SINOLOGIE – Modelli di vita per A Yi

In by Simone

La tesi Modelli di vita: Proposta di traduzione e commento di sette capitoli di un romanzo di A Yi è un viaggio nell’interiorità dell’autore che si racconta in uno stile molto personale. Col desiderio di slegarsi dalla realtà e dirigersi nella natura selvaggia della libertà A Yi mostra al lettore le sue debolezze trascinandolo nell’enigma dell’esistenza. Viaggiando di città in città ho capito il significato della vita”, queste parole sono tratte dal romanzo Mofan qingnian di A Yi, un romanzo scritto “on the road” nella costante ricerca di una collocazione di sé nel mondo.

Si tratta del secondo romanzo dell’autore, un’autobiografia romanzata, i cui protagonisti si identificano nell’autore stesso, A Yi, e il suo compagno di scuola e di lavoro Zhou Qiyuan. La morte dell’amico spinge A Yi a scrivere questo romanzo come per rendere omaggio a lui e alla sua vita che l’autore stesso definisce solitaria.

Una condizione che è possibile apprendere leggendo il romanzo strutturato sul costante confronto tra i due protagonisti, sul loro modo di vivere: A Yi irrequieto e alla ricerca di una strada giusta da seguire, Zhou Qiyuan solo e con un futuro che lui ha già ben definito dentro di sé. Il titolo del romanzo è la questione alla base della trama: chi è tra i due il giovane modello? Domanda che non trova risposta neanche alla fine del libro che l’autore stesso definisce “enigma”. La ricerca di un modello di vita, che è quello che ha portato a definire il titolo del lavoro, spinge l’autore ad affrontare tanti viaggi dalla sua piccola città di contea di Ruichang a Pechino, fino a sognare New York.

Trattandosi di un’autobiografia romanzata, Mofan qingnian si distingue dal resto della produzione letteraria di A Yi. Precedentemente l’autore ha sempre pubblicato raccolte di racconti brevi per lo più dei gialli, opere su cui ha avuto una grande influenza il suo primo lavoro di poliziotto. Una delle caratteristiche più particolari di quest’autore, che ha comportato la scelta dell’argomento, è proprio la sua vita.

L’autore, nato nel 1976, attualmente lavora solo come scrittore, ma si è diplomato presso l’Accademia di Polizia e ha esercitato la professione di poliziotto per cinque anni, pur nutrendo da sempre una forte passione per la scrittura. Questa professione gli ha permesso di conoscere i lati più oscuri della natura umana. Partendo dalle sue esperienze personali A Yi ha messo sulla carta un uomo “normale” con le sue debolezze, i suoi dubbi e le sue incertezze.

In questa costante ricerca dell’uomo, filo conduttore delle sue opere compresa Mofan qingnian, la scrittura di A Yi può essere definita antropologica. Questo porta l’autore ad affrontare altri due grandi temi: la realtà e l’ambientazione. In questo senso l’autore potrebbe essere definito neo-espressionista, nello stesso modo in cui si dichiara Italo Calvino nella Prefazione a Il Sentiero dei nidi di ragno. Calvino dice “il mio paesaggio […] era un paesaggio che nessuno aveva mai scritto davvero”, così come la realtà nell’opera di A Yi è filtrata dai sentimenti dei suoi personaggi e diventa riflesso della loro interiorità. L’ambientazione è invece da intendere proprio come topografia, come studio dei luoghi, nella concezione della vita come viaggio attraverso cui trovare una propria strada per vivere.

I temi affrontati dall’autore corrispondono alle tematiche oggetto degli scrittori appartenenti al gruppo dei qilinghou, gli autori nati e cresciuti a partire dagli anni Settanta, di cui l’autore è uno dei massimi esponenti. Tuttavia nel trattare questi temi lo stile di A Yi è qualcosa di veramente singolare tanto da essere definito “bizzarro”.

Le trame delle opere di A Yi si perdono nei suoi viaggi interiori a tal punto che la trama si limita a essere un’impalcatura narrativa facendo in modo che il lettore diventi un tutt’uno con i pensieri dei personaggi. Questi sono stati infatti definiti “improvvisi” perché nella lettura la realtà interiore e l’ambientazione diventano talmente importanti da superare la trama e i personaggi e quando il lettore li incontra si trova spiazzato non riuscendo più a riconoscerli.

