SINOLOGIE – Traduzioni collettive

In by Simone

Da sempre in Cina la traduzione è un lavoro collettivo. Ma le opere scelte da Lin Shu, che conosceva solo la lingua cinese, volevano risvegliare la coscienza dei connazionali. Sopratutto quelli emigrati in America. Per questo tradusse anche La capanna dello zio Tom. Vi raccontiamo come.Lin Shu (1852-1924) è stato un traduttore letterario sui generis, sicuramente tra i più prolifici del Novecento in Cina. Abbiamo definito questo traduttore sui generis perché, a fronte di una produzione che conta circa 180 opere tradotte da svariate lingue occidentali, egli non conosceva nessuna lingua straniera.

La storia della traduzione in Cina comincia dai primi tentativi di comunicazione, soprattutto in ambito commerciale, e arriva  ai giorni nostri.

Una panoramica in questo campo di studi consente di individuare meglio il periodo storico in cui il traduttore operò e di valutare l’influenza che le sue opere hanno avuto sulle problematiche sociali e politiche del paese agli inizi del Novecento.

La traduzione nel Regno di mezzo ha seguito un filone di pensiero che ha portato all’enumerazione di determinati requisiti sia concernenti la figura del traduttore sia la traduzione come prodotto, mantenendo nel tempo una serie di caratteristiche che hanno influenzato il modo di tradurre di epoca moderna.

La sua caratteristica più saliente, e  più distante dal mondo occidentale, è quella di considerarla sin dall’antichità un lavoro collettivo piuttosto che come un’opera individuale.

In epoca buddista decine di traduttori si riunivano in forum di traduzione, durante il periodo delle missioni gesuite i missionari lavoravano assieme a scienziati o eruditi cinesi; infine, nel corso del XIX sec., la traduzione è diventata un lavoro di squadra basato sull’interazione tra due persone.

Solo a partire dalla fine dell’Ottocento possiamo trovare una figura di traduttore più vicina a quella propria della tradizione occidentale. La caratteristica del lavoro congiunto è presente tanto nella traduzione letteraria quanto, se non addirittura in modo più rilevante, in quella di testi tecnici e specialistici.

Tale scelta deriverebbe sia dalla difficoltà per i cinesi di apprendere le lingue straniere, dato lo storico isolamento dell’impero, sia dalla difficoltà per gli stranieri ad apprendere una lingua così distante dalla loro, nonché dalla necessità di conoscere perfettamente il lessico tecnico negli ambiti più disparati.

Il metodo di co-traduzione fu adottato, fra i tanti, anche da Lin Shu. Egli divenne traduttore per caso e ad alcuni amici, poi divenuti suoi collaboratori, che lo supportarono durante la sua lunga carriera durata circa quarant’anni.

Egli infatti, sebbene non conoscesse nessuna lingua straniera, tradusse circa 180 opere letterarie tra quelle occidentali ed orientali di maggior successo.

La signora delle camelie di Dumas padre fu la sua prima opera tradotta (pubblicata in Cina nel 1899), opera che riscosse talmente tanti consensi da spronare Lin Shu a continuare su questa strada.

Dopo i primi riscontri entusiasti da parte del pubblico e le prime aspre critiche provenienti dai suoi colleghi, le opere di Lin Shu caddero nel dimenticatoio fino al saggio Lin Shu de fanyi (Le traduzioni di Lin Shu, 1979) di Qian Zhongshu (1910-1998), grande studioso di letteratura ed esso stesso illustre scrittore.

Qian Zhongshu, nel suo Lin Shu de Fanyi, ripubblicato in una raccolta di sette critiche letterarie (Qi Zhui ji , Sette parti cucite, 1984), rivaluta il lavoro di Lin Shu.

Qian sostiene infatti che le versioni di questo grande traduttore, nonostante le numerose omissioni e gli svariati errori di resa, sono capaci di trasmettere più sentimenti e conservano in misura maggiore lo spirito dell’originale rispetto a molte altre traduzioni considerate più fedeli pubblicate successivamente.

Da questo momento in poi l’interesse per le traduzioni di Lin Shu rifiorì, tanto che, a partire dal 1981, la casa editrice che ne aveva pubblicato le prime opere, la Commercial Press, Shangwu Yishuguan, propose delle ristampe in caratteri semplificati e con punteggiatura moderna.

La tecnica di traduzione di Lin Shu era articolata in due fasi. Una prima constava di una traduzione orale in cinese "volgare", il baihua , condotta dai suoi collaboratori (i quali si erano formati tutti all’estero e quindi conoscevano le lingue straniere) a partire dal testo originale o da una sua traduzione in una lingua a loro nota.

Il tutto era aiutato dall’uso di gesti, mimica e quant’altro fosse utile a far comprendere a Lin Shu i sentimenti, le atmosfere, il contesto storico e culturale del testo fonte e il significato profondo dell’opera straniera.

La seconda parte spettava unicamente a Lin Shu, il quale, essendosi assunto l’onere di rendere in lingua letteraria, il wenyan, ciò che aveva sentito, visto, capito e immaginato durante la prima traduzione dell’opera, riscriveva il testo.

Questi testi vennero molto criticati perché poco fedeli all’originale (molte parti venivano modificate, ampliate o tagliate e molti riferimenti, soprattutto culturali, completamente omessi).

