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Sinosfere – I Rapporti tra Cina e India nel Cinema Hindi

In Cina, Cultura by Redazione

I rapporti tra India e Cina, e in modo specifico lo sguardo indiano su tali rapporti, sono spesso stati interpretati e veicolati attraverso il cinema. L’industria cinematografica indiana, in particolare quella di Bollywood, ha rappresentato fin dal suo nascere una sorta di termometro del dibattito pubblico per temi riguardanti l’identità nazionale e le questioni politiche. Un’analisi a cura di Sinosfere.

I rapporti tra India e Cina, e in modo specifico lo sguardo indiano su tali rapporti, sono spesso stati interpretati e veicolati attraverso il cinema. L’industria cinematografica indiana, in particolare quella in lingua Hindi con sede a Bombay e meglio conosciuta con il nome di Bollywood, ha rappresentato fin dal suo nascere una sorta di termometro del dibattito pubblico per temi riguardanti lidentità nazionale e le questioni politiche. In questo senso, scrive Coonoor Kripalani,1) i film ci offrono una lente per leggere la storia e in particolare l’evoluzione delle disposizioni nazionali riguardo a eventi, situazioni e circostanze del periodo. Questo è specialmente rilevante in relazione al cinema Hindi che si rivolge a un pubblico sempre più internazionale, proiettando sia verso l’interno che verso l’esterno visioni del/dall’India.

È tuttavia importante sottolineare che le questioni riguardanti le relazioni politiche tra i due Paesi sono state solo raramente oggetto delle trame di film Hindi.2) Soprattutto a partire dagli anni Settanta, dopo che nella decade precedente la breve e disastrosa (per l’India) guerra sino-indiana del 1962 aveva ispirato alcuni celebri film di guerra patriottici, i rapporti con la Cina sono rimasti ai margini della produzione cinematografica, a fronte come fa notare Patricia Uberoi3) di una tendenza opposta per quanto riguarda i difficili rapporti tra India e Pakistan. Questo sbilanciamento può essere attribuito alla grande rilevanza che i rapporti tra India e Pakistan hanno avuto nel dibattito pubblico sull’identità nazionale, fin dall’Indipendenza e la Partition del Subcontinente, con ripercussioni sulle relazioni tra comunità religiose internamente all’India. Tuttavia, se i film di produzione indiana (anche al di fuori di Bollywood) raramente si cimentano con storie riguardanti i rapporti politici con la Cina, essi sono da sempre popolati da personaggi cinesi. Inoltre, soprattutto in epoca recente, con l’ascesa della Cina nello scenario politico globale, ricorrenti riferimenti nei film all’influenza del Paese sul piano economico e culturale ci permettono di cogliere le ambivalenze dello sguardo indiano sulla Cina, relativamente al proprio posizionamento nell’interazione con l’imponente vicino.

In questo articolo mi soffermo nello specifico sul modo in cui, attraverso la rappresentazione della Cina e del popolo cinese, il cinema Hindi come prodotto culturale di massa, ha contribuito a veicolare lo sguardo indiano sulla Cina e a plasmare contemporaneamente il dibattito sull’identità nazionale. Per fare questo, dopo una prima disamina delle traiettorie di rappresentazione cinematografica in relazione all’evolversi dei rapporti sino-indiani, mi concentro su due film: Chandni Chowk to China (CC2C, Da Chandni Chowk alla Cina, 2009)4) e Made in China (2019).5) Nonostante i due film scelti si trovino su piani piuttosto distanti per quanto riguarda sia i contenuti che la produzione, entrambi riflettono uno sguardo intriso di ambivalenze sulla Cina come locus fisico e immaginativo di produzione di beni e saperi, e come interlocutore in uno spazio di relazioni tra paesi e popoli asiatici.

Il Cinema Hindi come strumento e prodotto culturale

I film CC2C Made in China si inseriscono in questa traiettoria di rappresentazione cinematografica attraverso un immaginario che definisco qui con l’espressione “interasiatismo pop”. Prendo spunto da S.V. Srinivas6) che, riferendosi nello specifico alle commedie di arti marziali prodotte tra Hong Kong e India, utilizza l’espressione popular pan-Asianism per riferirsi a un ambito di produzione culturale e di consumo che diviene fonte di un nuovo modo di relazionarsi con l’Asia, nell’ambito di alleanze inter-asiatiche globalizzate e post-nazionali. Ispirandomi alla prospettiva di Srinivas, trovo più opportuno utilizzare l’espressione interasiatismo pop per comprendere, nello specifico, il contesto in cui si sviluppa uno sguardo cinematografico indiano sui rapporti con la Cina, piuttosto che la costruzione di un nuovo spazio di interazione post-nazionale pan-asiatico.