Per esempio in Mofan qingnian il lettore ha la sensazione di conoscere solo i due protagonisti perdendo di vista personaggi secondari come la famiglia o le diverse ragazze di cui si parla. Quando ricompaiono il lettore lo avverte come un ritorno alla realtà. In questo senso lo stile dell’autore è molto kafkiano. Come Kafka parte dal proprio vissuto per scrivere di una realtà altra, A Yi pur non trattando il genere fantastico, parte dalla “sua” realtà trascinando con sé il lettore, trasportandolo in una dimensione altra. Quando ricompare la trama, quando la storia riprende il suo corso e non è più l’interiorità dei personaggi a parlare, il lettore si sveglia e ritorna nella vita normale della narrazione.

L’alternanza tra le due realtà si riscontra anche nell’alternanza tra stile denotativo e connotativo. Il primo è quasi documentaristico – fotografico, come se la realtà e l’ambientazione fossero una foto e oggettive così come si presentano a prima vista. Il secondo stile, quello connotativo, rappresenta la voce dell’interiorità dei personaggi che non sono altro che un tramite attraverso cui emerge la voce dell’autore, soprattutto in un romanzo come Mofan qingnian il cui protagonista si identifica nello stesso A Yi.

In questo caso si riscontrano descrizioni cariche di figure retoriche, di enfasi, di pensieri sotto forma di flusso di coscienza, ma anche di pause, caratteristica che l’autore eredita dal suo scrittore preferito: Albert Camus. Nello stile narrativo dell’autore de Lo Straniero, libro preferito di A Yi, si riscontra la stessa alternanza anche a livello testuale. Infatti lo stile “bizzarro” dell’autore è riscontrabile nella presenza di periodi molto lunghi alternati a frasi brevi o di linguaggio formale e linguaggio colloquiale a tal punto da usare a volte varietà dialettali.

Nell’alternanza che a questo punto si può riconoscere non soltanto contenutistica ma anche stilistica si uniscono i grandi temi della letteratura di A Yi: l’uomo, la realtà e l’ambientazione, facendo venir fuori i sentimenti che riflettendosi nella realtà circostante si uniscono alla terra, quella in cui l’autore e i suoi personaggi cercano di trovare una propria collocazione.

What place is this still so desolate as before / This endless journey goes so slowly
, dice la traduzione inglese di una canzone di Xu Wei, cantante anche lui nato negli anni Settanta. Nella strada della vita il problema sorge quando non si trova mai il posto adatto, quando non ci si riesce a riconoscere in nessun posto. È a questo punto che la vita prende forma come un viaggio senza fine. Sembra di appartenere a qualsiasi luogo, ma alla fine una volta andati via non si appartiene più a nulla.

La mia vita è stata permeata da una ricerca della liberazione”, queste le parole di A Yi che si trova in un costante stato di irrequietezza nella ricerca del suo modello di vita, nella ricerca della libertà. Nell’impossibilità di trovare una propria giusta collocazione l’autore trova la debolezza della natura umana, cosa che prima di ogni altra vuole comunicare con la sua letteratura.

La concezione della vita è molto pessimistica per A Yi: nulla ha senso nella vita se la si interpreta come allucinazione. A questa visione della vita ha contribuito in maniera molto forte l’episodio della morte dell’amico Zhou Qiyuan, perché è stata la prima volta che l’autore ha dovuto fare i conti con l’effettiva relatività dell’essere umano. La conclusione a cui porta il lavoro dell’autore è la decostruzione dell’individuo e della vita stessa.

L’autore definisce la sua vita “resistenza”: resistenza alla noia, all’insignificanza che lo circonda. In questa situazione la letteratura rappresenta la sua ancora di salvezza. La letteratura è il riscatto della vita, è il mezzo che gli offre la possibilità di fuggire alla sua condizione. Anche in questo caso, una concezione della letteratura molto kafkiana: “la letteratura mi fa vivere” diceva il buon Franz.

Tuttavia, nonostante si tratti di una scrittura neo-espressionista, l’oggettività è alla base del processo creativo dell’autore. A Yi definisce la scrittura come dittatura: lo domina. Sembra una contraddizione in termini parlare di oggettivismo in una scrittura soggettiva, ma solo nel momento in cui l’autore riesce a distaccarsi dagli altri e a guardare in modo oggettivo la realtà lui comincia a scrivere, non nella rabbia delle emozioni, ma quando diventa straniero di se stesso e degli altri.

È stato possibile contattare direttamente l’autore, cosa che ha permesso di conoscere meglio il suo pensiero, e dall’intervista [prossimamente su China Files] è emerso che ci sono due autori italiani che A Yi apprezza molto: Pirandello e Baricco. Con il primo ha in comune la decostruzione dell’individuo e della vita stessa, con la differenza che mentre in Pirandello è il punto di partenza delle sue opere, nel suo caso è la conclusione a cui si giunge dopo il vano tentativo di costruirsi una vita. La decostruzione si estende anche sul piano stilistico riscontrando una somiglianza con il secondo autore italiano.

