La tesi magistrale intitolata Il sistema sanitario in Cina: tentativi di riforma e il ruolo della Cooperazione italiana allo sviluppo. Il caso della Regione Autonoma Tibetana descrive le politiche sanitarie di Pechino negli ultimi trent’anni con un occhio di riguardo per la Cooperazione italiana in Tibet. Le politiche sanitarie intraprese durante il trentennio maoista contribuirono a migliorare il grado di salute della popolazione cinese, pur tenendo sotto controllo i costi della spesa sanitaria pubblica.
Tali politiche incentivavano i servizi di medicina preventiva, l’uso delle strutture sanitarie secondo il grado di bisogno e prevedevano schemi assicurativi pubblici.
Nel trentennio 1952-1982 è stato stimato un calo della mortalità infantile da 200 a 34 per ogni 1000 nati vivi, mentre nello stesso periodo la speranza di vita alla nascita conobbe un aumento da circa 35 a 68 anni.
Tali politiche subirono un contraccolpo a partire dal nuovo corso politico ed economico inaugurato da Deng Xiaoping; in particolare vennero smantellate le comuni popolari, istituzioni che precedentemente gestivano anche le assicurazioni sanitarie rurali garantendo un livello almeno basilare di assistenza sociale e sanitaria.
Lo Stato ridusse drasticamente la propria partecipazione alla spesa sanitaria, introducendo le user fees come metodo di pagamento delle prestazioni mediche e incoraggiando la privatizzazione di molte strutture sanitarie.
Con il sistema fee-for-service basato sulle user fees il costo delle cure è spesso sconosciuto fino alla fine del trattamento ed è responsabile di numerosi casi di impoverimento; tale sistema incoraggia anche l’irrazionale uso di farmaci, riduce gli sforzi nella prevenzione, inflaziona il costo delle cure mediche, e favorisce la persistenza dip nuove e vecchie malattie.
L’introduzione del Nuovo schema medico cooperativo nel 2001 rappresentò un primo tentativo di riforma sanitaria.
La sua introduzione aveva come principale obiettivo la riduzione dei casi di impoverimento derivanti da spese mediche, ed era strutturato per coprire parte dei costi di ricoveri ospedalieri.
I rimborsi per i servizi ambulatoriali erano a discrezione delle autorità locali, alle quali è delegato anche un ampio potere decisionale sull’implementazione del Ncms.
Sebbene l’importo dei contributi allo schema assicurativo sia stato periodicamente aumentato da Pechino, i massimali di rimborso ancora relativamente bassi e il pagamento anticipato per le cure sanitarie continuarono a rappresentare ostacoli all’accesso alle cure: ciò è testimoniato dal fatto che sebbene il tasso di sottoscrizione al Ncms abbia raggiunto – al 2010 – il 94 per cento della popolazione rurale, i casi di ricoveri disattesi e quelli di dimissioni anticipate dall’ospedale restano elevati.
La riforma sanitaria lanciata nel 2009 persegue lo scopo di assicurare un equo accesso alle cure alla popolazione entro il 2020, mediante l’attuazione di una serie di manovre volte all’aggiustamento delle disfunzioni del sistema sanitario e coinvolgendo gli ambiti di gestione ospedaliera, farmaceutico, della sanità di base e quello delle assicurazioni statali.
I processi sociali intercorsi nella Cina di Deng hanno prodotto differenze anche regionali nella tutela della salute.
Nelle regioni centro-occidentali il governo cinese si è fatto promotore, durante il corso degli anni, di numerose campagne di sviluppo e di riduzione della povertà anche con l’ausilio di organizzazioni internazionali.
A questi interventi è sottesa la volontà da parte di Pechino di mantenere la stabilità e l’“armonia” sociale specialmente nelle aree dove è radicata una forte componente etnica non-Han: i programmi di lotta alla povertà, infatti, interessano spesso territori di frontiera dove i gruppi etnici minoritari sono considerati da Pechino fonti di possibile instabilità per il paese, e dove specifiche politiche (ethnic policies) sono state attuate sin dai primissimi anni della Repubblica popolare cinese.