Per interasiatismo pop intendo quindi il modo in cui, nei film Hindi, relazioni e legami nel contesto asiatico si misurano non tanto sulla base di una comunanza o dissonanza di valori culturali e progetti politici, quanto sul significato politico dello scambio e la compenetrazione reciproca di prodotti di consumo e di prodotti culturali cinesi e indiani. In questo senso, il cinema è divenuto negli ultimi anni strumentale nel veicolare repertori culturali, oltre che a costituire un prodotto culturale esso stesso. Sulla base di queste considerazioni ritengo che, nel contesto dei rapporti tra India e Cina e dello sguardo indiano su tali rapporti, il cinema Hindi sia divenuto sia strumento sia prodotto di questo interasiatismo pop.

Da un lato, infatti, il cinema Hindi è sempre più un prodotto di consumo a diffusione globale. Benché il suo successo trascenda da sempre i confini nazionali, anche grazie ai numeri e alla dispersione geografica della diaspora indiana, negli ultimi anni ha investito in modo massiccio il mercato cinese. Film come Dangal (Gara di Wrestling, 2016),7) Toilet: Ek Prem Katha (Toilet: Una Storia d’Amore, 2017)8) e, più recentemente Chhichhore (Immaturo, 2019)9) hanno sbancato i botteghini cinesi e reso alcune super star di Bollywood come Aamir Khan e Katrina Kaif estremamente popolari in Cina. Per ora, i film che hanno fatto breccia in questo senso toccano per lo più temi sociali, di emancipazione e riscatto, ma difficilmente veicolano una visione sulla Cina dall’India.10)

Dall’altro, proprio in virtù di questa popolarità acquisita attraverso una messa a valore dei film come risorsa economica, il cinema Hindi si è trasformato in uno strumento di politica culturale o, riprendendo Srinivas, una “risorsa culturale primaria”.11) Così, mentre la stereotipizzazione dei personaggi continua a riproporre topoi conosciuti, i significati a questi attributi hanno consolidato un interasiatismo pop, fatto di registri condivisi ma anche di tensioni che si generano nel momento in cui lo sguardo sull’Altro diviene uno sguardo su di sé attraverso l’Altro.

Influenze: il cinema Hindi come prodotto culturale di massa

Proprio alla luce della centralità del cinema Hindi come ambito di produzione culturale, è importante considerare che, nella decade 2009-2019, il contesto di tale produzione si è trasformato sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista economico — con l’avvento di società di produzione e distribuzione cinematografica multinazionali, tra cui le piattaforme di streaming come Netflix. Le nuove opportunità di raggiungere mercati globali hanno contribuito a plasmare gli immaginari e i registri narrativi della cinematografia Hindi. Nel frattempo, le relazioni tra India e Cina hanno mantenuto toni altalenanti, articolandosi su livelli molteplici, la cui complessità tende talvolta a sfuggire allo sguardo costretto entro i confini delle discipline accademiche. In virtù di questa complessità, la cultura popolare e in particolare quella cinematografica indiane hanno spesso rappresentato la Cina e il popolo cinese in modo altalenante, attraverso richiami a rapporti fondati su amicizia, comunanza e solidarietà da un lato e diffidenza e animosità dallaltro.

A livello di politica regionale, i rapporti tra India e Cina si sono misurati sulla base di una competizione che riguarda sia le reciproche sfere di influenza nelle regioni del sud e del sudest asiatico, sia questioni di politica economica e territoriale, sfociate nella militarizzazione dei territori contesi e nella recrudescenza degli scontri armati lungo la frontiera tra i due Paesi. Tuttavia, nel contesto della politica internazionale, India e Cina hanno spesso fatto fronte comune a sostegno di una politica di contenimento dellimperialismo occidentale e di promozione di principi delle relazioni internazionali specifici del contesto asiatico, sulla base di un richiamo a valori e interessi comuni. Inoltre, Cina e India hanno nel corso degli anni Duemila intensificato la loro partnership commerciale, accompagnata dalla penetrazione di prodotti di consumo di massa e nuovi repertori culturali nei rispettivi mercati nazionali. In questo ambito, diversi osservatori hanno riconosciuto come entrambi i Paesi abbiano investito sul cosiddetto “soft power” culturale — la capacità di attrarre — come strumento politico di auto-promozione a livello interno, regionale e internazionale e di costruzione di registri e repertori culturali riconoscibili che funzionano sia come cassa di risonanza delle disposizioni nazionali sia come canale di proiezione delle stesse verso l’esterno. Il cinema Hindi veicola principalmente la prima funzione.

