La tesi La lingua cinese nelle pubblicità di prodotti alimentari – Traduzione di tre articoli specialistici ripercorre la storia della pubblicità in Cina per poi focalizzarsi su quello che dovrebbe fare un’azienda oggi per pubblicizzare i propri prodotti in Cina. L’esempio più riuscito è quello della Coca Cola, dalla scelta del nome in cinese alle campagne pubblicitarie ad hoc non ha sbagliato un colpo.
La pubblicità, in cinese guǎnggào 广告, può essere considerata una forma di comunicazione di massa. Come tutte le forme di comunicazione, anche la pubblicità possiede una sua personale storia ed evoluzione. Tuttavia, sembra impossibile poter individuare con precisione una data che ne rappresenti la nascita; sono tante, infatti, quelle che potrebbero esserne considerate le forme primitive. Comunemente, si pensa che il primo annuncio pubblicitario vero e proprio sia apparso nel 1631 in Francia: si trattava della pubblicità di un’acqua minerale, il primo esempio della cosiddetta réclame, la forma natale della pubblicità.
In Cina, la pubblicità ha avuto un percorso particolare. La pubblicità intesa in senso moderno ebbe origine attorno al 1840, dopo la prima Guerra dell’Oppio; le prime pubblicità a stampa comparvero poi su due giornali, lo Shanghai xinbao e lo Shen bao. La prima forma effettiva di pubblicità di massa, invece, era rappresentata all’epoca dai calendari per il Capodanno Cinese, i cosiddetti nianhua 年画: i negozianti distribuivano i calendari, contenenti dei piccoli manifesti pubblicitari, prima dell’inizio del nuovo anno; in questo modo anche le masse, che avevano un accesso limitato ai media a stampa, entrarono in contatto con la comunicazione pubblicitaria. I soggetti raffigurati nei calendari pubblicitari erano vari, spaziavano dalle figure storiche ai riti religiosi, dalle leggende Confuciane agli scenari naturali. Col passare del tempo, si diffuse un altro genere di pubblicità, soprattutto nella città di Shanghai: si trattava dei manifesti esposti in appositi spazi pubblicitari, all’interno dei primi centri commerciali.
Nel 1949, con l’ascesa al potere del Partito Comunista Cinese, l’evoluzione della pubblicità in Cina subì un brusco arresto, in particolare durante il periodo della Rivoluzione Culturale (1966-1976): la pubblicità era etichettata allora come la massima espressione del sistema economico e culturale capitalista, un sistema ripugnato dai comunisti. La crisi della pubblicità perdurò per circa un trentennio. Tra il 1949 e il 1979 le guardie rosse di Mao, icone della Rivoluzione Culturale, distrussero un’ingente quantità di materiale pubblicitario e di documenti sulla storia della pubblicità, mentre coloro che esercitavano la professione di pubblicitari furono aspramente criticati e perseguitati.
Una svolta si ebbe in occasione della terza sessione plenaria del XXI Comitato Centrale del PCC, tenutasi nel 1978; dopo la sessione, la Cina iniziò ad applicare la politica di riforma e di apertura promossa da Deng Xiaoping, dando inizio ad un periodo di sviluppo sociale ed economico.
Il settore della pubblicità risentì di questa svolta in maniera positiva: era proprio il gennaio del 1979 quando sul Tianjin daily comparve nuovamente, dopo un lungo periodo di assenza, un annuncio pubblicitario. Dopo un periodo di forte isolamento culturale è facile intuire come la comunicazione, l’editoria e l’arte fossero arretrate in un paese come la Cina: le prime pubblicità, fino al 1989, dedicavano poca importanza all’aspetto visuale e grafico, e riservavano invece ampio spazio alle didascalie, risultando di conseguenza poco efficaci sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista di richiamo del pubblico. Il linguaggio pubblicitario era standardizzato, e si serviva dell’utilizzo dei chengyu e di altre espressioni che ricorrevano spesso all’interno degli slogan pubblicitari, come ad esempio "qualità affidabile" (zhiliang kekao 质量可靠) oppure "prezzo vantaggioso" (jiage youhui 价格优惠).
Furono gli anni Novanta a consacrare la diffusione della pubblicità moderna in Cina: all’interno del PCC furono risolte definitivamente alcune questioni ideologiche riguardanti il settore pubblicitario; entrò poi in vigore la legislazione inerente la pubblicità, della quale si discuteva all’interno del Consiglio di Stato fin dal 1982. Questi eventi storici, insieme ad una sensibile crescita economica e ad un aumento del PIL, favorirono l’affermazione di questo nuovo mezzo di comunicazione, che iniziò ad assumere le caratteristiche della pubblicità intesa in senso moderno, soprattutto dal punto di vista della creatività. Negli spot televisivi degli anni Novanta dominavano gli effetti speciali ed una grafica colorata, mentre per quanto riguarda i mezzi a stampa, le illustrazioni lasciavano il posto alla fotografia ed il layout diventava sempre più curato, ricco ed accattivante. Inoltre, la comunicazione pubblicitaria estese il suo campo d’azione, poiché iniziava ad essere utilizzata in tutti i settori, da quello industriale a quello culturale e dei servizi. Il linguaggio, in passato descrittivo e privo di vivacità, divenne più evocativo, scorrevole e diretto. Si iniziò a fare ricorso agli slogan (in cinese kouhao 口号), scritti in un linguaggio colloquiale (dabaihua 大白话), alla portata di tutti; alcuni slogan ebbero un così grande successo di pubblico che furono presi a modello per gli slogan successivi.
