Il Programma Spaziale Cinese
Per PIL, la Cina occupa la seconda posizione mondiale; tuttavia, nel 2018 ha registrato un reddito pro-capite medio annuo di circa 9.470 dollari, il che, in base ai criteri di classificazione della World Bank, fa della Cina una upper-middle income economy. In contrasto con la posizione (71° su 192) che occupa per reddito pro capite, la Cina presenta una solida infrastruttura aerospaziale (centri di sviluppo, siti di lancio, stazioni di comando e telemetria, poli manifatturieri) ed il suo programma spaziale vanta importanti successi e intenzioni ambiziose, come il lancio di una stazione spaziale, l’allunaggio di taikonauti e – spingendosi oltre – una missione con equipaggio su Marte. Il nesso tra la tecnologia spaziale e la crescita economica viene individuato, sia dagli analisti cinesi che stranieri, nel fabbisogno di risorse energetiche cresciuto a dismisura negli ultimi 40 anni. Se, come si annuncia, la Cina diventerà la più grande economia del mondo entro il 2028, sia per parità di potere d’acquisto (Purchasing Parity Power – PPP) che per tasso di cambio di mercato (Market Exchange Rate – MER), la sua domanda di energia crescerà ulteriormente. Secondo il Luogotenente generale Zhang Yulin della Commissione Militare Centrale, una volta che la sua stazione spaziale sarà completa nel 2020, la Cina potrà sfruttare l’energia solare e “lo spazio Terra-Luna sarà strategicamente importante per il grande ringiovanimento della nazione cinese”.
L’evoluzione spaziale di Pechino: dal satellite DFH-1 al Programma Shenzhou
Non è stata e non è, ovviamente, questa l’unica motivazione. Il perseguimento da parte di Pechino di mire in campo spaziale fu originato da un movente di tipo militare, ovvero le minacce statunitensi di un attacco nucleare qualora non si fosse trovata una tregua in Corea. Tuttavia, sebbene gli anni della Guerra di Corea (1950-1953) furono decisivi per il lancio da parte del Consiglio di Stato del “Piano di sviluppo per i futuri 12 anni della scienza e della tecnologia” riguardante la missilistica, il controllo automatico e la tecnologia dei semiconduttori, a causa dell’arretratezza e della debole infrastruttura tecnologica cinese, furono necessari diversi anni per il reale avviamento del programma spaziale.
Figura di notevole spicco, considerato “il padre del programma spaziale cinese”, fu Tsien Hsue- shen (oggi noto come Qian Xuesen) che nacque nel 1911 e, grazie ad una borsa di studio, studiò ingegneria aeronautica presso il MIT. Poco dopo il suo arrivo negli USA, sotto la guida dell’ingegnere e fisico austro-ungarico Theodore von Karman, Tsien divenne un esperto di missilistica ed entrò a far parte del Caltech’s Guggenheim Aeronautical Laboratory. Nel 1945 iniziò a lavorare per il Pentagono e, al termine della Seconda Guerra mondiale, divenne membro della missione tecnica statunitense che interrogò i rocket scientists nazisti, tra cui Wernher von Braun, “padre del programma spaziale statunitense”. Deportato nel 1955 in Cina in seguito alla campagna contro l’infiltrazione comunista promossa dal Senatore McCarthy, Tsien amministrò il neonato programma spaziale del suo Paese.
Nel 1956 la Cina riuscì ad acquisire due missili R-1 sovietici, copie dei tedeschi V-2, che si rivelarono però inadeguati per lo sviluppo di capacità autonome di lancio. Il primo progetto satellitare fu avviato nel 1958, ma fu sospeso l’anno dopo per risorse insufficienti. Nel 1960 la Cina registrò uno dei suoi primi successi, ovvero il volo del missile Dongfeng-1 (DF-1), derivazione del vecchio modello sovietico R-1. Tuttavia nello stesso anno, a causa delle discordanze tra Mao Zedong e Nikita Khrushchev, il supporto tecnologico sovietico alla Cina fu immediatamente sospeso. Il governo cinese, per sopperire a tale mancanza, allocò maggiori risorse alla ricerca aerospaziale, permettendo lo sviluppo del DF-2, testato con successo nel 1964, anno in cui la Cina acquisì ufficialmente capacità nucleare. Il modello DF-2A, testato nel deserto dello Xinjiang nell’ottobre del 1966, fu infatti progettato per il trasporto di armi nucleari. Nel 1968, su incarico della National Defense Science Committee, fu istituito lo Space Medical Institute of China, incaricato di condurre ricerche sui voli spaziali con equipaggio e sull’addestramento degli astronauti. Sebbene l’Air Force avesse selezionato 19 candidati, la missione con equipaggio Shuguang-1 inizialmente pianificata per la fine del 1973 (facente parte del Project 714, top secret), non ebbe alcun seguito. Di fatto, la Cina era riuscita a lanciare il suo primo satellite, Dongfanghong-1 (DFH-1, “East is Red”) soltanto tre anni prima, il 24 aprile del 1970, grazie al lanciatore domestico Changzheng-1 (CZ-1, “Long March”), un successo che rese la Cina il quinto Paese al mondo con capacità di lancio autonome.