Prima di passare all’analisi dei film in questione, è importante quindi contestualizzare il legame tra cinema Hindi, discorso politico e storia delle relazioni sino-indiane ripercorrendo i modi in cui i rapporti tra India e Cina, e quindi le disposizioni nazionali al riguardo, sono state rappresentate nei/e veicolate dai film.

Rappresentazioni: la Cina e il popolo cinese nel cinema Hindi

Nella rappresentazione cinematografica bollywoodiana, l’immaginario sulla Cina e sul popolo cinese ha riflettuto l’andamento mutevole dei rapporti tra India e Cina.

Nel periodo che va dalla fine degli anni Quaranta al 1962, il discorso politico indiano sui rapporti con la Cina era centrato in una retorica di amicizia e vicinanza tra i due popoli, in chiave anti-imperialista. La cultura popolare si fece portavoce di questa aspirazione nazionalista alla realizzazione di uno spazio asiatico post-coloniale. In questo senso, il film Dr Kotnis ki Amar Kahani (La storia immortale del Dr. Kotnis, 1946)12) ne è un esempio particolarmente calzante. Il film trae ispirazione dalla storia vera di Dwarkanath Kotnis, un giovane medico che, nel 1937, in seguito alla chiamata dell’Indian National Congress a sostegno della Cina e in opposizione all’imperialismo giapponese, si unì al 18° Gruppo di Forze Armate dell’Esercito rivoluzionario nazionale cinese durante la seconda guerra sino-giapponese. Kotnis morì in battaglia e divenne un eroe di guerra in Cina. Nell’immaginario cinematografico il suo personaggio finì per incarnare l’aspirazione all’indipendenza nazionale, alla liberazione dal giogo dell’imperialismo e alla costruzione di legami tra popoli liberati.13) In questo film, l’intima relazione tra popolo indiano e cinese è rappresentata attraverso la storia d’amore tra il Dr. Kotnis e Qing Lan, una giovane donna cinese. I sentimenti del medico per Qing Lan sono intrisi di desiderio suscitato dalla bellezza misteriosa e dall’affascinante dolcezza della donna, considerate caratteristiche squisitamente cinesi. In questo senso, la rappresentazione della Cina si colloca in un “continuum tra solidarietà post-coloniale e fascinazione per ciò che è in qualche modo esotico ma allo stesso tempo gentile” (Ibidem, traduzione dell’autrice).

Nell’epoca post-bellica e post-coloniale e nell’ambito del consolidarsi del bipolarismo, l’India di Jawaharlal Nehru assunse la leadership del movimento dei paesi non-allineati in Asia. Nell’ambito dei rapporti bilaterali con la Cina, il paese si fece promotore di principi di cooperazione e non-interferenza reciproca. Il motto Hindi-Chini Bhai-Bhai (India e Cina sono [paesi] fratelli), promosso dallo stesso Nehru in seguito alla firma degli accordi PanchSheel tra Cina e India nell’aprile del 1954,14) divenne il simbolo di questa retorica di amicizia e vicinanza. In quella fase, le dispute già esistenti riguardo ai confini nazionali vennero lasciate ai margini del dibattito pubblico.15) Tuttavia, al di fuori del discorso politico ufficiale e nonostante l’enfasi sulle affinità sia storico-culturali sia politiche tra le due nazioni, l’approccio di Nehru nascondeva una sostanziale diffidenza nei confronti della leadership cinese. Le perplessità di Nehru erano alimentate dal perdurare di una conflittualità latente che aveva come oggetto la definizione dei confini tra i due Paesi e che divenne manifesta con l’aggravarsi della crisi tibetana alla fine degli anni Cinquanta. In una lettera del 9 maggio 1954 allambasciatore indiano in Birmania K.K. Chettur, Nehru sosteneva riferendosi alla Cina che in ultima analisi, nessun Paese ha fiducia totale nelle politiche di un altro Paese, specialmente nel caso in cui quest’ultimo abbia tendenze espansionistiche. Per ovvi motivi, non possiamo prevedere con certezza ciò che la Cina potrà fare in futuro. Ma qualunque siano le sue aspirazioni, possiamo, con la nostra politica, rafforzare la nostra posizione e persino frenare in qualche misura le aspirazioni indesiderate dell’altro Paese” (traduzione dell’autrice).16) Tali perplessità rispetto alle reali intenzioni della leadership cinese furono esposte da Nehru in diversi scambi con collaboratori e amministratori dellepoca.

