Successivamente all’apertura del mercato cinese al capitalismo, il lavoratore cinese dovette comprendere dinamiche a lui prima completamente sconosciute: quelle di un mercato del lavoro dove lo sfruttamento era di base l’unico modo per uscire dalla povertà. L’esercito di operai richiesti dalle nuove imprese a proprietà privata – e non solo – si compose ben presto di manodopera a basso costo proveniente dalle zone rurali. In questo nuovo frangente, dagli anni Novanta in poi prese forma un flusso sempre maggiore di lavoratori provenienti dalle campagne, provvisti quindi di un hukou rurale, che migravano verso i nuclei urbani in cerca di lavoro. Non solo essi fecero esperienza di sfruttamento e discriminazione nelle fabbriche, ma furono protagonisti – e lo sono ancora – di una discriminazione istituzionale: sprovvisti di un hukou cittadino, ed impossibilitati ad ottenerlo, non potevano accedere a servizi a beneficio dei soli cittadini.
Come sottolinea Federico Picerni in un articolo pubblicato a marzo su Sinosfere, l’appellativo comune usato per il nuovo operaio contemporaneo cinese, quello di 农民工nongmingong, letteralmente “contadino-lavoratore”, esprime una forte incertezza nella classificazione sociale di questi individui, emigrati dalle loro città d’origine e quindi non più contadini, ed allo stesso tempo non adeguatamente integrati nel tessuto urbano.
In risposta alla sua condizione di estrema precarietà, il contadino-operaio si rivolse a volte al mezzo poetico, componendo poesie cariche di racconti di vita quotidiana e immagini alienanti. Poesie che, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, vennero per la prima volta raccolte in antologie: compaiono nomi di autori come Chi Moshu, Chen Caifeng, Zheng Xiaoqiong e Tiao Gu, esponenti del genere che divenne noto come “poesia operaia contemporanea” 打工诗歌dagong shige, in cui da gong designa la condizione di estrema precarietà dei lavoratori giunti in città dalla campagna. Questa espressione, seppur con alcune eccezioni come puntualizza Federico Picerni, racchiude tutta la produzione poetica dei migranti rurali dagli anni Ottanta del secolo scorso e segna una cesura con quanto venne scritto dai lavoratori durante il periodo maoista, a cui fa riferimento l’espressione工人文学gongren wenxue.
Nei componimenti poetici di questi “nuovi” operai ricorrono le esperienze negative subite sul luogo di lavoro e le sensazioni di alienazione e di “auto-estraneazione” nate a causa di turni lunghi e massacranti e mansioni sempre uguali. Come afferma Sorace, questi poeti operai danno una forma artistica alle intuizioni di Marx: il corpo, divenuto appendice della macchina, non appartiene più all’individuo, che si ritrova svuotato di vitalità e privato di autonomia decisionale. L’operaio finisce per maturare in un certo senso un rapporto di affetto e simpatia camerateschi nei confronti del macchinario, elemento che condivide la sua stessa sorte durante tutto il turno di lavoro. In fondo, macchinari e lavoratori condividono un simile destino, “they wear out and are discarded when they no longer increase capital”.
Nell’ambito dei cosiddetti “incidenti collettivi” di un certo peso, vale a dire le grandi, o perlomeno rilevanti proteste sul lavoro che si sono registrate in Cina negli ultimi anni, non è raro incontrare poeti operai. Se ne trovano tra gli attivisti più appassionati alla risoluzione dei conflitti, tra i lavoratori più agguerriti nella difesa dei propri diritti, o solamente qualcuno finito in una notizia di cronaca nera – come Xu Lizhi 许立志, giovane poeta, lavoratore della Foxconn suicidatosi nel 2014.
