Questa estate cade il secondo anniversario dell’ “incidente della Jasic”, una protesta sul lavoro che interessò nel 2018 la Jasic Technology, impianto di saldatura a Shenzhen. Le motivazioni per cui questo episodio di attivismo del lavoro ha attirato l’attenzione di osservatori cinesi e non, intellettuali di sinistra e media di tutto il mondo, risiedono in primo luogo nelle finalità della lotta, vale a dire l’istituzione di un sindacato democraticamente eletto, ed in secondo luogo nei vari attori che hanno sostenuto, e ad un certo punto totalmente sostituito, i lavoratori della fabbrica.
Difatti, successivamente al licenziamento e quindi alla incarcerazione di tutti i lavoratori che si erano coraggiosamente impegnati nella lotta di sindacalizzazione, essa fu infusa di nuova linfa vitale grazie all’intervento coordinato di studenti universitari e neolaureati di sinistra e veterani neomaoisti. Queste “forze intellettuali”, già attive in vari blog di sinistra, come il sito maoista Red China (红色中国Hongse zhongguo), in seguito all’ultimo grande arresto del 27 luglio di 29 tra lavoratori e sostenitori, decisero di coordinarsi nel “Gruppo di supporto per i lavoratori della Jasic” (佳士建会工人声援团 Jiashi jian hui gongren shengyuan tuan, in inglese “Jasic Worker Support Group”). Fondatori del gruppo erano alcuni degli studenti marxisti che negli ultimi anni erano divenuti ben noti per la partecipazione nella istruzione e nella mobilitazione della classe operaia, per la creazione di numerosi gruppi di lettura e società marxiste in cui si discutevano tematiche sensibili e per aver portato all’attenzione nazionale il movimento femminista #Metoo. Giunti a Shenzhen, essi organizzarono il 6 agosto una protesta di fronte alla stazione di polizia del distretto di Pingshan, luogo di detenzione di tutti i lavoratori.
Gli ottanta manifestanti, molti dei quali indossavano magliette con lo slogan rivoluzionario “团结就是力量” tuanjie jiu shi liliang (“l’unione fa la forza”), chiedevano l’immediata scarcerazione e la dichiarazione di non colpevolezza dei lavoratori in stato di detenzione, incriminati del reato di 寻衅滋事 xunxin zishi (letteralmente “aver provocato litigi e creato problemi”). Nei primi mesi del 2018, questi operai si erano recati al sindacato distrettuale per riferire una serie di rimostranze sul luogo di lavoro, situazione a cui alcuni membri del sindacato avevano risposto suggerendo la richiesta di istituzione di un sindacato aziendale. Nel mese di giungo, alcuni dei lavoratori organizzarono una petizione di sindacalizzazione, riuscendo, in sole due settimane, a raccogliere ben 89 firme, equivalenti a circa il 10% della forza lavoro. I loro sforzi volti ad istituire un sindacato democraticamente eletto si scontrarono con la forte repressione della dirigenza della Jasic, che licenziò i principali attivisti.
Nelle ultime settimane di luglio, alle varie proteste di quest’ultimi, sostenuti da colleghi e familiari, la polizia distrettuale rispose picchiando ed arrestando le persone coinvolte. Dai primi di agosto, il Gruppo di supporto formato da giovani di sinistra e “vecchie guardie” intraprese azioni di solidarietà su base giornaliera, che culminarono il 24 agosto con un violento raid della polizia nell’appartamento che gli attivisti avevano temporaneamente affittato e che portò all’arresto di tutte le sessanta persone presenti, di cui 50 studenti.