Il cinema fece da cassa di risonanza di questa sostanziale ambivalenza nei confronti del vicino cinese. La diffidenza divenne in questo periodo un tema ricorrente nella rappresentazione di personaggi cinesi nella cinematografia Hindi, con particolare riferimento alla minoranza cinese residente nel Bengala. Secondo Kripalani, esempi di questa tendenza si trovano nel film Howrah Bridge (1958),17) in cui il malvagio John Chang (Madan Puri) è il losco proprietario di un night-club di Calcutta dove lavorano seducenti ballerine cinesi.18) Una di queste, interpretata da Helen, una famosa artista di cabaret indo-birmana, mette in scena la canzone, poi divenuta celebre in India, Mera Naam Chin Chin Choo, in cui l’accattivante sensualità della performer è sottolineata dagli stacchi sugli sguardi degli avventori del locale che assistono allo spettacolo. Nellimmaginario filmico, quindi, il popolo cinese continuò a suscitare una fascinazione esotizzante incarnata dalle donne, cui si accompagnavano sospetto e repulsione per la doppiezza e la meschinità espresse da sinistri personaggi maschili.

La guerra sino-indiana del 1962 sancì il passaggio a una nuova modalità di rappresentazione della Cina e del popolo cinese nella cinematografia Hindi, in modo particolare perché i rapporti ostili con il vicino furono per un po’ al centro di alcuni film patriottici. La Cina finì così per incarnare l’Altro in opposizione al quale si disegnava l’identità nazionale indiana. A questo proposito, Uberoi19) considera il film Haqeeqat (Realtà, 1964)20) un prodotto culturale fondamentale nella costruzione di un immaginario nazionale intorno alla sacralità del territorio indiano e alla Cina come nemico della nazione. In questo senso, sostiene l’autrice, Haqeeqat può essere considerato il primo film propriamente “di guerra” prodotto da Bollywood. La pellicola si apre con una dedica a Nehru e ai soldati morti negli scontri armati lungo il confine sino-indiano. L’immaginario sulla Cina si produce attraverso le efferatezze compiute dal possente esercito, in contrasto con la vulnerabile bellezza indiana incarnata da Angmo (Priya Rajvansh) — giovane donna del Ladakh di cui si innamora uno dei valorosi soldati indiani impegnati alla frontiera — e dal territorio Ladakhi minacciato dall’invasione cinese. Come sostiene Ravina Aggarwal,21) la femminizzazione del confine è un elemento centrale del film, attraverso cui si veicola la rappresentazione di una nazione innocente sotto attacco da parte di invasori esterni. In Heqeeqat, la spietatezza e la doppiezza del nemico cinese nonché la sua rappresentazione come traditore del patto di amicizia tra Cina e India, riflettono la retorica politica dell’epoca, volta a consolidare un senso di appartenenza nazionale. Essa tuttavia alimentò anche un crescente razzismo nei confronti della minoranza cinese in India e sostenne una politica di deportazioni in campi di internamento cui fece seguito l’emigrazione verso gli Stati Uniti, la Cina e Taiwan di una larga parte della comunità cinese indiana residente per lo più a Calcutta.

Alla rappresentazione del nemico cinese faceva quindi da controparte quella di un sé mite e non violento, che matura tuttavia la consapevolezza della necessità di difendersi ad armi pari. Emblematico in questo senso è il film Prem Pujari (Colui che adora l’amore, 1979).22) La storia racconta di Ramdev (Dev Anand), soldato pacifista indiano arruolatosi nell’esercito per volere del padre. L’amore di Ramdev per la non-violenza lo porta a ripudiare la guerra, ma a vivere allo stesso tempo insicurezze riguardo alla sua maschilità. In fuga da una condanna per essersi rifiutato di combattere, Ramdev incontra Rani (Zaheeda), una spia cinese che riesce per un po’ a circuirlo e a inglobarlo in un complotto ai danni dell’India. Ramdev, tuttavia, finirà per smascherare la donna e la sua rete di spie e a dare così il suo contributo allo sforzo bellico del suo Paese. Il film segue quindi il protagonista lungo una traiettoria di riconoscimento della necessità della guerra per difendere la nazione. Ramdev, infatti, riuscirà alla fine ad incarnare quel fervore patriottico richiesto a un vero uomo e parteciperà come soldato alla guerra Indo-Pakistana del 1965. Nel film, l’iniziale ingenua mitezza di Ramdev è messa in risalto dalla doppiezza dell’affascinante Rani. Il loro rapporto rimane caratterizzato da una certa ambivalenza: i due si piacciono e stringono un legame sincero che si rivela però impossibile da conciliare con la fedeltà ad interessi nazionali tra loro opposti. In questo periodo, i personaggi cinesi come ad esempio Rani erano per lo più interpretati da attori indiani, truccati e vestiti in modo da incarnare caratteristiche riconoscibili come tipicamente cinesi.

