La tesi Le relazioni Cina-Asean alla luce della disputa Spratly vuole dimostrare che la disputa sull’arcipelago delle Spralty ha permesso a partire dagli anni ’90 l’intensificazione dei rapporti diplomatici tra Cina e Asean, nonostante non si sia ancora ottenuta una risoluzione della disputa. La storia delle dispute su quello che è stato significativamente chiamato il "Secondo Golfo Persico".
La disputa Spratly è la più importante controversia di sovranità territoriale del Mar Cinese Meridionale, in quanto coinvolgendo ben 6 paesi, ovvero Cina e Taiwan e alcuni membri dell’ASEAN ovvero Malaysia, Filippine, Vietnam e Brunei, è sicuramente quella più contenziosa, complessa e pericolosa. I 4 paesi membri dell’ASEAN sono principalmente in conflitto con la Cina in quanto essa rivendica il 90% del Mar Cinese Meridionale, ed inoltre è il paese che più di tutti mostrato la sua assertività pur di ottenere la sovranità su tale arcipelago.
Ciò che porta tali paesi ad interessarsi a questo arcipelago è il suo valore inestimabile dal punto di vista geostrategico ed economico:
– Innanzitutto, le acque dell’arcipelago sono tra le più pescose della terra; ciò è fondamentale per una regione in cui la pesca è un settore da cui derivano ingenti introiti soprattutto tramite le esportazioni;
– In secondo luogo, l’arcipelago è situato in un luogo strategico, punto di passaggio del 50% del traffico mercantile mondiale e dell’80% dei trasporti di petrolio grezzo verso Giappone, Corea del Sud e Taiwan; assicurarsi la sovranità sulle Spratly significa quindi avere un controllo diretto su alcune delle più importanti rotte marittime del mondo;
– Infine, pare che nei suoi fondali vi sia una immensa riserva di risorse energetiche; si stima che siano presenti fino a 213 mila miliardi di barili tra petrolio e gas naturali, una quantità maggiore persino di quella posseduta dal Kuwait; è per questo che i media riferendosi al Mar Cinese Meridionale parlano di “Secondo Golfo Persico”. In un mondo in cui le risorse naturali diventano sempre più scarse, assicurarsi la sovranità su queste isole potrebbe rappresentare la soluzione ottimale all’enorme domanda energetica della Cina, ma anche degli altri pretendenti.
La disputa è cominciata ufficialmente a partire dalla Conferenza di San Francisco del 1951, quando il Giappone, che aveva occupato l’arcipelago durante il secondo conflitto mondiale, dovette rinunciarvi, ma non venne stabilito a chi sarebbe stato ceduto; cominciarono così le prime rivendicazioni da parte dei paesi già citati e a partire dagli anni ’70, si è assistito all’occupazione di alcune isole e, in seguito alla prima scoperta petrolifera, alla distribuzione di concessioni per attività esplorative. Grazie anche ai nuovi sviluppi nel diritto internazionale del mare circa i diritti di sovranità per la gestione e lo sfruttamento delle risorse marine, gli stati pretendenti cercarono rafforzare la propria posizione in modo tale da beneficiare il più possibile del nuovo regime legale.
Nonostante la controversia cominciasse a divenire un punto dolente per la sicurezza del Mar Cinese Meridionale, gli esperti di relazioni internazionali hanno cominciato ad interessarsi alla questione soltanto a partire dalla fine degli anni ’80; dal quel momento tale questione ha occupato un posto sempre maggiore nell’analisi delle sfide politiche e strategiche della regione dell’Asia Sud-orientale. Tutto è cominciato a causa di un incidente avvenuto nel 1988 tra Cina e Vietnam, dove l’occupazione da parte della prima di un atollo troppo vicino ad un’altra isola controllata dalle forze vietnamite fece scatenare una battaglia navale che tutt’oggi viene considerata come l’episodio di conflitto armato più significativo avvenuto nelle Spratly.
Molti studiosi ritengono che questo incidente sia stata la prima dimostrazione dell’intenzione di Pechino di espandersi nel Mar Cinese Meridionale. In effetti, attraverso il potenziamento delle sue capacità militari, Pechino cominciò a stabilire nei primi anni ’90 una presenza permanente sulle isole, nonostante essa mirasse in quegli anni a dare di sé un’immagine di paese pacifico a livello internazionale. Questo suo atteggiamento assertivo fu confermato nel 1995, quando la Cina occupò un atollo reclamato dalle Filippine, azione apertamente criticata dall’ASEAN. Incidenti di questo tipo non terminarono, ma anzi furono accompagnati, durante tutti gli anni ’90, da un potenziamento delle capacità militari cinesi.