Dagli anni Novanta ad oggi, il settore della pubblicità in Cina ha proseguito nel suo sviluppo, di pari passo con il boom economico che ha contribuito alla modernizzazione della nazione. Nel 2001, la Cina è entrata poi a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO, World Trade Organization); la sua partecipazione attiva all’interno del commercio internazionale dimostra che la Cina è ormai perfettamente integrata con il mercato economico mondiale. Nel 2006 l’associazione culturale Ad European Events (ADEE) ha dedicato la sedicesima edizione dell’Ad Spot Award, una rassegna internazionale di comunicazione sociale, pubblica e d’impresa, alla Cina. Ogni anno la manifestazione è dedicata ad una nazione emergente, al fine di stimolare il dialogo tra le diverse nazioni su temi di natura sociale.
La pubblicità sociale in Cina, spesso costituita da cartelloni pubblicitari affissi in tutta la nazione (gongyi guanggao pai 公益广告牌), rappresenta uno dei tanti aspetti del mercato pubblicitario, che ha beneficiato poi dell’impulso di due grandi eventi che hanno avuto luogo in Cina: le Olimpiadi di Pechino nel 2008 e l’Expo di Shanghai nel 2010. In queste occasioni, la Cina ha deciso di operare su due piani differenti: per quanto riguarda la propaganda per il mercato locale, sono stati proposti concetti quali tradizione, potenza, orgoglio e splendore posti in chiave nazionalistica, al fine di mantenere unito il Paese; per quanto riguarda il mercato internazionale, invece, la Cina ha voluto diffondere l’immagine di un Paese amichevole ed ospitale, che da una parte vanta una lunga storia e una civiltà millenaria, e dall’altra è in continuo sviluppo e viaggia verso un futuro radioso di modernità. Dopo il 2008, l’anno olimpico che ha consacrato la Cina all’interno del panorama mondiale, si è diffusa una metafora ricorrente in numerose pubblicità, quella della corsa: l’immagine della corsa vuole rappresentare la tenacia della nazione cinese, che nonostante i pregiudizi sul “made in China”, spesso considerato sinonimo di bassa qualità, mira a ricoprire un ruolo da protagonista all’interno del mercato mondiale, e si fa sempre più spazio tra le grandi potenze economiche.
Al giorno d’oggi, la pubblicità in Cina non riguarda soltanto i prodotti appartenenti al mercato locale; grazie alla globalizzazione, anche i grandi marchi mondiali e le multinazionali hanno fatto il loro ingresso nel mercato cinese, e si sono affidati alla pubblicità per raggiungere un maggior successo.
Le aziende che esportano i loro prodotti in più nazioni dovrebbero creare delle campagne pubblicitarie diversificate per ognuna di esse: ogni nazione possiede infatti un proprio modello di comunicazione, una propria sensibilità, che va stimolata in maniera consona, al fine di ottenere dei risultati positivi a livello pubblicitario. Per adattare una pubblicità al target a cui essa è destinata, si deve ricorrere alla procedura della localizzazione, in cinese bentuhua 本土化. La localizzazione è una strategia traduttiva che prevede l’eliminazione di tutti gli elementi culturali del testo di partenza che non appartengono alla cultura ricevente, e la loro sostituzione con elementi vicini al destinatario del testo di arrivo. Se la strategia della localizzazione è adottata in maniera corretta, il testo sarà percepito dal destinatario come originale, e recepito in maniera corretta; nel caso della comunicazione pubblicitaria, la corretta ricezione del messaggio sarà poi sinonimo di efficacia sul piano commerciale. Il primo passo del processo di localizzazione è quindi un attento studio della cultura ricevente.
Nel caso della Cina, analizzando il mercato pubblicitario, si può notare come la pubblicità presenti delle caratteristiche ricorrenti, quali una forte ripetitività ed una predominante componente nazionalistica. Per quanto riguarda i testimonial, spesso le aziende scelgono dei bambini, poiché la loro dolcezza colpisce l’immaginario cinese. È inoltre frequente il ricorso ad ambientazioni che ripropongono uno stile di vita occidentale, per lo più europeo, che per i cinesi rappresenta uno stile di vita ideale. Le pubblicità cinesi ricorrono ai valori familiari, alla solidarietà, al gioco di squadra e alle relazioni sociali sincere, a storie o parole familiari alla cultura cinese, rivisitate in chiave moderna. La localizzazione, per le aziende che desiderano esportare i propri prodotti in Cina, è una strategia che va adottata da principio, persino nella scelta del nome dell’azienda o del prodotto pubblicizzato, poiché è proprio da questo che dipende il successo di un prodotto e l’accoglienza positiva del marchio da parte dei consumatori cinesi.