La rappresentazione di queste figure nel cinema popolare Hindi ha continuato per lungo tempo a ricalcare il topos dell’antagonista inaffidabile e senza scrupoli, come mostra Payal Banerjee23) nella sua critica al film Fire24) di Deepa Metha (1966). D’altro canto, sostiene Uberoi, “il volume della produzione cinematografica sulle relazioni India-Cina è stato irrilevante, il che […] ha lasciato l’immaginario cinematografico popolare sulla Cina sospeso in un inflessibili vuoto temporale”.25) In effetti, come accennato sopra, se personaggi cinesi hanno continuato a popolare il film Hindi in modo piuttosto regolare, la produzione cinematografica Hindi ha raramente trattato direttamente delle relazioni tra India e Cina, veicolando lo sguardo su tali relazioni indirettamente.

Recentemente, però, la Cina è tornata al centro dell’interesse cinematografico Hindi, sia come soggetto filmico che come mercato per la distribuzione di film. In particolare, lo sguardo dei film di oggi sulla Cina si nutre di immaginari relativi alla centralità del Paese nello scenario economico globale, soprattutto commerciale. I film Hindi hanno così riproposto vecchi registri rappresentativi, ma sotto una nuova veste di significazione, ricalcando le disposizioni nazionali in concomitanza con le trasformazioni degli scenari politico-economici.

Chandni Chowk to China e le impossibili affinità tra India e Cina

Il film CC2C è particolarmente evocativo di uno spostamento della rappresentazione dal piano della politica “nazionale” a quello inter-asiatico, che si costituisce sulla base delle interazioni commerciali e culturali tra i due Paesi. Il film racconta la storia di Sidhu (Akshay Kumar), un semplice cuoco del caotico quartiere commerciale Chandni Chowk di New Delhi.Personaggio goffo, credulone e superstizioso, Sidhu progredisce nel corso del film fino a divenire un eroe esperto di arti marziali. Come scrive Michael A. Mikita, la traiettoria narrativa che ruota attorno alla figura di Sindhu, rappresenta “una forza interiore imbrigliata all’interno dell’io indiano”.26) In questo senso, CC2C si inserisce in un genere cinematografico, quello delle commedie di arti marziali di Hong Kong, largamente riconoscibile a un pubblico internazionale, ma imbevuto di una narrazione tipicamente indiana.27) La storia di Sindhu si lega alla figura di uno storico guerriero cinese, Liu Sheng. Il film infatti si apre con uno squarcio sul passato, in cui Liu Sheng muore in battaglia per proteggere la Grande Muraglia dai nemici invasori. La narrazione poi si sposta su un villaggio della Cina di oggi, dove il malvagio contrabbandiere di antichità Hojo (Gordon Liu) opprime e sfrutta la popolazione, costringendola ad estrarre reperti archeologici da vendere a stranieri (occidentali). Una profezia però ridona speranza ai poveri abitanti della provincia: Liu Sheng è tornato per liberarli da Hojo. Anche se l’unica attività in cui Sidhu eccelle è quella di tagliare verdure e impastare, è chiaro fin da subito che sarà proprio lui l’improbabile reincarnazione di Liu Sheng.

La svolta nella vita di Sidhu arriverà attraverso l’incontro con Chopstick (Ranvir Shorey), un truffatore indo-cinese che si spaccia per maestro di Feng-Shastra — una fusione tra Feng Shui e Vaastu Shastra. Dopo essersi convinto a partire per la Cina alla ricerca di fortuna con Chopstick, Sidhu incontra e si innamora di Sakhi (Deepika Padukone), una venditrice di prodotti cinesi hi-tech a basso costo, che si reca spesso in Cina alla ricerca della sorella gemella separata alla nascita. Quest’ultima, Suzy (Deepika Padukone, truccata in modo da apparire “cinese” agli occhi del pubblico) era in realtà stata rapita dal malvagio Hojo e cresciuta da lui come terribile assassina.

