SINOLOGIE – Fenomeno mingong

In by Simone

La tesi Fenomeno mingong: dinamiche geopolitiche e risvolti sociali delle migrazioni interne cinesi ci spiega l’origine e la storia della popolazione di "migranti temporanei" che ha fisicamente costruito la nuova Cina. Da Mao a oggi questo è un esercito di lavoratori senza diritti che va dove trova lavoro.
Il mondo intero sta assistendo agli straordinari progressi economici della Cina, che ha guadagnato, nel 2010, il secondo posto tra le potenze economiche mondiali e il primo tra quelle asiatiche.

Questa crescita ineguagliata è stata resa possibile, tra le altre cose, dal massiccio utilizzo di forza lavoro non specializzata a basso costo, reperita ammorbidendo, ma non revocando, le precedenti restrizioni sui liberi movimenti migratori all’interno della Cina. In conseguenza di ciò è nato un nuovo fenomeno, quello dei mingong, termine che designa il popolo lavoratore rurale che migra verso le città senza alcun appoggio statale.

I mingong sono il prodotto sia dell’economia pianificata maoista che dell’economia di mercato socialista adottata dal governo in seguito alla morte del Grande Timoniere. Infatti, l’ottica di governo cinese, da Mao in poi, riconosce alle città una maggiore importanza rispetto alle campagne, e ciò contribuisce non solo ad allargare il divario economico esistente tra queste due realtà, ma anche quello sociale tra le due diverse classificazioni della popolazione, urbana e rurale.

Il punto di svolta per la nascita del fenomeno è stato il passaggio dall’economia pianificata all’economia di mercato, avvenuta con la transizione dall’epoca idealista maoista a quella pragmatica denghiana: dai primi anni ’80, la Cina è diventata il luogo chiave dell’espansione industriale mondiale e della formazione di un nuova categoria di lavoratori, che in particolare dagli anni ’90 si è fatta portatrice di rilevanti problematiche urbane, sia lavorative che sociali, le cui risoluzioni sembrano essere sempre più indispensabili per il raggiungimento dell’ideale cinese della società armoniosa, il quale sembra oggi allontanarsi.

La riforma urbana di Deng consistette sostanzialmente nella riforma delle imprese di proprietà statale, cosa che favorì l’espansione delle infrastrutture di base nelle città, creando una significativa domanda di lavoro. La riforma rurale non ebbe gli stessi successi di quella urbana, causando un surplus di lavoratori e quindi un’intensificazione delle migrazioni verso le città. Con l’apertura della Cina all’economia di mercato, per evitare fughe di massa dalle campagne e i problemi legati ad una rapida urbanizzazione, il governo promosse l’industrializzazione delle aree rurali, seguendo lo slogan
litu bu lixiang, jinchang bu jincheng (lascia la terra non la campagna, entra in fabbrica non in città).

Questo portò ad un boom delle "imprese di villaggio", che furono create per impiegare la forza lavoro in esubero dopo lo scioglimento delle comuni popolari, nel 1984. Queste nuove imprese godevano di agevolazioni fiscali, ma dalla metà degli anni Novanta declinarono rapidamente, lasciandosi dietro una scia di costi ambientali e di contadini senza lavoro: sono proprio loro i mingong, i lavoratori migranti rurali che lasciano la campagna per la città, alla ricerca di un impiego.

Il termine mingong, prima di assumere il significato di "contadini che svolgono un lavoro manuale nelle città", indicava i "lavoratori temporaneamente reclutati per un grande progetto pubblico". I mingong sono una categoria di migranti definiti "temporanei", che lasciano le campagne in cerca di un lavoro, ma non hanno il diritto di cambiare la propria residenza, condizione che li esclude da svariati diritti nel luogo di arrivo, che sono invece assicurati ai cittadini regolari; tuttavia per larga parte sono migranti temporanei permanenti: lavoratori non specializzati che hanno preferito cercare un qualsiasi lavoro in città piuttosto che restare nelle campagne, senza possibilità di impiego.

La massiccia redistribuzione spaziale volontaria della popolazione è avvenuta principalmente dalle zone centrali ed occidentali verso quelle costiere, e dalle zone rurali verso le aree urbane e le zone industrializzate. In questo si vede come i mingong siano particolarmente sensibili ai bisogni del mercato del lavoro emergente. In altre parole, non avendo la possibilità di stabilirsi permanentemente in una città, sono "liberi" di andare dove c’è bisogno di manodopera. In particolare, la più rapida crescita economica, sostenuta dai lavori umili, degradanti e faticosi svolti da quest’esercito di contadini senza terra, è stata esperita nel corridoio che va da Beijing e Tianjing, nel nord, al Guangdong, nel sud.