Anche tra gli attivisti della lotta di sindacalizzazione registratasi alla Jasic Technology, impianto di saldatura nei pressi di Shenzhen, vi era un poeta, Mi Jiuping 米久平. Classe 1982, originario dello Hunan, venne arrestato assieme agli altri colleghi impegnati nella protesta e a due anni da quegli eventi nessuno dei coinvolti è stato ancora rilasciato. Sebbene tutti i lavoratori della lotta e gran parte dei sostenitori – tra cui un gruppo di studenti universitari di sinistra giunti a Shenzhen in supporto – siano stati arrestati o rapiti per mano degli uomini degli apparati di sicurezza governativi, la lotta della Jasic resta ancora ad oggi uno degli episodi più importanti di attivismo del lavoro in Cina degli ultimi anni. Vista la rilevanza dell’organizzazione della mobilitazione operaia, oltre che del sostegno da parte della rete neomaoista e delle nuove leve di giovani interessati alla pratica del marxismo, il caso Jasic sta riacquistando proprio in questi mesi un ruolo centrale nelle discussioni relative al mondo operaio cinese ed alla lotta di classe.
È proprio di Mi Jiuping la poesia che Pun Ngai, professore associato alla Hong Kong University of Science and Technology e autrice di numerose pubblicazioni personali e collettive, inserisce all’inizio di un lungo articolo pubblicato il mese scorso sul sito web neomaoista Red China, che discute sul ritorno al comunismo e sull’emergere dell’attivismo rivoluzionario in ambito industriale (trovate l’articolo interamente tradotto su Sinosfere).
La poesia in questione, 我和我们 wo he women – “io e noi” – fu scritta dal Mi Jiuping, secondo quanto riportato dal sito dei sostenitori della lotta Jasic, in seguito al suo arresto del 27 luglio 2018. Nel sito, si descrive con dovizia di particolari la passione con cui Mi si interessò alla condizione lavorativa alla Jasic e, ancor prima, di quanto la sua infanzia costellata di difficoltà lo avesse istruito su come essere un combattente, generoso e pronto ad aiutare chiunque in difficoltà.
A maggio del 2018, nello stabilimento della Jasic Technology nel distretto di Pingshan, a Shenzhen, Mi Jiuping prese l’iniziativa di redigere una lettera congiunta in cui si chiedeva alla fabbrica di abolire l’illegale sistema sanzionatorio e di porre fine alle violenze e punizioni ai danni dei lavoratori, in seguito a ciò che era avvenuto pochi giorni prima all’operaio Yu Juncong, picchiato da un caposquadra. Il 10 maggio, Mi ed i suoi colleghi Liu Penghua刘鹏华 e Zhang Baoxin 张保信presentarono la lettera di rimostranze al sindacato del distretto, ottenendo l’approvazione da parte del presidente del sindacato per istituire un ramo sindacale aziendale. I dirigenti della Jasic, però, non fornirono il timbro (盖章gaizhang) necessario a permettere la nascita del sindacato. Inoltre, Mi iniziò a subire rappresaglie da parte dei datori di lavoro, che minacciarono più volte di spostarlo di mansione. Dopo essersi rivolto ancora una volta al ramo sindacale del distretto di Pingshan, gli fu risposto che problematiche di questo tipo non erano più di competenza loro, ma dei dirigenti Jasic. Fu allora che Mi Jiuping decise, assieme a Liu Penghua, di intraprendere una raccolta firme per una petizione sindacale, riuscendo in sole due settimane a raccoglierne 89, un numero che equivaleva a circa il 10% della forza lavoro dell’impianto.
Sebbene la Jasic rispose a questa presa di posizione licenziando i principali attivisti, nei giorni successivi, Mi e gli altri si diressero ben quattro volte sul luogo di lavoro, intenzionati ad opporsi ad una espulsione che era a tutti gli effetti illegale. Il 27 luglio, di fronte alla Jasic, gli operai furono malmenati ed in seguito arrestati. Il 3 settembre, furono accusati ufficialmente del reato 寻衅滋事 xunxin zishi– “aver provocato litigi e creato problemi” – di uso comune nei casi di protesta sul lavoro.
La storia di Mi potrebbe essere quella di qualsiasi altro nongmingong. Leggere il lungo racconto che il sito del Gruppo di supporto della Jasic – formatosi in seguito al 27 luglio e composto per la maggior parte di studenti marxisti- dedica alla vita di Mi può di certo servire a comprendere gli sviluppi che interessarono il mondo del lavoro operaio sin dai primi anni dall’apertura del marcato cinese e, soprattutto, le discriminazioni perpetrate ai danni dei contadini-operai dagli anni Novanta del secolo scorso.