Lin Shu era solito espandere a dismisura i passaggi sentimentali e al contempo ridurre drasticamente le descrizioni fisiche dei personaggi e dell’ambiente, il tutto per avvicinarsi di più allo stile letterario cinese e quindi per incontrare il gusto del pubblico.

La scelta dei testi da tradurre non era casuale e non era neppure di totale competenza del traduttore orale, come si potrebbe presupporre dato il deficit linguistico in cui versava Lin Shu: essa era frutto di una selezione oculata di argomenti pertinenti al periodo storico cinese e alla predilezione del traduttore per alcuni autori.

Dando una rapida occhiata ai titoli tradotti da Lin Shu, si può notare come quest’ultimo abbia sentito la necessità di tradurre la maggior parte delle opere di Dickens nonché un gran numero di romanzi incentrati su tematiche sociali (ad esempio, l’emancipazione femminile, il lavoro minorile, l’emigrazione…).

Il suo scopo era infatti di utilizzare il romanzo come arma sociale per modificare la mentalità della nazione cinese, per far aprire gli occhi ai propri connazionali su alcune questioni.

Gli stava particolarmente a cuore l’emigrazione cinese in America e lo sfruttamento dei connazionali costretti a vivere e a lavorare in condizioni peggiori di quelle degli schiavi neri, come sostiene egli stesso nella prefazione e postfazione alla sua traduzione de La capanna dello zio Tom.

Lin Shu utilizza proprio la vicenda del povero schiavo Tom per spronare i connazionali in patria a ribellarsi alla supremazia straniera, a non farsi sfruttare più dall’invasore bianco che ha usurpato le loro terre e risorse, bensì imparare a trarne beneficio loro stessi.

Nel primo capitolo del romanzo Heinu yu tian luLo schiavo nero invoca il cielo (questo il titolo della traduzione di Lin Shu, edita nel 1901, del romanzo dell’americana Harrieth Beecher Stowe), si notano alcune caratteristiche tipiche della traduzione di Lin Shu.

La sinizzazione di nomi e luoghi per incontrare il gusto dei lettori del suo tempo, l’eliminazione di elementi culturospecifici ogni qual volta fosse possibile (nel romanzo una componente centrale è data dalla religione cristiana, pertanto in alcune parti il traduttore ha comunque ritenuto necessario mantenerne dei riferimenti, benché molto più limitati rispetto all’originale), l’ampliamento dei passaggi emotivi e la drastica compressione delle descrizioni paesaggistiche e fisiche dei personaggi ecc.

La traduzione del primo capitolo del romanzo [potete leggerla su Caratteri Cinesi] ci aiuta a capire i principali elementi culturospecifici che caratterizzano il testo.

Qui vengono delineati i tratti fondamentali dei personaggi e vi si riscontra fin da subito una variazione di registro linguistico del parlato dei protagonisti, che sarà parte essenziale della successiva analisi traduttologica.

Si è deciso di analizzare tale aspetto poiché era interessante capire come le variazioni di registro linguistico presenti nel testo originale (alternanza di inglese americano standard, slang e black english) influissero sul delinearsi del carattere dei vari personaggi e come tale peculiarità fosse stata resa in cinese classico.

La traduzione piuttosto letterale (in sostanza una traduzione di servizio) in italiano del testo cinese, in modo da cercare di mantenere il più possibile la struttura del testo fonte e, in seguito, a confrontare la traduzione italiana con l’originale americano in modo da individuare le differenze di resa e, di conseguenza, le scelte traduttive attuate da Lin Shu e dal suo collaboratore.

Le traduzioni di Lin Shu, seppur da considerare delle riscritture piuttosto che delle traduzioni vere e proprie, hanno lo scopo di farci vedere quali fossero le tematiche salienti e i problemi maggiormente avvertiti agli inizi del Novecento in Cina.

Ci mostrano una peculiarità che si ripropone ciclicamente per tutta la storia della traduzione di questo grande paese e ci regalano un nuovo punto di vista, poco noto agli stessi cinesi, su alcune tematiche tipiche dell’epoca, densa di rivolgimenti e di nuove aspirazioni culturali, in cui furono prodotte.

*Chiara Buchetti chiara.buchetti[@]gmail.com  ha conseguito la laurea triennale il 9 Dicembre 2008 in Mediazione Linguistica e culturale presso l’Università per stranieri di Siena con una tesi dal titolo “Ye Xian: la Cenerentola cinese – La fiaba tra Oriente e Occidente” , votazione 110 e Lode; presso la stessa università il 5 Aprile 2011 ha conseguito la laurea magistrale in Lingue orientali per la comunicazione interculturale con la tesi dal titolo "黑奴吁天录- Lo schiavo nero invoca il cielo – L’opera di Lin Shu sullo sfondo della storia della traduzione in Cina” , votazione 110 e Lode. È attualmente assegnista di ricerca presso l’Università per Stranieri di Siena. Potete leggere una sua traduzione su Caratteri Cinesi.

** Questa tesi è stata discussa presso l’Università per Stranieri di Siena. Relatore: prof. Anna Di Toro. Correlatore: prof. Carla Bagna.

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]