a un’altra origine cui difficilmente si potrà risalire.
Questo il dato e questa la notizia – l’unica cosa che negli ultimi mesi ha viaggiato velocemente quanto se non più del virus. Se l’ipercitato Marshall McLuhan diceva “il medium è il messaggio”, in questo caso possiamo dire che la malattia è la notizia. Almeno in Cina.
Il 3 marzo Citizen Lab, un’organizzazione canadese che studia la censura su Internet, pubblica una ricerca dettagliata sulla gestione del Coronavirus sui social media cinesi. Vale la pena leggere lo studio per intero, ma qui possiamo riportare alcuni dati significativi: YY, una piattaforma cinese di live streaming, il 31 dicembre 2019 ha iniziato a censurare parole-chiave correlate all’epidemia di Coronavirus, un giorno dopo che un gruppo di otto medici aveva cercato di mettere in guardia su WeChat dal virus ancora sconosciuto. Lo stesso WeChat ha censurato a tappeto i contenuti relativi al virus (comprese informazioni di parte e neutrali) e ha ampliato il raggio della censura nel febbraio 2020. La lista di parole censurate include: “non-nota polmonite di Wuhan (武漢不明肺炎), “SARS sconosciuta” (不明沙市), “variante SARS”(沙市變異), “laboratorio di ricerca virus P4” (P4病毒實驗室), “Mercato ittico di Wuhan” (武漢海鮮市場) e “Wuhan censura l’epidemia” (武漢封禁疫情).
Dato che tutti i social media cinesi sono obbligati a seguire le direttive delle autorità di propaganda e cyber-amministrazione, lo studio mostra come Pechino fosse a conoscenza dell’epidemia già dallo scorso dicembre, ma che invece di informare gli utenti abbia vietato la diffusione di notizie. Lo stesso giorno della stretta alla censura, gli otto medici che avevano reso note le loro idee su WeChat sono stati arrestati (e rilasciati dopo ammissione di colpa) con l’accusa di diffondere falsità. Li Wenliang, oftalmologo di trentaquattro anni deceduto il 7 febbraio, era tra questi.
Molti meccanismi di censura sono generici e agiscono bloccando in modo indifferenziato i messaggi che comprendono nomi collegati al virus o relative fonti d’informazione (alcune delle quali potenzialmente vitali per la prevenzione della malattia), ma per l’occasione WeChat sembra aver adottato un sistema più sofisticato, basato non semplicemente sul consueto blocco tout court di termini sensibili – 敏感字 mingan zi – come “4 giugno” e “Piazza Tian’anmen”, ma sul ricorso a un’intelligenza artificiale in grado di contestualizzare semanticamente parole e le combinazioni di parole all’interno di un testo. Dal 1 gennaio al 15 febbraio sono state bloccate almeno 516 combinazioni di parole-chiave. Come riportato nella ricerca di Citizen Lab, “le combinazioni di parole chiave censurate correlate alla COVID-19 coprono una vasta gamma di argomenti, tra cui discussioni sulla risposta dei leader nazionali allo scoppio dell’epidemia, riferimenti critici e neutrali alle politiche del governo sulla gestione dell’epidemia, misure adottate a Hong Kong, Taiwan e Macao, speculazioni e dati fattuali sulla malattia, riferimenti al Dottor Li Wenliang e a iniziative collettive”.
Delle altre sette persone arrestate insieme a Li non si hanno più notizie. Su Weibo il topic ha registrato un miliardo e mezzo di visualizzazioni, e a poche ore dalla morte del medico, le principali piattaforme social cinesi sono state inondate da messaggi che insieme al cordoglio esprimevano rabbia e indignazione nei confronti delle autorità locali, quelle che per prime hanno ignorato o quantomeno sottostimato il pericolo.