Nelle aree di origine, la migrazione lavorativa è stata promossa in molte province fin dagli inizi degli anni ’90, per ridurre la povertà e promuovere la crescita economica della zona. Non c’è dubbio che il fenomeno abbia contribuito considerevolmente allo sviluppo, soprattutto delle province più povere, tenendo conto che le rimesse degli emigrati a volte erano maggiori dei proventi ricavati dall’agricoltura.

Nelle aree di arrivo, sono i bassi stipendi accettati e il capitale umano relativamente alto fornito dai migranti a rendere la Cina leader mondiale nell’industria manifatturiera. Dal momento che il costo del lavoro dei mingong è sostanzialmente inferiore a quello del lavoro urbano locale, e che le campagne continuano a fornire giovani disposti a fare qualsiasi lavoro, la categoria dei migranti rurali diventa, per lo sviluppo urbano, una fonte di lavoro inesauribile.

Per quanto riguarda, invece, l’impatto sociale del fenomeno, bisogna tener conto dei problemi che implica l’afflusso di milioni di contadini indigenti nelle città cinesi e delle serie problematiche urbane che ciò inevitabilmente solleva. Il numero dei migranti temporanei non è certo né facilmente verificabile: il sistema hukou esclude che vengano registrati dove risiedono realmente; in conseguenza di ciò, le statistiche presentano numeri che variano considerevolmente: si va dai 144,4 milioni riportati dal Censimento 2000 ai 173 milioni che emergono dalle statistiche rilasciate nel 2004 dal Ministero dell’Agricoltura, mentre secondo fonti meno ufficiali, la popolazione rurale in surplus al 2004 era stimata sui 350 milioni.

Nelle maggiori città cinesi, quelle che attirano il maggior numero di mingong, si assiste ad una discriminazione sociale, istituzionalizzata dal sistema hukou: a chi ha la residenza sono forniti significativi sussidi statali per l’abitazione, la sanità, l’impiego e l’istruzione; per chi invece è, suo malgrado, legato ad un altro posto, nulla di tutto ciò è contemplato. L’immane impegno finanziario statale che richiederebbe il riconoscimento dello status urbano per centinaia di milioni di persone illumina sul motivo per cui il governo cinese, dichiarandosi socialista, tolleri e anzi sostenga una simile disparità sociale all’interno delle sue città.

Da lungo abituati alla deprivazione di welfare e status sociale, i mingong non hanno sviluppato la nozione di sé stessi come cittadini con dei diritti. Non sono bene organizzati al livello sociale: rappresentano una considerevole quota della popolazione che di fatto risiede nelle città e non hanno diritto a nessun sussidio statale, eppure non si riscontrano movimenti di protesta per questa ingiustizia istituzionalizzata.

La spiegazione si può trovare nel fatto che, anche vedendo e subendo la differenza reale che esiste con i cittadini, i mingong tengono maggiormente conto della differenza relativa tra la vita in città e quella povera e priva di opportunità lasciata alle spalle: anche facendo i lavori più umili, in città si guadagna molto più che in campagna, per cui creare tensioni sociali porterebbe inevitabilmente alla fine del sogno. Un mingong racconta che quello che si riesce a guadagnare in un mese a Pechino facendo i lavori di bassa manovalanza che capitano, in campagna non si raggiunge nemmeno in un anno di lavoro.

L’esclusione dei mingong dalla possibilità di usufruire dei sussidi statali accentua la stratificazione sociale nelle città, che si manifesta sotto diversi aspetti. Un’importante caratteristica che emerge dall’analisi degli impieghi urbani è che la maggioranza dei mingong rientra nella categoria dei lavoratori autonomi oppure è assunta da imprese private, mentre i cittadini sono principalmente impiegati in imprese statali, imprese collettive urbane, joint ventures ed imprese straniere, in cui, di converso, si ricorre poco all’utilizzo dei mingong.

Sembra addirittura che si siano creati due diversi mercati del lavoro, in cui gli impieghi dei cittadini e dei contadini risulterebbero complementari: i mingong svolgono i lavori considerati poco allettanti dai cittadini, per cui non esiste una particolare concorrenza lavorativa, chiamati "lavori 3D": dirty, dangerous and degrading.

Per quanto riguarda la situazione abitativa, mentre i cittadini godono di sovvenzioni per l’acquisto e l’affitto di case, molti mingong si devono accontentare di quello che riescono a trovare con le proprie possibilità finanziarie: per lo più stanze squallide e superaffollate nelle zone suburbane, o anche baracche momentanee. Molte delle sistemazioni mancano di strutture igieniche di base, per cui si è assistito al ritorno di malattie infettive favorite da ambienti malsani.