I prodotti alimentari, assieme ai prodotti di bellezza e ai capi di abbigliamento, rappresentano una delle categorie merceologiche più esportate, in Cina come in tutto il mondo. Molte grandi aziende, soprattutto le multinazionali quali Mc Donald, KFC (Kentucky Fried Chicken), Pepsi, godono di grande fama in Cina, e ciò è in parte dovuto alle campagne pubblicitarie di successo che hanno prodotto. Tra le multinazionali del mercato alimentare che si sono distinte nella creazione di pubblicità su misura per la cultura cinese, spicca la Coca-Cola Company, il colosso che produce e commercia a livello mondiale varie bevande analcoliche, tra cui la celebre Coca-Cola.
Il nome cinese che l’azienda ha adottato è kekou kele gongsi 可口可乐公司, da cui il nome della bevanda, kekou kele, detta più semplicemente kele.
Il nome della bevanda può sembrare, a prima vista, una semplice traslitterazione del nome originale, ed infatti in parte lo è. Tuttavia, se si studiano attentamente i caratteri che compongono il nome, si può notare come i primi due, che formano il composto kekou, (un aggettivo che significa “buono, saporito”) siano sapientemente affiancati all’aggettivo kele, che significa invece “allegro, divertente”; il risultato è un nome che comunica al consumatore cinese due concetti, quello di felicità e, al contempo, quello di bontà e piacere, come se questi due stati d’animo fossero direttamente connessi all’acquisto e al consumo della Coca-Cola. Un nome scelto in maniera così accurata è frutto di una consapevole opera di localizzazione, che ha garantito alla multinazionale americana un ampio consenso.
L’azienda poi non si è limitata alla localizzazione del proprio nome, ma ha provveduto a creare per i consumatori cinesi delle campagne pubblicitarie ad hoc. Un esempio ben riuscito è costituito da uno spot televisivo della durata di sessanta secondi, prodotto ad Harbin. Lo scenario della pubblicità è un paesino della Cina del Nord, in cui vivono i principali testimonial dello spot, due bambini; la scena si svolge prevalentemente all’aperto, in inverno; il sottofondo musicale è costituito da un allegro motivo tradizionale cinese. I due bambini, che indossano delle giacche invernali di un rosso vivace, sono prima alla finestra, e poi corrono all’aperto, in un campo innevato, dove uno dei due costruisce una piccola girandola rossa. Intanto, il vento sembra aumentare, ed i bambini, sorridendo, accolgono la prima nevicata del nuovo anno. Gli altri abitanti del villaggio, che indossano tutti almeno un capo di abbigliamento rosso, corrono anch’essi all’aperto, sotto la neve, e sullo stesso sottofondo musicale, divenuto ancor più allegro, sono inquadrate delle lanterne cinesi, e una distesa di girandole di carta rosse, tra cui quella costruita dal protagonista, poste su delle cannucce piantate nella neve. Una dei due bambini mostra poi alla telecamera il nome della bevanda di cui ha in mano una bottiglia sin dall’inizio della pubblicità: si tratta, ovviamente, della Coca-Cola.
La “sinizzazione” di questo spot pubblicitario è tangibile, a partire dalla musica e dall’ambientazione tipica della Cina del Nord, per finire con la scelta del colore predominante, il rosso, simbolo del marchio Coca-Cola ma anche della Cina. Il rosso costituisce il colore della maggior parte degli elementi contenuti nello spot (abiti, cappellini, sciarpe, lanterne, girandole), e spicca in maniera limpida anche grazie al sapiente accostamento del colore stesso ad uno scenario spento, prevalentemente costituito dal bianco della neve e da sfumature di grigio o marrone, colori scuri che caratterizzano gli elementi restanti, come le abitazioni o il resto dei vestiti dei protagonisti. Inoltre, la pubblicità è priva della parte narrativa; questa scelta, che conferisce ancora più importanza alle scene, è stata una scelta consapevole, poiché i consumatori cinesi sono abituati ad una pubblicità composta puramente da immagini e priva di una voce narrante. La campagna pubblicitaria descritta rappresenta uno dei tentativi di localizzazione maggiormente riusciti, ed ha riscosso un enorme successo non solo in Cina ma anche in altre nazioni del continente asiatico; lo spot pubblicitario si sposa perfettamente con la politica della multinazionale americana, riassunta dall’azienda stessa in un motto che tutte le aziende che mirano ai mercati esteri dovrebbero adottare: Think locally.
*Silvia Palumbo palumbosilvi[@]gmail.com è nata a Scorrano (LE) il 31 gennaio 1990. Dopo la maturità scientifica, consegue nel 2012 la Laurea Triennale in Scienza e Tecnica della Mediazione Linguistica presso l’Università del Salento, e nel 2014 la Laurea Magistrale in Interpretariato e Traduzione editoriale-settoriale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
**Questa tesi è stata discussa presso l’università di Venezia Cà Foscari. Relatore: prof.ssa Nicoletta Pesaro; correlatore: prof. Paolo Magagnin