In questo come in altri casi la distinzione tra “locale” e “centrale”, spesso usata come un paravento, ha permesso a Pechino di scaricare buona parte delle responsabilità e inviare commissari speciali per avviare un’indagine disciplinare nei confronti degli accusatori di Li. Nel frattempo, la solerte cyber-polizia cinese provvedeva a eliminare i post e tutte le parole “sensibili”. “Parola sensibile” è diventata anche la sigla CQS, le iniziali di Chen Qiushi, avvocato dello Heilongjiang residente a Pechino, trentaquattrenne come Li e diventato come altri un 民间记者 minjian jizhe – “cittadino-giornalista” – per documentare le proteste di Hong Kong prima e l’epidemia di COVID-19 dopo. Il video di quasi ventisette minuti girato e postato il 30 gennaio, è stato concepito per la diffusione su canali alternativi a quelli consentiti, dove sarebbe stato cancellato (Chen riferisce che il suo account WeChat era già stato eliminato). Nel video, presentato come ben più lungo dei cinque minuti standard – limite di WeChat e dell’attenzione media dell’utente cinese – l’avvocato-giornalista appare molto agitato ed elenca le incongruenze della gestione dell’emergenza a Wuhan: gli orari massacranti cui sono stati sottoposti gli operai del cantiere dell’ospedale di Huoshenshan (uno dei due costruiti appositamente per i malati di COVID-19 e tanto lodato dai media internazionali), la situazione degli ospedali di Wuhan, scarsamente attrezzati e ancora semivuoti, la difficoltà di smistare in modo efficiente i pacchi di aiuti provenienti da privati cittadini, e le persone, tra cui moltissimi malati, “sigillate” nelle proprie abitazioni. Chen riferisce di essere riuscito a entrare in un gruppo WeChat di tassisti di Wuhan, dai quali apprende che le prime voci di un virus che circolava in città risalirebbero a metà dicembre, con il sospetto che potesse trattarsi di SARS.
Queste voci sono state prontamente messe a tacere: non era SARS (a sua volta un coronavirus) ma qualcosa di molto simile – un nuovo tipo di coronavirus (in cinese 冠状病毒 guanzhuang bingdu). Chen si indigna per il modo in cui la polizia di Wuhan, che non si è nemmeno scusata ufficialmente, ha zittito i primi segnali di allarme con il pretesto del nome sbagliato, e riporta un esempio che sembra una favola: “Qualcuno dice, oh! Non andate su per la montagna! Ci sono tigri siberiane. Arriva un capo e dice che non ci sono affatto tigri siberiane. Il risultato è che le tigri fanno una strage. Alla fine viene fuori che sulla montagna non ci sono tigri siberiane ma tigri Huanan e chi aveva dato l’allarme viene rimproverato perché aveva sbagliato e diffuso notizie ingannevoli, scambiando la tigre Huanan per una una tigre siberiana” (举个例子:有人说,噢!这山上有东北虎,大家别上山!然后有个领导说,并没有东北虎!结果它们咬死一堆。最后检查说了哦,这山上不是东北虎,这山上是华南虎,你们说错了!你们情节轻微!你们把华南虎说是东北虎了). È stato impedito alla gente di uscire, sono stati eliminati taxi e altri mezzi di trasporto pubblico; ma anche quando si fosse riusciti a raggiungere l’ospedale, sarebbe stato molto difficile farsi visitare. Chen riferisce che secondo qualcuno, molti sono stati respinti per mantenere gli ospedali tranquilli in previsione di una visita di Li Keqiang, e ripete quasi ossessivamente che quelle che riporta sono cose che ha visto con i propri occhi e sentito con le proprie orecchie, non dicerie che girano su Internet. Nonostante questo, anche gli ospedali di Wuhan sono stati luoghi dell’orrore: viene mostrata una donna che sorregge il corpo senza vita di un uomo, presumibilmente il marito, ancora seduto sulla sedia a rotelle.