Sebbene si sia parlato molto dei motivi che avevano portato i lavoratori a intraprendere una lotta di sindacalizzazione, del ruolo compromettente e poco limpido del sindacato del distretto di Pingashan e delle brutali azioni repressive da parte dei datori della Jasic e della polizia locale, ad oggi poco è stato discusso in merito alla strategia di organizzazione del lavoro alla base della lotta. Secondo quanto emerso da un articolo pubblicato a giungo di quest’anno su Made in China Journal, infatti, gli sforzi dei lavoratori della Jasic non furono casi isolati di attivismo del lavoro: gli operai che si erano adoperati nella raccolta firme erano fortemente connessi alla rete di attivisti “neomaoisti” che da decenni si battevano contro la privatizzazione delle imprese statali prima e contro lo sfruttamento della classe capitalista poi, sottolineando da sempre l’importanza del conflitto di classe negli attuali rapporti di potere vigenti in Cina. Una visione politica che si oppone fermamente alla retorica nata nei primi anni Duemila incentrata attorno ai concetti di “stabilità e armonia della società” (社会稳定和和谐shehui wending he hexie) e sulle “relazioni di lavoro armoniose” (和谐劳动关系hexie laodong guanxi).
Come scrive l’autore dell’articolo, Zhang Yueran, dottorando di sociologia alla Berkeley University, California, il caso Jasic ha rappresentato il culmine di una strategia sistematica a lungo termine di organizzazione del lavoro adottata per circa un decennio. Area di interesse degli attivisti coinvolti, il Delta del Fiume delle Perle fu scelto nel corso del Duemila in seguito ai cambiamenti delle dinamiche del lavoro ed all’emergere di imprese private che si alimentavano con l’enorme flusso di abitanti delle zone rurali diretti nei centri urbani per motivi lavorativi.
La decisione strategica nacque in parte da una valutazione politica che identificava l’area come la nuova frontiera delle lotte della classe operaia, ed anche da una visione ottimistica che, negli anni di Bo Xilai e del modello Chongqing, aumentava la fiducia di molti marxisti e neomaoisti in una probabile prossima svolta per la politica di sinistra. Questo piccolo gruppo di attivisti maoisti stabilì stretti legami con le associazioni studentesche marxiste universitarie, riuscendo a reclutare neolaureati appassionati alla causa. La strategia prevedeva che essi, dopo aver concluso il percorso di studio, abbandonassero ogni pretesa di carriera professionale per diventare invece operai impegnati nella mobilitazione della classe lavoratrice.
Il successo di queste istanze di reclutamento fu confermato dal fatto che molti degli ex studenti divennero con il tempo, difatti, i leader principali della rete maoista di attivismo del lavoro nella zona del Delta del Fiume delle Perle. Una volta assunti in piccole fabbriche note per cattive condizioni di lavoro, ci si aspettava da essi che si impegnassero per organizzare il più rapidamente possibile una qualche forma di azione collettiva e che, inoltre, riuscissero a reclutare a loro volta colleghi particolarmente entusiasti, allo stesso tempo educandoli adeguatamente al maoismo e ai fondamenti di sinistra. Al completamento di un’azione collettiva, attivisti sotterranei e lavoratori appena reclutati lasciavano la fabbrica identificandone una nuova dove implementare la strategia.
Se, da un lato, molti laureati non erano preparati a coordinare l’estenuante lavoro operaio con gli oneri dell’ “underground activism”, tra cui vi era il compito iniziale di riuscite a coinvolgere lavoratori che spesso non comprendevano il “vocabolario maoista” dei giovani, dall’altro alcune azioni collettive furono organizzare con successo, inclusi alcuni operai effettivamente reclutati per unirsi ai ranghi degli attivisti rivoluzionari. Il caso Jasic si iscrive in una svolta decisiva dei leader della rete che, reagendo al giro di vite dell’attivismo del lavoro registratosi nel 2015, presero la decisione di impegnarsi in un’azione collettiva molto più influente, al fine di aumentare la fiducia dei membri nei confronti del modello organizzativo.