Lo stile “bizzarro” di A Yi è talmente particolare che può non piacere a tutti. In questo senso un lettore può amarlo o odiarlo. La stessa reazione si ha leggendo Baricco, una decostruzione che si riflette anche sul piano stilistico come disomogeneità della narrazione. Tutto questo è ampiamente visibile nel romanzo Mofan qingnian, un’opera dove prende voce l’autore stesso senza usare la maschera di un altro personaggio.

Scegliere i primi sette capitoli per la traduzione oggetto del lavoro è stata una scelta meditata. Dopo aver effettuato una prima lettura del romanzo non sono state riscontrate particolari caratteristiche che potevano in qualche modo interessare la traduzione e, trattandosi di un’autobiografia, in cui gli episodi vengono esposti in ordine temporale, è stata presa questa decisione; innanzitutto per una maggiore chiarezza della trama e in modo che il traduttore potesse avere un quadro più lineare. Inoltre trattandosi di un costante confronto tra i due protagonisti, i primi capitoli hanno permesso di capire meglio sia i due personaggi sia la loro crescita, le loro scelte, la loro strada.

Si è quindi proceduto con la traduzione dei capitoli e con la stesura del commento traduttologico in cui sono espresse le difficoltà incontrate durante il processo traduttivo e le relative soluzioni. Inoltre è stato anche aggiunto un glossario sul testo tradotto. Durante un lavoro di traduzione bisogna imparare a correre con lo stesso passo dell’autore, diceva Fernanda Pivano. La possibilità di parlargli attraverso un’intervista, posta in appendice nella tesi, ha permesso un approccio molto più consapevole alla traduzione.

In maniera ancora più profonda è stato possibile individuare la dominante del testo e di conseguenza scegliere la macrostrategia più adatta. La dominante si identifica nella funzione espressiva del testo che è la narrazione del sentimento. Allo stesso tempo è stata individuata una sottodominante estetica, l’estetica del sentimento. Entrambe sono state mantenute nella traduzione.

In greco tradurre si dice metagrafo, formato da meta (“oltre”) e grafo (“scrivere”); in latino si dice transcribo formato da trans- (“attraverso”) e scribo (“scrivere”). Se tradurre è trasportare il messaggio del testo di partenza e crearlo nel testo di arrivo, la macrostrategia seguita ha cercato di rendere giustizia all’autore e al lettore, creando un ponte tra le due figure. L’autore vuole comunicare la debolezza della condizione umana al lettore e questo si può realizzare traducendo prima di tutto quello che l’autore vuole dire, ma anche rendendolo comprensibile al lettore.

Bisogna sempre tener presente la distanza tra la cultura italiana e quella cinese, e capire che ci sono dei concetti ma anche dei fatti, come nel caso dei riferimenti storici, che non è semplice tradurre. Sono quei casi in cui si è cercato di trovare una via di mezzo tra l’autore e il lettore, a volte adottando microstrategie in cui si favoriva ora l’uno ora l’altro.

La dominante del testo è stato quello che ha guidato questo lavoro di traduzione. Fornire un testo leggibile al lettore è sicuramente fondamentale, ma anche rispettare il pensiero dell’autore soprattutto in un caso come questo in cui non solo è la sua anima a venir fuori, ma è importante tradurre anche il “modo” con cui lo fa. Lo stile carico di figure retoriche, a tratti denotativo a tratti connotativo, non si può ignorare. La traduzione di quello che prima è stato definito estetica del sentimento ha costituito un passo importante nella resa del testo.

Si è proceduto nel rispetto di entrambe le culture e di entrambi i testi, ma si è sempre tenuto presente che una traduzione è pur sempre una traduzione non un testo scritto di proprio pugno. In essa devono apparire tutte quelle differenze che la caratterizzano e che anche il lettore deve poter cogliere per ricordare che si tratta di un prodotto che ha origini differenti dalle sue. Per dirla come Costance B. West: il compito del traduttore è quello di saldare un debito pagando non con la stessa moneta, ma pagando la stessa somma.

*Fulvia Difonte, f.difonte[@]libero.it, nata a Foggia il 24/12/1989, si laurea nel 2011 in Mediazione linguistica e comunicazione interculturale presso l’Università d’Annunzio di Chieti – Pescara e nel 2013 in Interpretariato e Traduzione Editoriale, Settoriale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Effettua un periodo di studio all’estero seguendo un corso di lingua cinese presso la Beijing Language and Culture University. La passione per la comunicazione, non solo attraverso le lingue, la porta a diplomarsi in violino nel 2009.

**Questa tesi è stata discussa presso Università Ca’ Foscari di Venezia. Relatore: prof. Paolo Magagnin

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]