In pochi giorni l’avvocato-giornalista ha creato una rete sociale alternativa (cita spesso un fantomatico 口罩哥 kouzhao ge “fratello mascherina”) che gli ha permesso di esporre fatti non noti perché non divulgati o intenzionalmente nascosti. Alla luce di quanto sentiamo da lui, è presumibile ritenere che molte altre persone – difficile azzardare una stima – siano state lasciate morire senza alcuna forma di soccorso.
Alla fine del video Chen comunica di essere stato contattato telefonicamente dal dipartimento di giustizia e dall’ufficio di sicurezza pubblica di Qingdao, e così suoi familiari. Conclude con un’ammissione di fragilità che diventa una sfida: “Io ho paura! Davanti a me ho il virus, dietro di me le forze giuridiche e politiche della Cina. Ma combatterò! Finché vivrò in questa città, continuerò a riportare i fatti. Dico solo ciò che sento e vedo. . . Cazzo, non ho paura nemmeno della morte, dovrei avere paura del partito comunista (cinese) ?!” (我是害怕!我前面是病毒,我后面是中国的法律和行政力量,但是我会争夺起来,只要我活在这个城市,我会继续作了报道,我只说我看见,我听见的。。。妈逼我连死都不怕!我怕你共产党吗?!)
Fang Bin, un imprenditore di Wuhan, usava già YouTube e altre piattaforme simili per promuovere la sua attività, ma con l’acuirsi della crisi ha formato un gruppo WeChat dal nome 全民自救 quanmin ziqiu (il popolo si salva da solo) e ha iniziato a documentare la situazione nelle strade della città, così come le immagini drammatiche negli ospedali. Dal 25 gennaio si è recato in macchina nei luoghi più a rischio – ospedali, sede della Croce Rossa, crematori e lo stesso Huanan market. Dal primo febbraio ha girato numerosi video all’interno del principali ospedali di Wuhan (Hankou Hospital, Union Hospital, Tongji Hospital e The Fifth Hospital). In alcuni video di Fang, si vedono parenti di persone già morte con gravi difficoltà respiratorie, ma soprattutto sacchi contenenti corpi (ne conta otto portati fuori nel giro di cinque minuti). Tra l’1 e il 2 febbraio viene prelevato dalla polizia e interrogato, il suo computer portatile confiscato. Il 4 febbraio documenta la visita di alcuni agenti governativi che gli chiedevano di aprire la porta per controllare le sue condizioni di salute. Nel video del 7 febbraio Fang Bin, proprio come Chen Qiushi (che a questo punto è già sparito) una settimana prima, appare scosso, informa che il suo account WeChat è stato chiuso e che la sua abitazione è circondata da agenti in borghese. Muove delle accuse esplicite contro il potere che definisce “disumano” e “avido”. Parla di “tirannia” e del pericolo cui è esposto. Nell’ultimo video di pochi secondi del 9 febbraio mostra solo la scritta 全民反抗还政于民 quan min fan kang huan zheng yu min, “tutti i cittadini resistano, si ridia il potere alle persone”.
Altri casi meno noti sono quelli di Zhou Xuanyi, docente di filosofia della Wuhan University denunciato dai suoi stessi studenti per i post su Weibo, di Zhou Peiyi, docente residente a Hong Kong, anche lei licenziata, e dell’attivista ed ex-docente universitario Guo Quan, arrestato a Nanchino. La vlogger conosciuta col nickname di 你好竹子 Nihao Zhuzi, dopo aver pubblicato su Weibo un post in cui si diceva dispiaciuta per quello che sta accadendo nel mondo (lasciando intendere una responsabilità della Cina), è stata inondata di critiche feroci da parte di altri utenti ed è stata costretta a rimuovere il post. Secondo il New York Times, che cita a sua volta l’organizzazione Chinese Human Rights Defenders, più di 350 persone sono state punite per aver “diffuso false notizie”. Di Chen e Fang non si sa niente dall’8 febbraio (è presumibile siano stati arrestati) e la stampa internazionale non ne parla dal 14 febbraio. Quelli che entrambi toccano sono punti nevralgici della politica cinese, che il discorso ufficiale depura dalle criticità.