In Cina, Sidhu, Sakhi e Chopstick incontrano Chang (Roger Yuan), il padre delle gemelle che diverrà la guida e il maestro di arti marziali di Sidhu. Al culmine della storia, Sidhu riuscirà a sconfiggere Hojo grazie a una mossa mai eseguita prima, che scopre di possedere traendo spunto dalle sue abilità nel tagliare le verdure.

La comicità del film si gioca su una continua ambivalenza tra riconoscimento/disconoscimento di affinità tra le identità cinesi e indiane dei personaggi. Sidhu è la reincarnazione di un guerriero cinese, ma la sua forza deriva dall’essere (stereo)tipicamente indiano. Allo stesso tempo, le gemelle Sakhi (cresciuta in India dalla madre indiana) e Suzy (cresciuta in Cina dal suo perfido rapitore cinese), entrambe interpretate dall’attrice Deepika Padukone riproducono, nella scissione che incarnano, tratti ricorrenti della rappresentazione cinematografica dei rapporti tra popolo cinese e indiano: l’affascinante ma pericolosa Suzy e la bella e dolce Sakhi, il cui legame con la Cina passa attraverso la commercializzazione in India di beni di consumo di bassa qualità. Anche Chopstick, come personaggio sino-indiano, incarna una doppia identità di imbroglione di buon cuore. Al netto delle varie interconnessioni, è la componente indiana, dipinta con benevola ironia e scherno, a rappresentare il lato risolutivo e riparatore nello spazio rappresentativo del film.

Come suggerisce Srinivas,((Ibid.)) è possibile rimarcare come gli stereotipi “intra-orientalisti”28) siano funzionali a veicolare attraverso uno schema cinematografico riconoscibile — quello della commedia di arti marziali — lo sguardo indiano sui rapporti con la Cina e sulle disposizioni nazionali rispetto a tali relazioni. Che questo sguardo sia mediato, da un lato da un genere cinematografico originato a Hong Kong e dall’altro da registri rappresentativi imbevuti di orientalismo, è ancora più indicativo di quanto i film si configurino come strumento e prodotto di una politica culturale interasiatista che posiziona l’India al centro di una rete di relazioni economiche e culturali con la Cina.

Il rimedio indiano (al) Made in China

In questo senso, il film Made in China rappresenta un ulteriore passaggio della produzione cinematografica Hindi sui rapporti tra Cina e India. La storia inizia con l’arrivo di un generale cinese di nome Zeng e la moglie nella città di Ahmedabad (stato del Gujarat) per partecipare all’“Indo-China Cultural Summit”. Annoiato dallo spettacolo di danze e musiche indiane, il generale si ritira nella sua stanza d’hotel dove trova una bevanda afrodisiaca made in China chiamata “Magic Soup”. Dopo aver assaggiato il preparato, Zeng muore. “Le ironie della vita”, commenta poco dopo un personaggio, parlando della fine del generale cinese e giocando sul cliché circa la bassa qualità dei prodotti made in China. Partendo dalle indagini sulla morte di Zeng, il film segue a ritroso le origini del preparato attraverso le peripezie di Raghu (Rajkumar Rao), un inconcludente imprenditore Gujarati alla ricerca di un’opportunità di business. Raghu troverà un’occasione durante un viaggio di lavoro in Cina. Inizialmente refrattario a partire (Che cosa c’è di così speciale in Cina? Vendono prodotti di bassa qualità. Non c’è nulla di speciale laggiù”), ma costretto dal fratello e dal padre, Raghu deciderà di commercializzare la “Magic Soup” in India su consiglio di una socia e dell’inquietante quanto grottesco produttore della bevanda, entrambi cinesi.

Ancora una volta la Cina è considerata un luogo esotico e distante (“Passeri, corvi, anatre […] mangiano qualsiasi cosa qui”), ma allo stesso tempo inevitabilmente collegato all’India come partner commerciale e luogo di opportunità. Gli stereotipi servono qui per rimarcare una distanza culturale tra i due Paesi, colmata dalle opportunità di business che si materializzano intorno a ciò che unisce i due popoli in contrapposizione a quello occidentale: “in occidente, la gente pensa continuamente ai soldi, ma in India e in Cina la gente pensa continuamente al sesso!”, afferma convinto l’imprenditore cinese, mentre prospetta a Raghu le potenzialità del mercato indiano per la Magic Soup. È quindi in relazione all’occidente che si conferma una vicinanza tra India e Cina, la cui distanza e unicità si misurano invece rispetto ai diversi approcci e posizionamenti nell’ambito del mercato asiatico dei beni di consumo di massa.

