Il termine giustizia implica qualcosa di calata dall’alto, da un soggetto terzo che arriva e ci dice quale delle parti ha torto e quale ha ragione. La giustizia riparativa non cerca la giustizia, ma l’armonia. Intervista al professor Lee che insegna diritto penale presso National Taipei University (materiale tratto dalla tesi Restorative Justice).
Restorative Justice e conciliazione
Gli stranieri, specialmente gli accademici occidentali, spesso compiono degli errori nel cercare di comprendere la cultura cinese, credendo che in Cina si creda fortemente in Confucio, ma secondo me questo è completamente sbagliato. Il confucianesimo è una via di governo del popolo, per far obbedire i governati, una via politica; ma in termini di vita di tutti i giorni ci sono altri e diversi fattori che esercitano la loro influenza, come ad esempio il Taoismo, o il culto degli antenati, questo genere di culti influenzano la vita dei cinesi. A dimostrazione dell’errore commesso dagli studiosi occidentali si può pensare al fatto che se chiediamo di spiegare la filosofia confuciana ad un abitante di Taiwan, ad uno di Hong Kong e ad uno della Cina popolare otterremo tre risposte differenti (…).
Secondo la mia opinione se guardiamo alla storia della Cina scopriamo che le persone hanno sempre cercato di risolvere informalmente le dispute, anche se questa non è vera Restorative Justice, perché tale tipo di conciliazione necessita di una base normativa. Possiamo infatti parlare di giustizia riparativa solo in presenza di un moderno sistema legale, in caso contrario si sta parlando solamente di famiglie, comunità, che cercano di risolvere le proprie controversie in via informale, senza sanzione legale. A mio avviso peraltro nemmeno ora esiste una vera Restorative Justice nella Repubblica Popolare Cinese.
Infatti nella Cina continentale abbiamo una rigida rule of law che regolamenta il vivere nelle città, mentre non c’è un affidabile sistema legale nelle campagne dove ci si deve affidare a sistemi informali per risolvere le dispute, è in questo modo che una sorta di “Restorative Justice” fa il suo ingresso nel paese. Questa Restorative Justice entra nel sistema giuridico cinese perché troppo frammentato e la Cina è una nazione troppo grande, per questo motivo le singole realtà contadine sono costrette a ricorrere a conciliazioni informali. Non si tratta di un sistema davvero originale, lo troviamo anche in Europa, applicato prima del diciottesimo, diciannovesimo secolo, prima quindi dell’avvento della rule of law. In seguito legge ed educazione, come bastone e carota, sono sempre più diventate lo strumento dei governanti per controllare la popolazione, facendo via via perdere rilevanza alle conciliazioni di tipo informale.
Ci si domanda quindi perché la moderna giustizia riparativa ha raccolto consensi e crescente interesse. In un sistema legale moderno la Restorative Justice tradizionale non trova spazio, viene esclusa dal sistema legale perché troppo informale. La legge formale deve tenere il controllo, non potendo ammettere che esista un sistema informale per risolvere controversie che interessano lo Stato. Perché quindi si parla ancora di Restorative Justice? La risposta è che la legge non può regolare tutto, lascia irrimediabilmente dei vuoti che è chiamata a colmare la società autonomamente, per questo la legge, che tende comunque al controllo, riconosce il fenomeno e lo fa entrare nel suo sistema.
In altre parole i moderni sistemi legali partono dal presupposto che tutti siano uguali di fronte alla legge, nei fatti però il legislatore realizza che ognuno è diverso anche davanti alla legge per cui, riconoscendo i propri limiti, il sistema normativo positivo lascia spazio alla giustizia riparativa la quale può facilitare la risoluzione delle controversie, far raggiungere un accordo fra le parti cui poi la legge garantisce autorità, sempre stabilendo che se non si riesce a trovare una soluzione conciliativa la via giudiziale rimane aperta. In sostanza la giustizia riparativa ha come obiettivo un accordo che soddisfi le parti, non un accordo giuridicamente ineccepibile, per questo si contrappone al sistema di tipo legale, quest’ultimo però, suo malgrado, accoglie la Restorative Justice anche se va contro i propri fini di giustizia legale perché riconosce di non poter normare ogni aspetto della società.
