La tesi La Taiwan policy di Hu Jintao – Strategie per la riunificazione affronta la "questione taiwanese", ossia la divisione de facto della “Cina” in due soggetti internazionali distinti: la Rpc e la Repubblica di Cina a Taiwan. Le fortunate politiche adottate dall’ex presidente cinese Hu Jintao sul piano politico, diplomatico, strategico ed economico.
Quando si parla di “questione taiwanese” si fa in genere riferimento alla disputa territoriale tra Repubblica Popolare Cinese (Rpc) e Repubblica di Cina (Roc), che si contendono il controllo dell’isola di Taiwan e alcuni arcipelaghi vicini – ossia Mazu, Jinmen e Penghu.
Taiwan non è sempre stata oggetto di interesse da parte del governo cinese: fu annessa al suo territorio solo durante la dinastia Qing (tra il 1684 e il 1875). Con la rapida evoluzione dello scenario asiatico tra il diciannovesimo e ventesimo secolo, però, la Cina, passò dall’essere il “Regno di mezzo”, il fulcro del plurisecolare sistema di relazioni inter-statati asiatico (il 天下, tianxia), ad essere un semplice Stato tra altri di pari livello.
Tra le umiliazioni subite, vi fu la sconfitta nella guerra sino-giapponese del 1894-1895, e il conseguente Trattato di Shimonoseki, con cui il Giappone acquisì la sovranità su Taiwan e le Penghu, mantenendola fino alla sua sconfitta nel secondo conflitto bellico mondiale.
Anche dopo il 1945 la contesa è rimasta irrisolta; iniziò infatti una guerra civile tra il Partito comunista cinese (Pcc) e il Guomindang (Gmd), risoltasi nel 1949 con la vittoria del primo e la fuga dei nazionalisti proprio a Taiwan. Fu questo il momento in cui la Cina si separò de facto.
Il 25 giugno 1950, con lo scoppio della Guerra di Corea, la Guerra Fredda raggiunse l’Asia, e per gli americani l’importanza geopolitica di Taiwan crebbe notevolmente, diventando un avamposto per fronteggiare il nuovo blocco sino-sovietico. Pechino cercò invano di intraprendere un conflitto risolutore coi nazionalisti nel 1954-55 e nel 1958.
La situazione cambiò nuovamente negli anni settanta, quando Nixon scelse di allacciare i rapporti con la Cina comunista per marginalizzare l’Urss. La Rpc entrò nell’Onu, ma lo status di Taiwan non venne definito.
Riconquistare Taiwan rimane, ad oggi, un obiettivo essenziale per la Rpc. Porrebbe fine al “secolo di umiliazione” inflittole dall’imperialismo occidentale, restituendo integrità e dignità alla nazione cinese, attualmente separata.
La “questione taiwanese” è inoltre un elemento in grado di minare la legittimità del governo comunista, data la sensibilità con cui i cittadini cinesi si relazionano al tema. Viene anche considerato una delle principali fonti di instabilità per il sistema internazionale, in quanto un eventuale conflitto implicherebbe il coinvolgimento degli Usa, contrapponendoli alla Rpc.
I problemi alla radice della “questione taiwanese” sono fondamentalmente lo status giuridico di Taiwan (se sia o meno uno Stato), e a chi appartenga la sovranità territoriale dell’isola (se alla Rpc o alla Roc).
Dopo vent’anni di imponente crescita economica, la Cina è diventata una delle principali potenze mondiali, riuscendo anche a marginalizzare Taiwan in ambito diplomatico: solo 23 Stati, attualmente, riconoscono la Roc come legittimo governo di Cina; Taiwan viene inoltre esclusa dalle principali organizzazioni internazionali.
Il quadro si è complicato ulteriormente in seguito al processo di democratizzazione avviato nell’isola negli anni novanta, oltre che al progressivo distaccamento culturale dalla madrepatria, un processo di de-sinificazione che prese il nome di bentuhua (“indigenizzazione”).
La percezione che Taiwan si stesse allontanando ha spinto Jiang Zemin, da poco eletto come Segretario generale e presidente della Repubblica – e quindi ancora alla ricerca di consolidare il suo potere interno – a mostrare un atteggiamento più duro verso le istanze secessioniste.
Venne infatti approvata una serie di esercitazioni militari condotte dall’Esercito di liberazione popolare, a cavallo tra il 1995 e il 1996; queste hanno spinto il presidente Clinton a inviare due portaerei della flotta statunitense, mettendo fine al clima di tensione che si era venuto a creare nello Stretto di Taiwan.