In queste zone della Cina centro-occidentale il governo ha posto un forte accento sullo sviluppo economico quale propulsore dello sviluppo sociale.
Tali programmi hanno interessato lo sviluppo dell’economia e dell’apparato infrastrutturale, considerato da Pechino il primo passo verso la modernizzazione, mentre gli interventi di sviluppo sociale sono stati limitati.
Le riforme del sistema sanitario pubblico contenute nelle linee guida di tali programmi rimangono spesso subordinate a interessi di tipo economico e politico.
La Regione autonoma tibetana si trova all’ultimo posto per indice di sviluppo umano e tra la popolazione tibetana residente sono registrate differenze significative circa il grado di salute, gli indici di mortalità infantile e di speranza di vita rispetto alla media della Rpc.
Alcune delle politiche sanitarie attuate da Pechino nella Regione si sono tradotte in interventi dai metodi di realizzazione discutibili: sedentarizzazione di comunità nomadi, strutture sanitarie costruite ad hoc con componenti tecnologiche sofisticate ma carenti delle dotazioni basilari (disponibilità di acqua corrente ed elettricità), mancanza di interventi nella prevenzione.
Parallelamente la medicina “tradizionale” ha subito un’inflazione nei costi, precludendo parzialmente l’accesso alla popolazione locale.
La Regione è stata interessata da interventi della Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri dal 1996, anno di avvio della prima fase del progetto Sviluppo della medicina d’urgenza e pronto soccorso in Tibet affidato all’ong Cisp nelle prime due fasi.
La Cooperazione italiana, presente in Cina dagli anni Ottanta con progetti orientati alla protezione ambientale e di tutela del patrimonio artistico – oltre che al campo sanitario – è nella Regione uno dei maggiori donatori.
Nel contesto sanitario, la Cooperazione italiana allo sviluppo si inserisce nel quadro della riforma vigente, e continua a sviluppare insieme al Ministero della sanità cinese e a varie controparti istituzionali nuove strategie di cooperazione allo sviluppo, anche alla luce dei risultati ottenuti da alcune indagini epidemiologiche promosse dalla stessa Dgcs, frutto di attenta osservazione sul campo di quelli che sono i bisogni fondamentali e le soluzioni più sostenibili applicabili alle diverse realtà locali.
Gli interventi in materia socio-sanitaria realizzati dalla Cooperazione italiana sono stati improntati al potenziamento della medicina d’urgenza al rispetto di pratiche mediche non sempre osservate (come la catena del freddo dei vaccini) e verso lo sviluppo e la sperimentazione di sistemi di gestione ospedaliera.
Nella Regione autonoma tibetana la Cooperazione italiana allo sviluppo ha portato avanti iniziative a carattere sanitario inizialmente improntati sulla medicina d’urgenza (prima fase del progetto Sviluppo della medicina d’urgenza e pronto soccorso in Tibet), successivamente estese alle cure di base, a quelle materno-infantili e preventive – gli aspetti disincentivati dal sistema sanitario cinese ma presupposti irrinunciabili per controllare l’insorgenza di malattie e contribuire al contenimento dei costi del sistema sanitario – che hanno interessato le due fasi successive del progetto.
*Silvia Migani spina09[@]gmail.com si è laureata in Scienze Internazionali presso l’Università di Torino. Attualmente svolge un periodo di volontariato e studio presso la Thangka Academy / Shangri-La Association of Cultural Preservation, Prefettura autonoma di Deqin nel nord dello Yunnan. Le interessano la montagna e le minoranze etniche.
** Questa tesi è stata discussa presso l’Università di Torino, relatore Giovanni Andornino, correlatori Giorgio Cortassa e Giuseppe Gabusi.
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]