Nonostante la Magic Soup si riveli infine un imbroglio, Raghu riuscirà a coronare il suo sogno di divenire un imprenditore di successo, fondando una catena di cliniche per l’educazione, il benessere e la salute sessuale. Nel corso della storia infatti appare chiaro che lo stimolante non abbia in realtà alcuna proprietà medico-curativa. Proprio lapparente truffa però servirà a Raghu e al medico indiano suo socio in affari a provare la necessità di liberare la cultura indiana dalla sessuofobia. In India, quindi, la bassa qualità del made in China spacciata al consumatore (“idiota”) come facile soluzione a buon mercato, serve come trampolino di lancio per un’opportunità di business con finalità di progresso sociale. Lo sguardo indiano si esprime in modo auto-critico rispetto alla dimensione socio-culturale, ma allo stesso tempo consapevole delle potenzialità di progresso e crescita, grazie all’imprenditorialità individuale e alle possibilità offerte dal mercato asiatico di beni e prodotti culturali. Il film in sé si fa carico di questa aspirazione “educativa” rispetto ai tabù riguardanti il sesso nella società indiana e altrove in Asia, riscattando così con un rimedio tutto indiano il valore delle soluzioni provenienti dalla Cina.

In entrambi i film analizzati, i riferimenti alla cinesità si propagano sia attraverso immagini di luoghi (es. la Grande Muraglia in CC2C), abiti, cibi (es. i continui riferimenti al Chowmein in Made in China), sia attraverso i suoni della lingua interiorizzati come tipicamente “cinesi” dall’audience indiana (es. il modo in cui Raghu all’inizio del suo viaggio di lavoro in Cina tenta di riprodurre sonorità “cinesi” imparando a memoria frasi di cui non conosce il significato). Questi riferimenti sono, ancora una volta, intrisi di stereotipi che funzionano da registro di significazione indiano ma, al contempo, che si rivolge a un’audience internazionale.

Conclusione

Il cinema Hindi ha da sempre ricalcato un senso comune rispetto alle disposizioni nazionali nei confronti della Cina, nonostante i rapporti politici tra i due stati siano raramente divenuti il tema centrale della produzione cinematografica in questione. Piuttosto, e con l’eccezione del decennio successivo alla guerra sino-indiana del 1962, lo sguardo filmico sul vicino asiatico si è prodotto attraverso la rappresentazione di personaggi cinesi e, più recentemente, delle relazioni tra Cina e India come spazio fisico e immaginativo di interazione tra prodotti di consumo di massa e dei repertori culturali da questi veicolati. In questo senso, l’India attraverso il cinema Hindi si è progressivamente ritagliata una posizione di rilievo nell’ambito della rappresentazione, codificando un registro che ho chiamato “interasiatismo pop” e che si misura appunto sul piano della penetrazione dei prodotti culturali e della loro rappresentazione come risorsa politico-economica.

Da un lato, la penetrazione del cinema Hindi in Cina è sottoposta a una censura che non soltanto determina quali film entrano, ma influenza anche i modi e i contenuti della produzione filmica che mira a una distribuzione nel mercato cinese. Dall’altro, come esemplificato nell’analisi dei film CC2C e Made in China, nel contesto di un’aspirazione a espandere la propria influenza e il relativo ritorno economico nei mercati globali, il cinema Hindi ha proposto immaginari rispetto ai rapporti tra cinesità e indianità intrisi di stereotipi intra-orientalisti riconoscibili trasversalmente, sia per il pubblico indiano che per un più ampio pubblico asiatico.

Se, quindi, l’ambivalenza tra fascinazione e diffidenza rimane un tema centrale nell’immaginario filmico sui rapporti con la Cina, essa si costruisce oggi nel contesto di un’interazione tra mercati inevitabilmente interconnessi. In questo spazio di scambio, lo sguardo esotizzante sulla cinesità come contesto “altro” diviene uno strumento per la messa a valore del sé in rapporto all’Altro. In questo modo, i film veicolano uno sguardo sui rapporti tra India e Cina che si costituisce nell’intreccio tra influenza culturale, rilevanza politica e profitto economico del cinema  Hindi nel contesto asiatico.

Immagine: Chandni Chowk to China, locandina del film.