Queste sono le persone.
C’è una perfetta coerenza tra la necessità di combattere il virus e quella di combattere le notizie sul virus diffuse a livello grassroots: pericolose perché spontanee, incontrollabili e altamente contagiose. La notizia è il virus. La cura è il controllo.
D’altra parte, ben prima che la COVID-19 diventasse familiare come ogni nemico che si rispetti, l’abitudine di chiamare “virali” notizie o immagini (soprattutto quelle in movimento) era già diventata un cliché.
Con la moltiplicazione dei canali e delle piattaforme di accesso alle informazioni, le notizie viaggiano a una velocità incontrollabile e si moltiplicano altrettanto incontrollabilmente, assediando l’organismo che le ospita. La Cina è un organismo delicato che dipende da un equilibrio di forze: una perdita di controllo su queste forze equivale alla perdita del paese. Le notizie sono la malattia virtuale che annuncia quella reale, che può affliggere il corpo e la psiche. Non è un caso che uno dei termini preferiti degli organi di propaganda del PCC sia proprio 污染 wuran, che si traduce come “inquinamento” ma che significa letteralmente “contaminazione”. E la contaminazione, come ci ricorda la campagna politica lanciata nel 1983, comincia dallo spirito – il 精神 jingshen. Lo “spirito” riguarda a sua volta la conoscenza e l’informazione che la precede, le quali non hanno i tempi del virus come le notizie, ma si “contraggono” in un tempo molto più lungo e non abbandonano tanto facilmente il “portatore”.
Ritorniamo al dato: è in corso un’accesa guerra diplomatica tra Cina e Stati Uniti, i due “giganti bambini” i cui leader sono adesso impegnati nel gioco dello scaricabarile. Anche le teorie cospirazioniste che circolano in rete sono diventate un’arma in mano alle autorità: come avverte l’Economist, persino un alto quadro come Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli affari esteri cinese, si è esposto con un tweet in cui suggerisce sia stato l’esercito americano a portare l’epidemia Cina.
Trump ha prontamente usato queste illazioni come pretesto per giustificare le sue affermazioni sul “virus cinese” e gli scadenti giochi di parole (“Kung Flu” è uno di questi). In risposta a queste “dichiarazioni”, la Cina ha espulso una decina di giornalisti del New York Times, Washington Post e Wall Street Journal.
Il 26 marzo 2020 il cerchio si chiude e con esso la Cina, che vieta temporaneamente l’ingresso a chi viene da “fuori”.
Se buona parte dell’emisfero occidentale è alle prese con la COVID-19, che sembra accusare il jet lag, la Cina è entrata in una nuova fase: dopo aver mobilitato il suo arsenale ideologico e aver trionfato sul virus del corpo, lo sta ora sostituendo con quello della propaganda, innestando in modo strategico nel discorso ufficiale la nozione sempre più popolare di “gratitudine”. Gratitudine per chi? Ovviamente per il Segretario Generale Xi Jinping. Ancora una volta è stato innescato il meccanismo di rimozione che in Cina ha spesso coinciso con la rimozione materiale e metaforica dei corpi. Questo non potrà che creare altri fantasmi, per debellare i quali non basteranno quarantene e confinamenti.
[QUI PER LEGEGERE L’ARTICOLO ORIGINALE]Di Mariagrazia Costantino per Sinosfere*
**Sinosfere è una rivista che si occupa di cultura cinese, intesa come l’universo molteplice e mutevole delle rappresentazioni che, viaggiando storicamente nel tempo e nello spazio, hanno variamente influenzato i particolari modi di vedere, di parlare e di sentire che informano la vita delle società cinese odierne. Creata da un gruppo di studi di storia e cultura cinese, Sinosfere vuole essere – come meglio si chiarisce in altro luogo – una piattaforma volta a esplorare e una discussione sulle dinamiche socio-culturali cinesi indagando su una logica peculiare che il governano.