Dopo la morte di Mao nel 1977, il programma spaziale entrò in una fase di stallo. Il leader de facto Deng Xiaoping decise di discostarsi dai progetti “ad alto profilo” e preferì operare in altri settori. Tuttavia, dopo che nel 1989 egli si dimise dalla carica di Capo della Commissione Militare Centrale, al People’s Liberation Army (PLA) fu di nuovo possibile tornare a lavorare ai progetti aerospaziali. Nel 1992, in seguito a qualche insuccesso che aveva minato il prestigio cinese, nel corso di una conferenza dell’International Astronautical Federation (IAF), la Cina rese noto il suo rinnovato interesse per le missioni con equipaggio umano. Un anno dopo la State Science and Technology Commission rivelò i piani per un veicolo spaziale con equipaggio entro il 2000 e per una stazione spaziale.
Il 21 settembre 1992, la roadmap fu ufficialmente formalizzata in quello che divenne noto come Project 921, i cui obiettivi includevano tre fasi: un primo lancio con equipaggio entro il 2002, un laboratorio spaziale orbitante entro il 2007 e lo stabilimento di una stazione spaziale permanente. Necessari per il progetto erano lo sviluppo di lanciatori all’avanguardia: la famiglia dei “Long March” si estese dunque ai modelli LM-2E e LM-2F (oggi arrivati al modello LM-11). Inoltre, grazie alla crisi finanziaria della Russia nei primi anni Novanta, la Cina riuscì ad acquistare, oltre alle tute Sokol- KV2 e Orlan (sulla cui base venne progettata la Feitian cinese utilizzata durante la missione Shenzhou 7), anche la capsula Soyuz svuotata della strumentazione di volo e, sulla base di essa, sviluppò la propria capsula Shenzhou. Sarà proprio dalla capsula spaziale che prenderà nome il programma Shenzhou. I veicoli Shenzhou-1 e Shenzhou-2, senza equipaggio, volarono rispettivamente nel 1999 e nel 2001, riscontrando però difficoltà nella fase di rientro. Nel 2002 seguì il lancio della Shenzhou 3.154 Nel 2003, invece, volò la Shenzhou 4, con a bordo due manichini per testare i sistemi di supporto vitale in programma per la prima missione con equipaggio, prevista per lo stesso anno: la Shenzhou 5. Quanto ai taikonauti, dal termine cinese
太空 taikong – “Spazio”, le selezioni coinvolsero piloti militari con esperienza di centinaia di ore di volo. Prima di allora, i cinesi si erano riferiti agli astronauti americani e ai cosmonauti cinesi con il termine generico 宇航员 yuhangyuan – “addetti ai viaggi spaziali”. La campagna di reclutamento per i taikonauti durò due anni e, su più di mille candidati, ne furono scelti dodici. Selezionato con un solo mese di anticipo rispetto al lancio156, finalmente il 15 ottobre del 2003, 42 anni dopo il volo di Yuri Gagarin, Yang Liwei, primo taikonauta della storia, all’età di 38 anni fu lanciato nello Spazio a bordo del LM-2F dal Jiuquan Satellite Launch Center (uno di quattro siti di lancio insieme al Taiyuan Satellite Launch Center, il Wenchang Satellite Launch Center e lo Xichang Satellite Launch Center), per una missione della durata di circa 21 ore, in cui mostrò la bandiera della Repubblica Popolare Cinese e quella delle Nazioni Unite.
Nonostante l’importanza storica dell’evento, che rese la Cina il terzo Paese al mondo ad aver portato a termine con successo una missione con equipaggio, non vi furono dirette televisive e trasmissioni radio, in quanto il rischio politico di un fallimento fu considerato dai leader cinesi essere troppo grande. Nel 2005 partì la Shenzhou 6 con a bordo i taikonauti Fei Junlong e Nie Haisheng per una missione di cinque giorni. Nel 2008 toccò invece alla Shenzhou 7 con a bordo Zhai Zhigang, Liu Bo Ming e Jing Haipeng. In questa missione, Zhai perfomò la prima Extra- Vehicular Activity (EVA) cinese, trascorrendo 25 minuti e 23 secondi fuori dai confini della capsula Shenzhou. Gli americani avevano raggiunto un tale traguardo dopo la quinta missione orbitale con equipaggio, i sovietici dopo la settima, i cinesi solo dopo la terza.159 La Shenzhou 7 passò inoltre alla storia per il rilascio del micro-satellite Banxing-1, ufficialmente finalizzato al catturare immagini della capsula spaziale ma accusato da alcuni di essere un mezzo per testare le capacità cinesi per un potenziale attacco ASAT, dato che passò a soli 45 km di distanza dall’ISS.