Cosa pensa del futuro della Restorative Justice a Taiwan?
Durante la colonizzazione giapponese a Taiwan a capo dell’amministrazione c’era un medico giapponese, Jiāteng Xīnping 家藤 新平, ed è a lui che si deve l’introduzione di un moderno sistema di polizia a Taiwan, si trattava però di una forza fedele al potere coloniale, con poteri autoritativi e di sanzione con riguardo ai crimini minori ed è per questo motivo che le forze di polizia per i taiwanesi rappresentano ancora il retaggio di un sistema di polizia imposto e prevaricatore, con ciò contrapponendosi al sistema delle corti, in cui si vede la vera giustizia garantita dalla legge.
Per questo vi sono delle difficoltà ad implementare un sistema di Restorative Justice.
Due condizioni a suo dire usualmente possono aiutare lo sviluppo della giustizia riparativa:
1- l’individualismo, paradossalmente proprio l’individualismo infatti può spingere in certi casi le persone a scegliere la via conciliativa, più economica e certa nei risultati;
2- la debolezza del sistema legale in certi settori o in certe parti della nazione.
A Taiwan queste condizioni mancano, per cui affinché la conciliazione Vittima-Reo possa essere implementata serve una più ampia revisione legale e sociale, che porti a far comprendere che le dispute possono essere risolte anche senza il ricorso alla legge. Il sistema di Restorative Justice deve porsi in competizione con quello legale, come una sua valida alternativa. Questo sistema alternativo alla norma scritta non è però un sistema di risoluzione delle controversie tripartito (ovvero fra vittima, reo e giudice), si tratta invece di un sistema nel quale gli attori principali sono la vittima e il reo, che siano messi nelle condizioni di parlare insieme ed esprimere rimorso e perdono, e quindi, sullo stesso piano, un rappresentante della comunità (non un rappresentante del governo, ma un rappresentante della comunità, è in questo che si distingue dalla giustizia di pace italiana, perché il giudice di pace non rappresenta la comunità, è sempre un pubblico ufficiale che rappresenta lo stato, potremmo dire che il giudice di pace è solo un giudice senza la toga, il rappresentante della comunità invece non è un giudice, non decide la controversia, ascolta le parti, comprende i motivi dell’azione criminosa e le responsabilità della comunità che lui rappresenta e favorisce la conciliazione.
Quindi la parte che ha commesso il crimine si scusa e cerca il perdono della vittima, con l’aiuto del rappresentante della comunità, si tratta di un sistema assimilabile a quello del layman judge giapponese; in quel sistema però a cittadini comuni è concesso il potere di giudicare e questo è comunque frutto di un sistema in cui la maggioranza si impone sulle minoranze, e questa è una violenza. Un sistema che giudica non cambia le persone, fornisce solo un giudizio ed esaurisce la sua funzione in quello. A dire il vero anche il termine giustizia riparativa non è corretto, il sistema di “Restorative Justice”, o meglio “Restorative Something” non cerca la giustizia, cerca l’armonia.
Il termine giustizia implica qualcosa di calata dall’alto, da un soggetto terzo che arriva e ci dice quale delle parti ha torto e quale ha ragione. Questa è giustizia, al contrario la “giustizia” riparativa non necessita di una terza persona al di sopra delle parti, ma di tre persone che si siedono insieme e discutono quale sia la soluzione migliore per le persone coinvolte e per la loro comunità. “There is no justice between us, It is all about agreement.”
*Riccardo Berti riccardo.berti.vr[@]gmail.com Laureato in giurisprudenza all’Università degli studi di Trento nel 2010 con tesi dal Titolo "La conciliazione penale negli ordinamenti giuridici cinese e taiwanese" valutata 110/110 con lode, nel dicembre 2011 ho partecipato al 3rd Asian Criminological Society annual meeting Taipei presentando un paper dal titolo “Xingshi Hejie: criminal conciliation in People’s Republic of China and in Taiwan”.