La tesi Comunitarismo in Cindia: risorsa democratica e pluralistica di riflessione comune sull’etica globale spiega la storia e la complessità del fenomeno, analizzando i suoi sviluppi all’interno del contesto sino-indiano. Esplora in particolare le alternative offerte dalla filosofia comunitaria per una riflessione comune sull’etica globale
C’è un tempo in cui la comunione dei beni e l’uguaglianza sono valori professati dalle chiese ed uno in cui sono principi fondamentali dello statuto di un ateo partito comunista. Così come i concetti di comunione e uguaglianza variano nelle diverse culture ed epoche storiche, allo stesso modo il termine comunalismo O comunitarismo si riempie di significati, si carica di differenti sfumature e appartenenze caratteristiche dei contesti che si trova a descrivere. Secondo il Random House Unabridged Dictionary “communalism” è un termine che ha tre differenti significati. Esso include:
(1) A theory of government or a system of government in which independent communes participate in a federation.
(2) The principles and practice of communal ownership.
(3) Strong allegiance to one’s own ethnic group rather than to society.
Nella storia gli esperimenti comunalisti hanno spesso animato dispute e amari risentimenti, rilevando la confusione generata dalla stessa definizione. Un caso famoso in Europa fu la Comune di Parigi.
Questo fenomeno non appartiene a determinate fazioni politiche come il comunismo, spesso associato alla “sinistra”. Esso prescinde dal bipolarismo, ispirando gli obiettivi di partiti sia di destra che di sinistra. Basti pensare che in Italia attualmente i partiti politici che maggiormente vi fanno riferimento sono la Lega Nord e il M5S, e anch’essi lo concepiscono in maniere radicalmente differente, proprio come nel caso sino-indiano.
In India, per esempio, il comunalismo (समुदायिकता samudāyikatā) si è principalmente sviluppato sotto forma di “settarismo” in accordo con la terza definizione fornitaci dalla Random House. Ci si riferisce al conflitto di comunità religiose, in particolare tra i maggiori gruppi: hindu, musulmani, cristiani e sikh. La loro disputa ha assunto proporzioni colossali all’interno delle relazioni socio-politiche, tanto da fomentare il nazionalismo e il fondamentalismo, scaturendo nella violenza. Il caso dell’India pare non avere nessun legame con gli altri due riferimenti indicatici e le relative filosofie politiche, per lo meno in apparenza, sembra anzi limitarne o stravolgerne il senso. Il settarismo è, infatti, un fenomeno legato al comunitarismo ma esistente a prescindere dalle correlate filosofie. Esso è presente sotto molteplici forme e in diverse società dove ancora le odierne guerre di religioni e le persecuzioni politico-religiose sono all’ordine del giorno.
Il comunalismo cinese (地方自治主义 dìfāng zìzhì zhǔyì) è invece legato più propriamente alla seconda definizione e si accorda con vari principi teorici della prima. Si è sviluppato lungo tutto l’arco della storia imperiale ed è stato caratteristico dell’era maoista, durante il decentramento, la collettivizzazione rurale e la nascita delle Comuni e Brigate popolari nel ventennio immediatamente successivo alla vittoria comunista. Il caso cinese pare non mostrare evidenti analogie con l’omonimo indiano, ma indagandone l’origine, affermarlo sarebbe discutibile. Anche in Cina, infatti, l’etnocentrismo e la mancanza di pluralismo sono una caratteristica principale dello sviluppo delle tensioni comunaliste.
L’intenzione di questo studio non è però quella di definire la complessità del fenomeno, ma di analizzare i suoi sviluppi all’interno del contesto sino-indiano, in particolare in merito alle alternative offerte dalla filosofia comunitaria per lo sviluppo della democrazia e del secolarismo e, conseguentemente, di una maggiore propensione alla riflessione comune sull’etica globale. La filosofia comunitarista potrebbe aiutare il superamento delle tensioni generate dal comunalismo indiano? È in grado di assecondare il processo di democratizzazione cinese? Il “comunitarismo in Cindia” quali conseguenze comporta per la comunità internazionale?