Emanuela Mangiarotti insegna Storia dell’India e del Sud-Est Asiatico all’Università di Pavia. Ha conseguito un PhD in International Conflict Analysis alla University of Kent (2012) e ha recentemente completato un secondo Dottorato in Sociologia all’Università di Genova (2022). Le sue ricerche e pubblicazioni spaziano tra gli studi d’area asiatica, con un focus sulla storia sociale e politica dell’India, gli studi di genere e le teorie e metodologie femministe.

References
1 Coonoor Kripalani, “Reading China in Popular Hindi Film – Three Points in Time: 1946, 1964 and 2009”, Asian Cinema, 23, 2, 2012, 217-229.
2 Patricia Uberoi, “China in Bollywood”, Contributions to Indian Sociology, 43,3, 2011, 315-342.
3 Ibid.
4 Nikhil Advani, Chandni Chowk to China, India: Warner Bros. Pictures and Orion Pictures, 2009.
5 Mikhil Musale, Made in China, India: AA Pictures, 2019.
6 S.V. Srinivas, Representing Asia: Indian Cinema from Bruce Lee to Chandni Chowk to China (Sapporo: Slavic Research Centre, Hokkaido University,  2013), 29-45.
7 Nitesh Tiwari, Dangal, Aamir Khan Productions; Walt Disney Pictures India, 2016.
8 Shree Narayan Sing, Toilet: Ek Prem Katha, Viacom 18 Motion Pictures, 2017.
9 Nitesh Tiwari, ChhichhoreFox Star StudiosNadiadwala Grandson Entertainment, 2019.
10 In questo senso, i film CC2C Made in China, distribuiti globalmente rispettivamente da Warner Bros. AA Films e disponibili in alcuni mercati su Amazon Prime e Netflix, non sono tra i titoli che hanno raggiunto i consumatori cinesi.
11 Srinivas, S.V., Representing Asia, 39.
12 V. Shantaram, Dr. Kotnis ki Amar Kahani, Rajkamal Kalamandir, 1946.
13 Kripalani, “Reading China in Popular Hindi Film”, 219.
14 Gli accordi sancivano i “Cinque principi di coesistenza pacifica”. I governi di Cina e India si impegnarono così a perseguire: 1. Mutuo rispetto per l’integrità territoriale e la sovranità; 2. Non-aggressione; 3. Non-interferenza; 4. Uguaglianza e perseguimento di benefici reciproci; 5. Coesistenza pacifica. Il documento ufficiale del Governo dell’india è disponibile al seguente link  http://www.mea.gov.in/Uploads/PublicationDocs/191_panchsheel.pdf. Ultimo accesso 15 giugno 2022.
15 Ramachandra Guha, India After Gandhi, The History of the Worlds Largest Democracy (India: Picador, 2007), 304.
16 Letter of Jawaharlal Nehru to K.K. Chettur, 9 Maggio 1954, in Selected Works of Jawaharlal Nehru, Series II, Volume 25, 478. https://archive.org/stream/HindSwaraj-Nehru-SW2-25/nehru.sw2.vol.s25_djvu.txt. Ultimo accesso, 15 giugno 2022.
17 Samanta Shakti, Howrah Bridge, Shakti Films, 1948.
18 Kripalani, “Reading China in Popular Hindi Film”, 222.
19 Uberoi,“China in Bollywood”.
20 Chetan Anand, Haqeeqat/Reality, Himalaya Films, 1964.
21 Ravina Aggarwal, Beyond Lines of Control: Performance and Politics on the Disputed Borders of Ladakh, India (Durham and London: Duke University Press, 2004).
22 Dev Anand, Prem Pujari/Worshipper of Love, Navketan Films, 1970.
23 Payal Banerjee, “Chinese Indians in Fire: Refractions of Ethnicity, Gender, Sexuality and Citizenship in Post-Colonial Indias Memories of the Sino-Indian War”, China Report, 43, 4, 2007, 437–463.
24 Deepa Metha, Fire, Kaleidoscope Entertainment, 1996.
25 Patricia Uberoi, “China in Bollywood”, 323.
26 Michael A. Mikita, “Mirroring Alterity: The Imaginary China and the Comedic Self in Chandni Chowk to China”, in J.T.-H Lee, S. Kolluri (a cura di), Hong Kong and Bollywood: Globalization of Asian Cinemas, (New York: Palgrave MacMillan, 2016), 247-264.
27 S.V. Srinivas, Representing Asia, 39.
28 Mikita,“Mirroring Alterity”.