Proprio ad egli, di fatti, va riconosciuto il merito di aver inaugurato una nuova era nell’ambito della linguistica generale, gettato le basi per la fondazione di un rinnovato sistema di studio della grammatica della lingua cinese, ed in particolare di quella classica, ed apportato un prezioso contributo alla Riforma dell’Istruzione, a quella della scrittura ed alla diffusione del mandarino.
È straordinario come quest’uomo, nato nel 1900 in un minuscolo villaggio della remota provincia del Guangxi, sia riuscito a farsi strada in Cina, e successivamente nel mondo, contando esclusivamente sulla propria tenacia e diligenza.
Proveniente da un’umile famiglia con forti difficoltà economiche, la quale potette assicurargli un mero diploma di scuola primaria, studiò da autodidatta per ben dieci anni, accumulando vaste conoscenze soprattutto in campo umanistico, grazie alle quali riuscì innanzitutto a diventare insegnante privato e di vari Istituti di livello inferiore ed in seguito, nel corso degli anni Venti, a superare le prove d’accesso all’Università di Shanghai prima ed alla Qinghua di Pechino poi.
Qui ebbe modo di procedere nel proprio percorso di studi sotto la guida di alcuni delle più eminenti personalità dell’epoca, quali Liang Qichao, Wang Guowei, Chen Yinke e soprattutto Zhao Yuanren; fu quest’ultimo, di fatti, ad alimentare la passione di Wang Li nei confronti della linguistica ed a consigliargli di proseguire la carriera accademica all’estero, più precisamente a Parigi, dove gli studi concernenti la disciplina erano giunti ad un livello particolarmente avanzato.
Agli inizi degli anni Trenta, con una tesi di fonologia sperimentale incentrata sul dialetto della propria terra natia, conseguì il Dottorato e ritornò subito a Pechino, ottenendo il posto di Professore associato presso la Qinghua.
In virtù dell’amore che da sempre lo aveva legato alla propria patria, pur apprezzando la cultura dell’Occidente, la sua potenza, decise di percorrere la stessa strada di altri intellettuali che pure avevano trascorso periodi all’estero, come il Maestro Chen Yinke, scegliendo dunque di non lasciarsi offuscare dalle promesse di benessere ed agiatezza caratteristiche dello stile di vita di quel mondo così lontano, e preferendo invece far ritorno in Cina ed impegnarsi ad offrire il proprio contributo allo sviluppo ed alla promozione della cultura nazionale.
Per quasi cinquant’anni, dall’inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Settanta, ricoprì l’incarico di docente in diversi atenei, tra cui la Qinghua, l’Università collettiva del Sud Ovest, la Lingnan, la Zhongshan e la Beida, mostrandosi costantemente fedele al principio di integrazione tra istruzione e ricerche accademiche, servendosi delle conoscenze a cui soleva giungere mediante i suoi studi in qualità di nozioni da impartire in aula nel corso delle proprie lezioni.
Nell’arco della sua esistenza, diversi furono gli avvenimenti storici che si trovò a dover sperimentare sulla propria pelle, dalla Guerra di Resistenza contro il Giappone, che lo portò a spostarsi al meridione a seguito del trasferimento delle Università presso cui prestava servizio, alla Liberazione del 1949, sino alla Rivoluzione Culturale; probabilmente quest’ultimo costituì il periodo più duro che Wang Li dovette attraversare.
Come gran parte degli intellettuali dell’epoca, venne sottoposto alla cosiddetta “rieducazione” nelle campagne e nelle fabbriche, lavorando fianco a fianco con contadini ed operai. Inoltre, ingiustamente accusato di crimini anticomunisti, subì ben sette denunce pubbliche, sperimentando un tracollo che, tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, trasformò la stima nutrita nei suoi confronti in pregiudizi e calunnie.
Nel 1977, ottenuta la completa emancipazione in seguito alla fine dei cosiddetti “dieci anni di terrore” ed alla conseguente trattazione degli errori e delle ingiustizie perpetrate, il linguista potette abbandonare la carriera d’insegnante e dedicarsi agli ultimi importanti progetti della sua vita, quali la diffusione della Riforma della scrittura e la compilazione del Dizionario delle famiglie di parole ( Tongyuan zidian) e del Dizionario di cinese classico (Gudai Hanyu zidian), a cui lavorò senza risparmiarsi, nonostante i problemi di cataratta, ulcera ed arteriosclerosi, sino al giorno prima del ricovero in ospedale, dove gli venne diagnosticata quella leucemia che nel maggio del 1986 gli tolse la vita.