Jiang sembrava impaziente di compiere la riunificazione con l’isola, come emerge dal white paper pubblicato nel 2000, o dalle dichiarazioni del premier Zhu Rongji. Addirittura, il leader della terza generazione parla del rimandare a tempo indefinito le negoziazioni politiche tra le parti come possibile causa scatenante di un conflitto.
Per capire le dinamiche che intercorrono tra le “due Cine” si deve necessariamente considerare il ruolo svolto dagli Usa, principale alleato per la sicurezza della Roc, come stabilito dal Taiwan Relations Act del 1979.
Un fattore che ha contribuito alla pragmaticità di Hu Jintao, infatti, è stato sicuramente il più collaborativo rapporto con l’egemone americano: appoggiando la global war on terror di Bush, la Cina è passata dall’essere un rivale strategico a un importante partner.
Anche la situazione a Taiwan, in particolare la direzione della mainland policy del governo, contribuisce ad alterare le percezioni e, quindi, le scelte da parte di Pechino. La vittoria di Chen Shui-bian alle elezioni presidenziali del 18 marzo 2000 segna un punto di svolta netto nella vita politica dell’isola.
Chen e il suo partito, il Partito democratico progressista (Pdp), erano sostenitori dell’indipendenza taiwanese.
La scelta degli elettori si può spiegare, in parte, come una reazione al clima di tensione che aleggiava da alcuni anni sullo Stretto, e che alimentava le insicurezze della popolazione verso la “minaccia cinese”.
Hu ha mantenuto intatta la duplice natura “bastone-carota” della Taiwan policy, come anche l’obiettivo finale della riunificazione territoriale. Tuttavia, la svolta rispetto al suo predecessore sta nelle tempistiche auspicate per la riunificazione, dimostrandosi paziente nel rimandare il tutto a quando la situazione domestica dell’isola permetterà un simile dibattito.
A partire dal 2002 Pechino adotta una diplomazia più sicura e sofisticata, mostrandosi più incline ad azioni di cooperazione coi vicini regionali, stringendo però la morsa su Taiwan, che venne esclusa dalle dinamiche economiche regionali e perse progressivamente partner diplomatici.
Nella sua più ampia visione sulla politica internazionale, Hu Jintao considerava i primi vent’anni del ventunesimo secolo “un’opportunità strategica” da sfruttare per aumentare la forza economica della Rpc e accrescere il suo status internazionale.
Sembrava essersi diffusa la consapevolezza che con una costante crescita economica, abbinata a stabili e pacifici rapporti con gli Usa (oltre che coi vicini regionali), la Cina avrebbe visto, nel lungo periodo, un ritorno di Taiwan “alla madrepatria”. L’elezione di Chen complicava però l’attuazione di questo piano di “sviluppo pacifico”.
Le costanti provocazioni indussero Hu a mettere in primo piano le necessità bellico-strategiche, cambiando prospettiva e privilegiando la “non secessione”, anziché promuovere la riunificazione. L’ex Segretario, inoltre, vincolò gli aumenti del pil a quelli della spesa per la difesa nazionale.
L’obiettivo di Chen era l’indipendenza, e questo costrinse la Cina ad affrontare le minacce di secessione de jure con una visione del breve periodo: non avendo il tempo necessario per perfezionare lo sviluppo di armi proprie, sono stati stanziati aumenti di budget e affrontati elevati costi per procurarsi armamenti sovietici, pur sapendo che sarebbero presto diventati obsoleti.
Nonostante la retorica di Hu rimase piuttosto pacata, ponendo sempre l’enfasi sugli incentivi economici e sui mezzi pacifici per compiere la riunificazione, l’ex Presidente doveva creare una superiorità militare diretta nei confronti del “nemico”, tenendo in mente il pressoché certo intervento americano.
In questo senso vanno intesi gli investimenti nello sviluppo di capacità definite anti-access e area denial (A2/AD), ossia tecniche per negare agli Usa di esercitare la propria influenza militare nell’eventuale teatro di guerra. La Marina militare dell’esercito cinese ricopre un ruolo da protagonista, attraverso il costante controllo delle coste cinesi e dello spazio aereo.
L’elezione del presidente Ma Ying-jeou, nel 2008, permise a Pechino di ripensare la gerarchia tra i due poli (economico e strategico) della propria politica verso Taiwan: il presidente Ma si è infatti posto a sostegno dello status quo e contro la de-sinificazione, permettendo così di ridurre le tensioni e avviare un rilassamento.
Ma Ying-jeou ha trovato una formula adeguata per far riprendere il dialogo, rimanendo all’interno della cornice ideologica del “One China principle”, pur senza abbandonare le ambizioni di sovranità: la sintesi è “una Cina, diverse interpretazioni”.
