L’approccio cinese al diritto internazionale e alla sua pratica sono stati spesso percepiti come ‘eccezionali’ o devianti perché non conformi all’insieme di regole e alla morale che dovrebbero presumibilmente informare l’ordinamento giuridico internazionale e quello globale che sta ora emergendo.
Contrariamente ad esempio agli elementi chiave del globalismo costituzionale, la Cina ha un governo autoritario che rifiuta i principi democratici; promuove una diversa comprensione dei diritti umani sulla base dei valori asiatici e sostiene un’idea della rule of law con caratteristiche cinesi che si presenta più come una rule by law.
Inoltre, a dispetto della convinzione generale secondo cui la sovranità statale ha intrapreso un processo di erosione a partire dagli anni’90, la Cina viene considerata l’ultimo bastione della sovranità Westfaliana, e tende a contrastare alcune forme di governance globale, considerate da molti intellettuali cinesi come una nuova forma di imperialismo occidentale in continuità con il secolo delle umiliazioni che ha caratterizzato la storia cinese moderna.
Gli effetti della strategia di eccezionalità applicata al diritto internazionale si possono riscontrare, sia nei tentativi di esclusione messi in atto dalle potenze occidentali ai danni degli altri stati concorrenti, sia nel tentativo di esimersi dalle leggi internazionali, come nel caso dell’eccezionalismo americano.
Il Partito Comunista Cinese stesso ha utilizzato la retorica dell’eccezionalismo cinese per escludere la Cina dalle nuove tendenze del diritto internazionale, attraverso la promozione di caratteristiche o modelli cinesi.
L’eccezionalissimo cinese non è una novità, anzi sembra accomunare la storia della socializzazione della Cina con la società internazionale e le sue norme. In passato quest’’eccezionalità si riscontrava nel suo essere fuori dal diritto internazionale. Ad esempio, in epoca Qing e durante la prima Repubblica, la Cina era “eccezionale” perché considerata non sufficientemente civilizzata da poter fare parte della famiglia delle grandi nazioni, tanto che le veniva riconosciuto solo uno status di semi-sovranità.
Questa eccezionalità cinese, tuttavia, è difficile da sostenere oggi che la Cina rappresenta un quinto della popolazione mondiale e costituisce il motore dello sviluppo economico. Soprattutto se si considera che le istituzioni e il diritto internazionali dovrebbero avere una natura pluralistica e rappresentativa.
Negli ultimi decenni, per fare fronte alla mancanza di esperienze rappresentative diverse da quella europea, gli studi post-coloniali, i critical legal studies, nel loro “global turn”, hanno cercato di incorporare nelle nuove narrazioni globali del diritto internazionale realtà altre rispetto a quelle solitamente trattate.
In questo contesto, la Cina offre una controteleologia alla narrativa classica del diritto internazionale di stampo occidentale. Non solo in virtù del suo ruolo di potenza globale emergente in grado di influenzare la formazione dei principi normativi alla base del futuro ordine mondiale, ma anche grazie alla propria storia del diritto internazionale.
Questo lavoro presenta una panoramica critica e un’analisi selettiva di approcci accademici cinesi rispetto alla storia del diritto internazionale.
Il dibattito corrente sembra essere strettamente legato a una nuova concezione di modernità che non corrisponde più a un dictum occidentale. La prospettiva cinese, in questo senso, può contribuire ad arricchire il diritto internazionale, fornendo una base più ampia per la sua stessa legittimazione.
*Maria Adele Carrai, sinologa ed esperta di scienze politiche, ha un forte interesse nel diritto internazionale e nella sua storia. Marie Curie Fellow al Leuven Centre for Global Governance – KU Leuven e Fellow all’Harvard University Asia Center.
*Quest’articolo si basa su una versione più estesa che è apparsa sulla rivista Storica 64 (22), 2016 con il titolo “Current Chinese Approaches to a Global History of International Law”