Sono una dozzina degli scritti redatti da Wang Li, considerati i più importanti e rappresentativi, benché sia bene precisare che, nell’arco di poco più di mezzo secolo, furono circa quaranta i volumi pubblicati, mentre ammontano a duecento i saggi e gli articoli, senza contare inoltre i componimenti poetici e le traduzioni dei maggiori autori francesi (Zola, Baudelaire, Gide) prodotte durante il periodo di permanenza a Parigi.
La maggioranza delle opere composte dal linguista era ovviamente a carattere scientifico, ognuna dedicata alla trattazione di alcuni degli aspetti specifici dello studio della lingua, dalla fonologia, alla grammatica, dalla semantica sino alla storia ed alla linguistica ed i suoi sviluppi. Tuttavia è importante notare come il corpus dei suoi scritti comprenda anche saggi che sono sì di argomento linguistico, ma in cui la materia è stata affrontata mediante l’utilizzo di un linguaggio semplice e comune, redatte al fine di rendere il contenuto maggiormente fruibile ed accessibile anche ai lettori comuni e, conseguentemente, di diffondere il più possibile quel tipo di conoscenze.
Degni di nota, inoltre, sono anche gli articoli che Wang Li compose per far fronte al periodo di crisi economica causato dalla Guerra di Resistenza, raccolti nel volume Long Chong Bing Diao Zhai Suoyu e da lui stesso definiti “leggeri” in virtù del fatto che affrontassero argomenti di natura quotidiana, considerati da molti intellettuali addirittura banali per un linguista, quali la drastica riduzione dei salari, l’inflazione, la morte ingiusta dei civili; tuttavia, in pochi compresero che in realtà egli se n’era servito semplicemente per condurre una velata satira nei confronti della società dell’epoca, delle scelte del Guomindang e delle forze giapponesi.
L’insegnamento della lingua cinese antica nel periodo precedente alla seconda metà degli anni Cinquanta, condotto sino a quel momento in maniera non uniforme e totalmente arbitraria nelle scuole e negli atenei di stampo umanistico del Paese, e la conseguente standardizzazione a cui fu sottoposta la disciplina nell’ambito della Riforma dell’Istruzione attuata in quegli anni, la quale portò alla compilazione del testo che sarebbe poi divenuto l’unico materiale didattico da adottare in maniera unanime intitolato Manuale di cinese classico ( Gudai hanyu) di cui Wang Li fu il maggior responsabile.
La seconda parte è invece dedicata alla descrizione della struttura dell’opera, composta da quattro volumi, che fu sottoposta a diverse modifiche e di cui vennero pubblicate tre edizioni (risalenti al 1962, 1981 e 1999). A parte Wang Li, che si occupò della supervisione dell’intero lavoro, il progetto di compilazione venne ripartito tra tre gruppi distinti, ognuno dei quali venne investito dell’incarico di occuparsi di scrivere una delle tre parti di cui l’opera si componeva.
La responsabilità della sezione dedicata alla selezione dei testi antichi da inserire nell’antologia venne affidata a Xiao Zhang (docente presso la Normale di Pechino), a capo del gruppo composto da Liu Yizhi (della Renmin), Xu Jialu (della Normale) e Zhao Keqin (della Beida). In essa i brani vennero organizzati in ordine cronologico, tenendo conto del succedersi delle dinastie, e suddivisi in base ai diversi generi letterari, procedendo, secondo il principio di dover avanzare gradualmente, dal più semplice al più complesso.
I testi presenti all’interno dei primi due volumi appartenevano al periodo Pre-Qin, dunque furono tratti da opere quali il Libro dei Riti, i Dialoghi di Confucio, il Libro delle Odi ed i Canti di Chu ; il terzo ed il quarto volume, invece, includevano brani in prosa, liriche e componimenti poetici risalenti al periodo compreso tra la Dinastia Han e le Dinastie del Nord e del Sud (420-589 d.C.). Inoltre, venne aggiunta una breve introduzione al fine di presentare lo scritto e l’autore.