Si concordò di trattare inizialmente solo le questioni economiche, ossia i temi più facilmente gestibili, mentre quelle politiche verranno rimandate a quando i tempi saranno maturi. Durante gli anni di governo di Chen, infatti, il sostegno popolare per la riunificazione è calato drasticamente, ed è aumentato il senso di appartenenza a una cultura distinta rispetto a quella cinese.
I dialoghi sono ripresi anche per far fronte alla grave situazione dell’economia domestica a Taiwan, mettendo da parte il dibattito per la sovranità; proprio il neo-eletto Presidente ha proposto di istituzionalizzare i già fitti scambi economici tra le due sponde attraverso l’Accordo quadro per la cooperazione economica (Ecfa), un accordo ad interim per realizzare un Fta (Free trade agreement).
Nell’aprile del 2009, durante il terzo appuntamento tra i rappresentanti di Arats e Sef (due associazioni semi-ufficiali rappresentanti rispettivamente Cina e Taiwan), si accordò alla Roc la possibilità di partecipare come osservatore all’annuale riunione dell’Assemblea mondiale della sanità.
L’Ecfa fu siglato il 24 giugno 2010, con obiettivo quello di risolvere alcune anomalie nei rapporti tra le parti, che si imponevano barriere alle importazioni, agli investimenti e anche alle visite; Ma voleva internazionalizzare ulteriormente l’economia di Taiwan, integrandola sempre più con quella mondiale, soprattutto in prospettiva regionale, così da prender parte alla “febbre da Fta” che aveva investito l’Asia da alcuni anni.
Quanto contenuto nell’Ecfa era solamente una base di partenza. Si rendevano necessari altri importanti accordi supplementari di natura economica, come ad esempio un’adeguata protezione e promozione degli investimenti. Tuttavia, rimane un importante segnale di distensione che contribuì alla ripresa immediata dell’economia taiwanese.
Le critiche mosse a quest’iniziativa di Ma Ying-jeou sono legate al rischio per la sicurezza economica dell’isola: istituzionalizzando gli scambi economici con la Rpc, si è accresciuta la dipendenza economica con l’altra sponda dello Stretto, rendendo meno forte la posizione taiwanese rispetto alla Cina anche sul piano economico (oltre che su quello militare).
Solo il tempo potrà confermare o meno la bontà delle scelte intraprese, e stabilire se davvero l’attuale dipendenza economica dalla RPC limiterà l’azione della Roc fino a costringerla ad una riunificazione, oppure se magari proprio attraverso l’Ecfa Taiwan riuscirà a sganciarsi dall’economia della Cina, siglando altri accordi di tipo Fta.
La vittoria di Ma Ying-jeou ha favorito il rilassamento della tensione venutasi a creare in precedenza sia con gli Usa che con la Cina, ma non ha risolto la “questione taiwanese” alla radice. Pur avendo accantonato le discussioni sulla sovranità, non si è trovata una formula convincente per entrambe le parti.
Il Presidente, inoltre, dovrà tentare di riconciliare le due identità separate – taiwanese e democratica da un lato, cinese e autoritaria dall’altro.
Dopo il ricambio della classe dirigente di Pechino, avvenuto tra novembre 2012 e marzo 2013 con la nomina di Xi Jinping, bisognerà valutare gli sviluppi futuri dei rapporti cross-Strait.
Difficilmente la successione potrà alterare sensibilmente l’equilibrio finora raggiunto, in quanto la Taiwan policy di Hu è stata uno degli ambiti di maggior successo dell’ex Segretario generale.
La nuova linea politica, indicata nel discorso di dicembre del 2008, pone l’enfasi su cooperazione pacifica e incentivi economici, ed è quella generalmente accettata dalla leadership. Questo approccio è stato possibile grazie alla vittoria di Ma, un’opportunità storica per sconfiggere il movimento indipendentista taiwanese. Finché non ci saranno alterazioni dell’equilibrio, i rapporti Cina-Taiwan verranno inquadrati all’interno della più ampia strategia cinese.
*Michele Capeleto, michele.capeleto[@]gmail.com, è laureato magistrale in Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell’Asia e dell’Africa Mediterranea (110/110 cum laude) presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia; si interessa di politica estera cinese, in particolare degli aspetti legati ai conflitti internazionali e delle dinamiche di sicurezza in Asia. A partire da settembre 2013 frequenterà un MA in “International Peace and Security” al King’s College di Londra.
**Questa tesi è stata discussa il 26 giugno 2013 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia: relatore prof. Guido Samarani; correlatore: prof.ssa Laura De Giorgi.
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]