Tra i paesi dell’ASEAN si rafforzò l’idea che la Cina fosse diventata ormai una potenza fortemente destabilizzante con obiettivi di egemonia sulla regione. Pertanto vi fu la necessità da parte di questi paesi di rafforzare la propria capacità di deterrenza. Inoltre, a sostegno di questi paesi, vi è stata sin da subito fu la potenza americana, che condivideva con essi l’idea di dover frenare le mire espansionistiche della Cina. Tuttavia gli USA non hanno mai temuto Pechino dal punto di vista militare, quindi essi hanno deciso di intervenire solo nel caso in cui la libertà di navigazione del Mar Cinese Meridionale venisse minacciata . Gli Stati Uniti dunque fanno da contrappeso in una situazione in cui i paesi dell’ASEAN risulterebbero svantaggiati.
Si venne a creare così una struttura di deterrenza tale che la disputa oscilla tra conflitto e cooperazione. Infatti arrivati alla conclusione che scatenare un conflitto non sarebbe stata la soluzione ottimale, la volontà di risolvere in modo pacifico la disputa emerse da entrambi i lati. I paesi dell’ASEAN fecero sin da subito fronte comune per risolvere la disputa ed erano favorevoli alla creazione di un sistema di cooperazione che fosse funzionale e transnazionale. Il presupposto doveva essere la creazione di un clima di fiducia nella regione. Per fare ciò l’ASEAN propose l’utilizzo di alcuni fora di discussione multilaterale in cui si sarebbero svolte attività di consultazione e cooperazione.
Tuttavia la Cina, che in ambito diplomatico aveva sempre utilizzato un approccio unilaterale, inizialmente aveva rigettato tale proposta. Nonostante lo scetticismo, nel giro di pochi anni la Cina partecipò ad alcune iniziative proposte dall’ASEAN. Ricordiamo il ruolo svolto dall’ASEAN Regional Forum, a cui la Cina partecipò a partire dal 1994, e che ha contribuito con gli anni al rafforzamento del dialogo tra gli stati della regione. Un altro forum di discussione multilaterale nato negli anni ’90 è la serie di “Seminari sulla Gestione di Conflitti Potenziali nel Mar Cinese Meridionale”.
L’obiettivo era tentare di aprire nuove strade alla cooperazione multilaterale dando maggiore spazio a questioni meno controverse come la sicurezza della navigazione, del trasporto, e della comunicazione. La rete che emerge dal dialogo tra le comunità scientifiche dei paesi della regione ha fornito i presupposti per la cooperazione sui problemi comuni ai contendenti. A cavallo tra i due secoli, l’ASEAN continuò ad incoraggiare il multilateralismo e la stessa Cina era ora dinamicamente coinvolta all’interno di molte istituzioni regionali.
Un primo traguardo verso la risoluzione della disputa è stato raggiunto tra il 2002 e il 2003, grazie sia all’approvazione della Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale, sia grazie all’accesso formale della Cina al Trattato di Amicizia e Cooperazione dell’ASEAN. Con la Dichiarazione sulla Condotta delle Parti, gli stati della regione si impegnarono a risolvere le controversie senza ricorrere all’uso della forza. Nei fatti tale documento non è legalmente vincolante e quindi non assicura un comportamento corretto delle parti, ma è stato in ogni caso un piccolo passo nella giusta direzione.
In ogni caso, il problema della sovranità sulle Spratly in quel periodo non sembrava rappresentare un pericolo diretto alla sicurezza nazionale dei singoli membri, tanto che in quegli anni fu data un’importanza particolare al rafforzamento delle relazioni economiche. In sostanza, a 15 anni dall’inizio ufficioso della disputa il rischio di un conflitto sembrava ridotto, il sistema di confidence-building sembrava instaurato e le relazioni diplomatiche tra Cina e ASEAN erano notevolmente migliorate.
Recentemente però la Cina sembra essere ritornata in parte alle sue vecchie abitudini, affermando di non voler accettare compromessi riguardo la questione sulle Spratly e mostrando nuovamente la sua assertività in un momento in cui molti leader e intellettuali cinesi ritengono che il balance of power mondiale si stia spostando a suo favore. Tale atteggiamento sta così gradualmente dilapidando parte del capitale politico accumulato dalla Cina nei confronti dei propri vicini. E’ dunque fondamentale insistere a mio avviso sul dialogo già avviato all’interno di fora multilaterali, soprattutto per ciò che riguarda la creazione di un codice di condotta, ma ciò può accadere soltanto rafforzando la fiducia tra gli Stati della regione.
*Roberta Auricchio robi-88[@]hotmail.it ha conseguito a maggio 2014 la laurea magistrale in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa presso l’Università degli studi di Napoli "L’Orientale", con votazione 108/110. Ha vinto una borsa di studio tramite l’Istituto Confucio di Napoli per approfondire lo studio della lingua cinese presso l’Università Normale di Pechino.
** Questa tesi è stata discussa presso l’Orientale di Napoli. Relatrice: prof.sa Paola Paderni; correlatrice: prof.sa Lanna Noemi.
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]