Per quanto riguarda la sanità, più di due terzi dei lavoratori migranti non vanno in ospedale in caso di bisogno di cure, a causa dei costi ciò comporta essendo al di fuori del sistema medico assicurativo urbano. Questo, insieme alla scarsa igiene del luogo di lavoro e di alloggio, ha portato alla diffusa presenza, tra la popolazione migrante, di varie malattie infettive come la tubercolosi, l’epatite B e l’Hiv. I migranti sono considerati i principali vettori di queste ed altre malattie infettive, perché sono la parte della popolazione che vive in città ad essere più mobile e meno istruita, e così resterà se le autorità locali non si impegneranno a garantire loro gli stessi diritti di base dei cittadini.

Un punto di nodale importanza risiede nell’istruzione dei migranti: chi scappa dalla povertà della campagna e vuole far andare la propria prole nelle scuole pubbliche in città si trova di fronte ad un ostacolo difficilmente affrontabile, che, come nel caso della sanità, è rappresentato dai sostanziosi finanziamenti richiesti a chi non è residente. Alcuni riescono ad affrontare le spese richieste, ma per la maggior parte l’istruzione per i propri figli risulta inaccessibile. La priorità dell’istruzione è fondamentale per le stesse città, in quanto senza di essa i figli dei mingong potrebbero continuare a mantenere lo status marginale dei genitori, creando così un circolo vizioso intergenerazionale che troverebbe inevitabilmente sfogo nell’aumento dei crimini urbani, già per la maggior parte attribuiti ai migranti.

Una risposta a questo rischio è data da alcune delle comunità di migranti insediatesi nelle città, che hanno aperto delle scuole clandestine per migranti, seguendo l’idea secondo cui è meglio costruire una scuola in più oggi per evitare la costruzione di una prigione in più domani. Secondo uno studio effettuato su un centinaio di scuole clandestine a Pechino, la maggior parte di queste non ha delle strutture adeguate, le stanze adibite ad aule sono sovraffollate e non rispettano norme di sicurezza; inoltre, molti degli insegnanti impiegati non hanno esperienze precedenti nel campo dell’educazione e in ogni caso è improbabile trovare tra di loro qualcuno che abbia frequentato l’università; molte di queste scuole offrono solo l’insegnamento del cinese e della matematica, perché mancano insegnanti qualificati per le altre materie. Per quanto imperfette e bisognose dell’aiuto e del riconoscimento delle amministrazioni locali, queste scuole hanno comunque il pregio di rappresentare una speranza per la seconda generazione di contadini nelle città cinesi.

I flussi di mingong sono movimenti non regolati, per cui tendono inevitabilmente ad indebolire il controllo statale sulla popolazione, ma per il momento e nel breve termine i comportamenti e le attività di molti di loro non sembrano minacciare il meccanismo statale di controllo economico e sociale, né promuovere cambi istituzionali significativi: i mingong sembrano accettare lo status quo che è imposto dall’alto: si adattano a vivere da reietti in città perché l’alternativa offerta dalle campagne non è considerata migliore.

Quello che spaventa le amministrazioni locali e i cittadini è la minaccia alla sicurezza urbana incarnata da una massa ingente di persone senza mezzi di sussistenza adeguati: i mingong sono i responsabili della maggior parte delle attività criminali urbane, dal furto alla prostituzione, dallo spaccio di droghe agli omicidi.

L’integrazione dei migranti nella la comunità di arrivo è quindi molto difficile, oltre che per le differenze di valori e di costumi, anche perché dopo trent’anni sotto l’ideologia maoista dell’egualitarismo si nota in Cina un "riflusso nel privato", che sottintende la superiorità dei cittadini rispetto agli immigrati rurali, che subiscono lo stigma di "nuovi barbari": ciò ha portato nuove forme di stratificazione sociale e di problemi urbani

La resistenza della popolazione urbana all’abolizione del sistema hukou è dovuta al fatto che questa priverebbe i cittadini della superiorità dei loro diritti rispetto ai residenti rurali. Dal momento che neanche il governo centrale è intenzionato a lasciar decadere il sistema hukou, i mingong continueranno a lungo a rappresentare una parte consistente della popolazione nelle grandi città, anche se non avranno agevolazioni statali: questo porterà all’inasprimento delle tensioni sociali, ed il risultato dipenderà sostanzialmente dalla volontà dei migranti di sovvertire il mandato celeste (tianming) del governo attuale.

Naturalmente, anche alcune delle future dinamiche globali, sia economiche che sociali, saranno influenzate dai cambiamenti dei fenomeni migratori cinesi: ad esempio, nel momento in cui non fosse più disponibile tale quantità di lavoratori non specializzati a basso costo, le economie del resto del mondo, Stati Uniti ed Europa in particolare, dovrebbero adeguarsi, dopo anni di assuefazione ai prodotti low cost made in China.

* Clio Dalmasso clio.dalmasso[@]gmail.com è attualmente iscritta alla Laurea Magistrale Interpretariato e Traduzione Editoriale, Settoriale presso la Ca’ Foscari.

** Questa tesi è stata presentata all’Università di Bologna: relatore prof.ssa Elisa Magnani, correlatore prof. Carlo Cencini

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]