Il 29 settembre 2011, la Cina lanciò in orbita il laboratorio spaziale Tiangong-1 (“Heavenly Palace”), una pietra miliare del programma spaziale cinese ed un importante passo per la creazione di una stazione spaziale permanente, di cui si approfondirà nel paragrafo a seguire. Le missioni Shenzhou 8 (2011), Shenzhou 9 (2012), Shenzhou 10 (2013) e Shenzhou 11 (2016) tutte con equipaggio ad eccezione della prima, furono dedicate ad operazioni di rendezvous e docking con il modulo Tiangong-1 nei primi tre casi e con il modulo Tiangong-2 nel caso della Shenzhou 11. A bordo della Shenzhou 9, inoltre, viaggiò Liu Yang, la prima taikonauta della storia.
La stazione spaziale cinese: il progetto Tiangong
Con il Project 921, la Cina ha reso ufficialmente note le sue intenzioni circa l’insediamento di una stazione spaziale permanente. Il primo passo in questa direzione è stato il lancio del laboratorio spaziale Tiangong-1, messo in orbita il 29 settembre 2011. Sviluppato dalla China Academy of Space Technology (CAST), il Tiangong-1 presentava una massa di circa 8.5 tonnellate e una capienza massima di tre astronauti (rispetto alle oltre 400 tonnellate dell’ISS, la cui capienza è di circa sei astronauti).162 Utilizzato per esperimenti medici e per test di valutazione finalizzati alla costruzione di una stazione spaziale permanente, Tiangong-1 era stato progettato per un servizio della durata di due anni, pertanto la deorbitazione era prevista per il 2013. In realtà, sebbene operativa fino alla fine del 2016, ma fuori controllo già dal marzo dello stesso anno, alla fine il laboratorio spaziale è tornato a Terra il 2 aprile 2018 con una fase di rientro estremamente particolare e allertante, poiché appunto fuori controllo. L’impatto a Terra si è verificato alle 2:16 (ora italiana) nelle acque dell’oceano Pacifico a nord-ovest dell’isola Tahiti nella Polinesia Francese. Per una fortuita coincidenza, lo schianto è avvenuto piuttosto vicino al Punto Nemo (anche noto come “cimitero dei satelliti”), ossia l’area remota dell’oceano Pacifico dove solitamente avvengono i rientri controllati dei satelliti giunti alla fine della propria attività. Sebbene si prospettasse che gran parte di Tiangong-1 si sarebbe disintegrata attraversando l’atmosfera, vi era comunque la possibilità che alcuni componenti più robusti potessero arrivare sino a Terra, generando una pericolosa pioggia di detriti. Fortunatamente non sono però stati registrati danni.
Il 15 settembre del 2016 è stato invece lanciato il Tiangong-2, al fine di testare in orbita le tecnologie che serviranno ad allestire la prima stazione spaziale cinese pensata per un utilizzo permanente. Il piccolo laboratorio, lungo circa 10 metri (un decimo della ISS) e largo 3, ha ospitato la più lunga missione con equipaggio cinese: due taikonauti vi hanno abitato e lavorato per 30 giorni nell’ottobre 2016, dopo esservisi agganciati con il veicolo spaziale Shenzhou-11, testando alcune manovre di aggancio e di rifornimento automatico. I due hanno inoltre condotto esperimenti circa gli effetti fisiologici dell’assenza di peso e circa la collaborazione uomo-macchina nella tecnologia di manutenzione orbitale e hanno rilasciato un minuscolo satellite (circa 40 cm di lato max) denominato Banxing-2, per scattare fotografie di vario genere. Tra gli strumenti portati a bordo anche il rilevatore e misuratore di polarizzazione radioattiva POLAR-1, nato dal lavoro congiunto di Cina, Svizzera e Polonia, per i Gamma Ray Bursts (GRB), ovvero segnali molto brevi di radiazione roentgen provenienti da fonti situate a distanza cosmologica dalla Terra.