Il comunitarismo è un fenomeno complesso da definire all’interno del nostro emisfero culturale e modo di vedere le sue accezioni si diramano a seconda dei vari contesti socio-politici. Porre l’accento sulla comunità anziché sull’individuo, dare priorità al bene comune piuttosto che ai diritti del singolo, sono solo alcune delle diverse manifestazioni di questo fenomeno. Esso non è solo caratteristico delle culture, filosofie e religioni orientali, ma è insito nella natura umana. Il liberalismo non può prescindere dal comunitarismo, così come l’universalismo non prescinde dal particolarismo ne il misticismo dalla logica. Le popolazioni indigene e i ritrovamenti archeologici ci mostrano come sono tutti tratti essenziali della nostra natura, e come siano le differenti culture a porvi enfasi in diversa misura su di un aspetto piuttosto che un altro.
Quello che questo studio riconosce non è la necessità di realizzare una società prevalentemente comunitaria, ma di ricercare un equilibrio tra le parti. Tuttavia non dobbiamo lasciarci intimorire dal fatto che il comunitarismo sia stato complice del fortemente sentito etnocentrismo cinese, e caratteristico delle violenze comunaliste in India. Esso nella cultura orientale è una risorsa importante, interverrà a frenare l’impatto con l’individualismo occidentale e a fornire un possibile punto di svolta anche per la sua politica.
L’analisi delle diverse manifestazioni ci ha dato modo di notare come non sia tanto il nobile principio della condivisione e collaborazione a creare disordini e tensioni sociali, ma la sua imposizione autoritaria, il fanatismo che ne deriva. Nel XX secolo si sviluppa, da una parte, un comunitarismo religioso, dall’altra uno ateo; uno complice di guerre di religioni e l’altro di guerre alle religioni. Uno in cui il martirio è richiesto al cospetto del futuro regno dei cieli e uno in cui è richiesto in nome della futura società comunista. Entrambi scaturiscono in violenze in nome dell’ideologia o della fede, al servizio di un Dio misericordioso o di un Presidente miracoloso; di un libro sacro o di un sacro libretto rosso; aspirando a un paradiso o a una società senza stato né classi, senza lasciar tracce di libertà di autodeterminazione. Vengono strumentalizzati i principi e la cronaca, viene fomentato il massimalismo più sconsiderato, il nazionalismo e l’odio razziale. Probabilmente Marx non pensò che il proprio comunismo potesse mai rievocare i tratti caratteristici da lui descritti come “oppio dei popoli”, tratti tipici dei fondamentalismi.
La decrescita e la resilienza invocate dal taoismo e le riflessioni di Sen riconoscono la necessità di rivalutare la modernità e lo sviluppo; il punto di vista dell’anarchico Zheng e la critica al bolscevismo di Gandhi ci mostrano entrambe come anche i più nobili principi possono trasformarsi nei peggiori incubi se attuati con la forza. Gli esseri umani sono orgogliosi di condividere, di collaborare, di aiutare le altre persone quando lo fanno volontariamente e con amore, e non per via della paura della dannazione eterna o della morte, non quando costretti a cedere ciò che gli appartiene.
In India la neutralità della definizione di comunitarismo viene meno, assumendo un carattere estremamente negativo e violento alla luce dei numerosi scontri dipinti sotto la voce del comunalismo. Pur essendo da noi considerati sinonimi, "comunitarismo" e "comunalismo" hanno una diversa frequenza di utilizzo e coprono diversi contesti, tant’è che in India viene spesso considerato sinonimo di settarismo. All’interno del testo ho optato una distinzione nell’utilizzo dei due termini, distinguendo tra la cultura del vivere comune e la filosofia politica del comunitarismo, e le tensioni sociali dipinte sotto al voce del comunalismo.