Secondo quanto emerso dalla video-confessione di He Pengchao, laureato all’Università di Pechino e divenuto uno degli attivisti più importanti, la rete, dopo aver esaminato diverse opzioni, decise di inviare nel 2016 alcuni attivisti alla Jasic che si impegnassero nella pianificazione di un’azione su larga scala. L’autore dell’articolo ha affermato di essere riuscito a verificare queste informazioni, come anche il fatto che tutti i lavoratori a capo della lotta di sindacalizzazione alla Jasic del 2018 fossero attivisti sotterranei inviata dalla rete maoista. È doveroso riconoscere il successo dei tentativi di organizzazione del lavoro da parte degli attivisti che, in sole due settimane e in un ambiente autoritario e restrittivo, riuscirono a convincere 89 colleghi a firmare la petizione sindacale. Un risultato, però, che non raggiunse un sufficiente grado di supporto e di solidarietà operaia per resistere alla dura repressione da parte del datore di lavoro e del governo, debolezza che divenne debilitante dopo che i principali attivisti operai furono arrestati il 27 luglio e dopo che nessun lavoratore Jasic si fece avanti per portare avanti la campagna, un vuoto che fu colmato dall’intervento del gruppo di solidarietà guidato dagli studenti universitari marxisti.
Nonostante i difetti della strategia e la tragica fine della lotta della Jasic, il fatto che questa strategia sofisticata e comprendente vari attori fosse stata ideata e attuata per oltre un decennio è di per sé un fatto straordinario, rimarcato dal contesto in cui la teorizzazione di nessuna tattica sembrava possibile, men che meno la sua attuazione sul campo. Malgrado ciò, analizzare questa strategia permette agli studiosi di comprendere le dinamiche in atto negli ultimi anni e consente agli attivisti del lavoro di progettare nuove metodologie di organizzazione sul lavoro.
Da quanto emerso dalle dichiarazioni degli stessi attivisti, essi non ricevettero alcuna formazione sui principi fondamentali dell’organizzazione effettiva, comprese le nozioni basilari su come organizzare le conversazioni con i colleghi, come scegliere i rappresentanti tra i lavoratori, come coltivarne la fiducia, come convincerli a partecipare alle azioni collettive. Allo stesso modo, furono fatti relativamente pochi sforzi nel trasformare i lavoratori appena reclutati in attivisti aventi le capacità necessarie per mobilitare i colleghi, fatto che contrastava ampiamente con l’ampia conoscenza della rete su come reclutare gli studenti marxisti universitari. L’identità di questi attivisti maoisti sembrava essere più quella di membri di un partito con priorità rivoluzionarie invece che specialisti dell’organizzazione del lavoro, tentando di dare coerenza ad un movimento operaio estremamente frammentato mediante la formazione politica, prestando meno attenzione a potenziare la capacità organizzativa dei lavoratori.
Secondo l’analisi di Zhang Yueran, la carenza organizzativa risiedeva nel modello leninista che questi attivisti tentarono di adattare, un modello che adopera una distinzione concettuale e organizzativa tra la classe avanguardista e la più ampia classe operaia, che deve seguire la guida della prima. La rete di attivisti, infatti, divenne agli occhi dei membri una sorta di partito, investito dal ruolo di guida e di educazione della classe subordinata. Per essi, la militanza dei lavoratori in sé e il loro apprendimento delle modalità di implementazione della lotta di classe non sembrava essere una questione importante, anzi, un aspetto al contrario da arginare in quanto limitava un adeguato controllo della lotta dei lavoratori. Trascurando la parte organizzativa, la rete di attivisti maoisti non riuscì a fornire un percorso concreto per superate la natura frammentata e sporadica del movimento operaio contemporaneo in Cina, né riuscì a resistere alla forte repressione governativa: il fatto che sia possibile ad oggi discutere ampiamente di tale strategia organizzativa significa che gli apparati di partito cinesi ne siano a conoscenza e che abbiano smantellato gran parte della rete di attivismo del lavoro.
Di Vittoria Mazzieri*
**Vittoria Mazzieri, marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con un’ampia tesi di storia contemporanea che verte sul caso Jasic. Più volte in Cina sia per studio che per diletto, ha maturato negli anni una forte attrazione per gli sviluppi poco sereni dell’attivismo politico dal basso del “paese di mezzo”.