Il 22 aprile 2017 il veicolo cargo Tianzhou-1 (senza personale a bordo) ha agganciato con successo il laboratorio spaziale in orbita, mettendo a punto la tecnica per il rifornimento di combustibile.166 Tiangong-2 è rientrato nell’atmosfera il 19 luglio 2019, alle 3:06 (ora italiana) in un’area predeterminata nel Sud dell’Oceano Pacifico, tra la Nuova Zelanda e il Cile. Le autorità cinesi hanno voluto precisare che la decisione è stata presa per senso di responsabilità verso la comunità internazionale, in quanto la piattaforma e i carichi utili di Tiangong-2 funzionavano in modo stabile e sicuro e il propellente che trasportava era ancora sufficiente per supportare il suo volo in orbita per parecchi anni.167 La fine della missione è stata dunque imposta da considerazioni legate alla sicurezza collettiva, mostrando l’immagine di una Cina che si attiene fermamente ai suoi doveri internazionali e che mantiene l’impegno ad un uso pacifico e scientifico delle risorse spaziali. Per il 2020 è invece previsto il lancio di Tiangong-3, alla cui costruzione contribuirà anche l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).168 Tiangong-3 servirà ad aprire ulteriormente la strada al progetto definitivo e completo della Stazione spaziale cinese, la cui deadline è fissata al 2023 secondo le dichiarazioni del 2013 della China Manned Space Agency (CMSA) all’International Astronautical Congress (IAC).
Se, come dichiarato dall’amministrazione Trump, dal 2025 i finanziamenti all’ISS saranno sospesi, la futura prospettiva sarebbe quella di vedere nel prossimo decennio solo la Chinese Space Station (CSS) in orbita intorno alla Terra.
Le missioni lunari: il programma Chang’e
L’interesse della Cina nei confronti della Luna non è cosa nuova, già negli anni Sessanta le aspirazioni di Pechino guardavano all’unico satellite naturale della Terra. È soltanto negli ultimi decenni, però, che progressi significativi sono stati registrati in questo campo, ampliando gli orizzonti al punto da includere tra le ambizioni una base di ricerca cinese sulla Luna, nonché lo sviluppo di sistemi di supporto biorigenerativi per garantire che gli esseri umani possano stabilirsi e sopravvivere in condizioni lunari. Nel 2017 la Beihang University di Pechino ha creato un laboratorio lunare, Yuegong-1, simulando una base lunare sulla Terra: otto studenti hanno vissuto in condizioni lunari per circa 365 giorni. Il capo progettista Liu Hong ha precisato che questo test ha segnato la permanenza più lunga in un sistema di supporto vitale biorigenerativo (Bio-regenerative life support systems – BLSS), in cui umani, animali, piante e microrganismi (tra cui patate, grano, carote, fagiolini e cipolle) hanno coesistito in un ambiente chiuso, simulando un ecosistema lunare. Questo test ha avuto implicazioni critiche per le ambizioni umane di realizzare soggiorni a lungo termine fuori dalla Terra, e in particolare per l’istituzione di una base lunare.
A proposito di base lunare, significative furono, nel corso dell’Expo 2000 di Hannover dove all’interno del padiglione cinese fu mostrata una riproduzione di un taikonauta intento a piantare una bandiera della Repubblica Popolare Cinese sulla superficie lunare, le parole di Zhuang Fenggan, al tempo Vice Presidente della China Association of Sciences, circa le intenzioni di Pechino di creare una base lunare permanente per l’estrazione di Elio-3172, un isotopo capace di potenziare un reattore di fusione nucleare: gli analisti cinesi hanno stimato che 100 tonnellate di Elio-3 potrebbero soddisfare l’intero fabbisogno energetico terrestre annuale. Sulla Luna sarebbero presenti da 2 a 5 milioni di tonnellate di Elio-3 ed ogni tonnellata avrebbe un valore oscillante tra i 4 e i 10 miliardi di dollari.
In realtà, le considerazioni in merito ad un programma di esplorazione lunare avevano cominciato a prendere forma qualche anno prima, nel 1991, quando sotto il Project 863, il cui scopo era stimolare lo sviluppo di tecnologie avanzate in un’ampia gamma di settori per rendere la Cina indipendente dagli oneri finanziari per l’acquisizione di tecnologie straniere, erano partiti i primi lavori preliminari.
[Qui per leggere la tesi completa]*Fabrizia Candido, laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, con specializzazione sulla Cina, presso l’Università L’Orientale di Napoli. Appassionata di relazioni internazionali e diplomazia scientifica, fabrizia lavora a progetti di internazionalizzazione per startup e PMI di ambito scientifico-tecnologico. Ama viaggiare, scrivere e sperimentare le chinoiseries più stravaganti
**Questa tesi è stata discussa nell’anno accademico 2018/2019 presso L’Università degli Studi di Napoli L’Orientale con il titolo Lo sviluppo del settore spaziale in Cina e le sue implicazioni strategiche. Relatore: Prof.ssa Maria Siddivò; Correatore: Prof.ssa: Noemi Lanna