Questo tipo di approccio ha permesso di giungere ad una conclusione per molti versi paradossale: ovvero che la filosofia politica comunitaria invoca la tolleranza attiva che il comunalismo indiano sopprime, e che non si ferma al semplice laicismo, ma all’accrescimento reciproco degno di una società non solo multiculturale ma pluriculturale, in cui le diverse comunità non solo si sopportano a vicenda, ma collaborano e si influenzano reciprocamente. L’evoluzione del clan cinese ci mostra come il buon funzionamento delle relazioni comunitarie offuschi la centralità delle relazioni di classe. La comunità funge da ponte tra l’individuo e la società. La sua salvaguardia è fondamentale per formare l’identità individuale e per sfuggire all’alienazione data dal distacco con il resto della società, generato dalla burocratizzazione e dalla globalizzazione di un mondo sentito come troppo lontano dal nostro, e con il quale ci si sente impotenti ad interagire.
Perciò, in questi termini, non è da sottovalutare il contributo del comunitarismo per il superamento delle tensioni comunaliste in India e in Cina. Tale filosofia accetta la sfida del pluriculturalismo contemporaneo e della globalizzazione, non optando per l’assimilizione o la cosiddetta “tirannia della maggioranza”, ma estendendo gli orizzonti della stessa democrazia.
Nell’ultima parte attraverso il pensiero di He Aiguo, Amartya Sen e Hall & Ames, vengono trattati i legami tra pragmatismo, comunitarismo e filosofie orientali. Questo trinomio, per quanto possa trovare punti in comune e in disaccordo, è da tenere fermamente in considerazione perché non è da escludere che il rapporto tra le sue parti, possa rappresentare il punto di svolta per il superamento dei problemi attuali legati al comunalismo; per il difficile confronto tra valori occidentali e asiatici; per il futuro della stessa comunità internazionale. Il pragmatismo è ora considerato tra le più accreditate filosofie in occidente a differenza del comunitarismo, il quale è più difficile da accettare in una società individualista come la nostra.
Tuttavia, seppur di stampo liberalista, il pragmatismo critica aspramente il capitalismo e l’individualismo della società moderna e in molti punti si trova d’accordo con il pensiero comunitario e per questo motivo è in grado di aumentarne l’influenza sociale. Questo apre al strada non solo al dialogo tra le due filosofie ma anche con le filosofie orientali, fortemente impregnate, per molti versi, di aspetti comunitari e pragmatici. Il neoconfucianesimo in particolare, in quanto teoria etico-politica, non limitandosi ad esser considerato comunemente solo nell’ottica di una filosofia-religiosa, si sposa con numerosi aspetti di queste ultime e può fornire un valido terreno di confronto, di maturazione reciproca, non solo tra valori occidentali e orientali, ma anche tra democrazia liberale e comunitaria, accomodando il processo di democratizzazione cinese e aprendo la strada per la concezione di una comunità internazionale maggiormente condivisa nel processo di formazione di una nuova etica globale. Una tradizione umana che non miri all’assolutismo ideologico, ma che richiami la parzialità del vero propria di ogni cultura al cospetto dell’intera comunità umana. Un proverbio cinese recita: 求同存异 (Qiútóngcúnyì): ricercare un terreno comune nonostante le differenze.
[Su Caratteri Cinesi la traduzione di He Aiguo: Amartya Sen e il concetto di “valori asiatici”]* Gian Luca Atzori atzori.1253543[@]studenti.uniroma1.it, nato a Ghilarza (OR) il 22/11/1989. Diplomato al Liceo socio-psico-pedagogico "G. Galilei" di Macomer. Ho studiato presso la BFSU (Beijing Foreign Student University) e sono laureato alla Facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze Umanistiche e Studi Orientali dell’Università di Roma "La Sapienza"nell’anno accademico 2011-2012 nell’ambito delle Religioni e Filosofie dell’India.
** Questa tesi è stata presentata all’Università La Sapienza di Roma: relatore prof. Bruno Lo Turco.