Un aneddoto raccontato nel sito narra della povertà della famiglia di Mi Jiuping – chiamato affettuosamente dagli attivisti nel sito “zio Jiu” (久叔 Jiu shu): quando egli frequentava la scuola elementare, le famiglie degli alunni dovevano versare ad un certo punto una quota di cinque yuan. Egli, consapevole che i suoi genitori non avessero quella somma, non ebbe il coraggio di informarli e, visto il mancato pagamento, non poté frequentare ancora la scuola. Per più di un mese uscì di casa senza poter andare a scuola, tenendo all’oscuro tutti, finché la famiglia lo scoprì e sistemò la questione. Secondo quando riportato dalla romantica narrazione, già in quegli anni egli aveva compreso quanto il sistema educativo discriminasse le famiglie povere. Difatti, Mi fu impossibilitato a continuare gli studi superiori e, una volta concluse le scuole medie, negli anni Novanta seguì alcuni parenti emigrati nel Guangdong. Qui fece esperienza dello sfruttamento a cui erano soggetti i mingong: turni massacranti e straordinari giorno e notte divennero la sua quotidianità. Nel primo momento libero, quando poté uscire e fare un giro, si imbatté in un gruppo di persone che controllavano i permessi di soggiorno temporanei (暂住证 zanzhuzheng). Privo di documenti, Mi finì in un centro di detenzione (收容所 shourongsuo), in una stanza buia condivisa con decine di persone dagong. Venne rilasciato dopo mesi di abusi e percosse, cosciente di come gli operai che migravano in città non potessero condurre una vita umana, ma dovessero nascondersi “come topi nell’oscurità” – “大家就像暗夜里的老鼠”.
Queste esperienze di violenza “istituzionale” formarono l’uomo gentile e coraggioso che, dopo l’arresto del 27 luglio 2018, in risposta alle autorità che gli intimavano di scrivere una lettera di pentimento (悔过书huiguoshu), compose invece una poesia di denuncia e speranza, che promuoveva la perseveranza nella lotta e la collaborazione tra soggetti sfruttati, invece che la scelta di perseguire nell’individualismo e nell’indifferenza. La lotta di classe risulta possibile solo con la coordinazione tra i lavoratori, volti ad agire in solidarietà. Lo “ziu Jiu” scelse quindi di lottare, nonostante molti commentassero quanto fosse inutile opporsi alle decisioni dei capi, dei potenti: “可是胳膊拧不过大腿啊” – letteralmente “le tue braccia non possono stringere le cosce”.
“Avrò gli affetti, gli amori, le amicizie
avrò ogni cosa
avrò tutto
non oggi
ma in un non lontano avvenire
non io sono io
insieme a noi sono io”
(parte della poesia nella traduzione su Sinosfere).
Questa dicotomia io-noi, la collettività che si oppone all’individualismo e risulta vincente, ritorna ironicamente proprio nella pagina iniziale del sito ufficiale dello stabilimento della Jasic a Shenzhen. Nella pagina tradotta in inglese, compaiono a grandi lettere le parole “We believe in solidarity”, slogan affiancato da una mascherina in riferimento alla lotta collettiva contro l’epidemia di Covid-19. In basso, in sfumature arcobaleno, ecco ancora “#WEAREINTHISTOGHETER” e sotto, ironia delle ironie, una citazione di Malcom X: “When ‘I’ replaced with ‘We’, even the illness becomes wellness”. Se lo leggesse, Mi Jiuping sarebbe di certo d’accordo.
Di Vittoria Mazzieri*
**Vittoria Mazzieri, marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con un’ampia tesi di storia contemporanea che verte sul caso Jasic. Più volte in Cina sia per studio che per diletto, ha maturato negli anni una forte attrazione per gli sviluppi poco sereni dell’attivismo politico dal basso del “paese di mezzo”.