Le sezioni incentrate sulle espressioni di uso comune e sulla teoria generale, invece, vennero entrambe redatte sotto la guida di Ma Hanlin, responsabile rispettivamente del primo gruppo, di cui facevano parte Wang Li e Ji Changhong (della Beida), e del secondo, formato da Guo Xiliang (della Beida) e Zhu Minche (dell’Università di Lanzhou). Il numero delle espressioni comuni presenti nell’ambito di ogni unità era compreso tra un minimo di 60 ed un massimo di 80; per ognuna di esse, che ovviamente compariva all’interno dei brani, vennero indicati il significato originario e quelli più comunemente diffusi, senza fare alcun riferimento invece ai significati caduti completamente in disuso, in modo così da non creare confusione negli allievi.
Per quanto riguardava le spiegazioni dei singoli termini, nel caso in cui essi presentassero più di un’accezione, in primis si faceva riferimento al significato originario e, successivamente, a quello derivato, esteso, figurato; quest’ultimi, inoltre, vennero suddivisi in più antichi e maggiormente recenti. In tutte le note esplicative, ancora, gli autori prestarono particolare attenzione a fornire chiarimenti brevi e concisi sulla grammatica, così che la sezione di antologia potesse risultare strettamente connessa a quella dedicata alla teoria generale.
All’interno di quest’ultima molto spazio fu dedicato alla trattazione della sintassi, benché ci si occupò soprattutto del confrontare ed illustrare le differenze intercorrenti tra quella antica e quella moderna; le delucidazioni concernenti le cosiddette xuci, parole “vuote” (ovvero le particelle grammaticali), e le loro funzioni si focalizzarono essenzialmente su quelle che venivano considerate fondamentali o comunque maggiormente comuni, mentre alle restanti si fece soltanto un breve accenno nell’ambito delle note ai brani contenuti nella sezione dell’antologia.
Tuttavia, una delle principali innovazioni introdotte nel manuale consisteva nell’utilizzo del cinese moderno per le esposizioni; come Wang Li stesso scrisse: “Per la terminologia delle note, non è stato adoperata la lingua classica. Per ciò che riguarda la spiegazione dei termini, si è cercato di usare espressioni del cinese moderno equivalenti a quelle del cinese antico. Quando non si è riusciti nell’impresa, sono state utilizzate espressioni più recenti del linguaggio classico. […] Abbiamo adoperato il cinese contemporaneo per spiegare il cinese antico.”
L’obiettivo, dunque, era quello di fornire ai giovani studenti uno strumento pratico, semplice, ma allo stesso tempo valido e sistematico, che permettesse loro di approcciarsi per la prima volta allo studio della lingua antica senza intoppare in troppe difficoltà, e di procedere anche in maniera autonoma, senza necessariamente il supporto di un docente. Il Manuale di cinese classico è tutt’oggi considerato il testo didattico più sistematico, completo e ricco dal punto di vista dei contenuti; comunemente adoperato in ogni Istituto ed Ateneo sia in Cina che all’estero, è stato sottoposto a 33 ristampe, con più di un milione e mezzo di copie pubblicate.
*Simona Tricarico, simo21487[@]yahoo.it laureata al corso di Laurea Triennale in Lingue e civiltà Orientali presso la “Sapienza” di Roma nel 2009; nella primavera del 2010 e del 2011 effettua un tirocinio rispettivamente presso l’Istituto “G.Basile” e l’Istituto “Laparelli” a Roma come insegnante di italiano a stranieri; nel 2011 trascorre un trimestre presso la Beijing Yuyan Daxue di Pechino; nel luglio del 2012 consegue con il massimo dei voti cum laude la Laurea Magistrale in Lingue e civiltà Orientali presso il medesimo Ateneo; al momento frequenta nuovamente un corso di durata trimestrale presso la Beijing Yuyan Daxue.
** Questa tesi è stata discussa presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Relatore prof. Paolo De Troi ; correlatore prof. Federico Masini.
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]