Singapore, per Lee una vittoria che è una mezza sconfitta. Opposizione record

In Sud Est Asiatico by Lorenzo Lamperti

La vittoria, come nei 13 casi precedenti dall’indipendenza dalla Malaysia nel 1965, era scontata. Quello che era in discussione era la sua proporzione. Alle elezioni generali di Singapore di venerdì 10 luglio, il People’s Action Party del primo ministro Lee Hsien Loong si prende 83 seggi: l’89% del numero totale (93). Si tratta comunque di un passo indietro, visto che nel 2015 la percentuale di seggi totali in mano al PAP era del 93% su 89 seggi. E il voto popolare per il partito di maggioranza è sceso di ben otto punti, passando dal 69 al 61%. Discesa che fa ancora più scalpore se si pensa che si trattava di elezioni anticipate chiamate proprio per rafforzare la maggioranza durante la pandemia.

Cresce invece la principale forza d’opposizione, il Workers Party, che conquista i restanti 10 seggi. Un record storico, che comunque non cambia gli equilibri del 14esimo parlamento della città-stato. Ma è significativa la crescita del voto effettivo del WP di Pritam Singh che, a differenza del PAP, non correva per tutti i 93 seggi ma solo per 21 di essi. Ebbene, se si conta non la percentuale totale dei voti ma solo quella dei 21 casi in cui correva, il WP ha totalizzato il 50,49% dei voti. Dato importante: +10% rispetto al 2015.

Il terzo incomodo (con altri otto partiti minori in corsa solo sporadicamente e con numeri piccoli) era il Progress Singapore Party, nuovo partito guidato dal medico Tan Cheng Bock, ex membro del PAP. Nonostante abbia totalizzato il 40% delle preferenze nei 24 seggi in cui correva, quasi sempre non in coincidenza con il WP, non ha conquistato nessun seggio attraverso il voto nei collegi uninominali (in un sistema elettorale che favorisce la ricca maggioranza e penalizza le opposizioni che non possono correre ovunque), ma comunque avrà un membro in parlamento grazie al sistema dei non-costituency seats, che assegnano un posto agli sconfitti che hanno preso più voti (l’altro posto individuato secondo questo sistema va al WP, che avrà dunque 11 esponenti in parlamento).

Alle urne si è recato il 96% degli aventi diritto, dunque gli over 21, nonostante la pandemia da coronavirus. Può sembrare una cifra monstre, ma in realtà a Singapore votare è obbligatorio e chi non lo fa rischia di vedersi recapitare multe salate. Le urne sono rimaste anche aperte due ore in più rispetto al previsto, con l’orario di chiusura spostato dalle 20 alle 22.

In realtà, il PAP si aspettava un successo maggiore e vive questo risultato come una mezza sconfitta. Anche per questo Lee aveva sciolto il parlamento lo scorso 23 giugno, cercando di mettere al sicuro la maggioranza dalle future incognite della pandemia da coronavirus. Nelle scorse settimane, infatti, il governo ha rimosso gran parte delle restrizioni alle attività commerciali e ha iniettato una cifra superiore a 57 miliardi di euro nell’economia. Lo stesso premier ha ammesso che “il mandato ricevuto è buono, anche se non è forte come speravo. Il risultato riflette il dolore e l’incertezza che i cittadini di Singapore sentono in questa crisi”, ha proseguito Lee, al potere dal 2004.

Il primo ministro ha più volte affermato che nel prossimo futuro ha intenzione di ritirarsi e ora dunque inizia la corsa alla sua successione. Il suo erede designato, Heng Swee Keat, ha vinto il suo seggio con una maggioranza risicata, facendo sorgere dei dubbi sul fatto che possa essere l’uomo giusto per prendere il posto di Lee.

Sullo sfondo una faida interna alla famiglia Lee, che domina la politica di Singapore insieme al PAP da sempre. Per l’esattezza dal 1959, quando Lee Kuan Yew, padre di Lee Hsien Loong, diventà primo ministro. Un ruolo che mantenne ininterrottamente fino al 1990, quando gli succedette il fedelissimo Goh Chok Tong. Ora i due fratelli minori di Lee Hsien Loong si sfidano per il patrimonio del padre: sia quello economico, sia quello politico. Uno dei due Lee Hsien Yang, ha di recente partecipato ad alcuni comizi dell’opposizione del PSP, ma alla fine ha fatto un passo indietro e non si è candidato per non creare ulteriore scompiglio all’interno della famiglia che guida la città-stato praticamente dalla sua fondazione.

Singapore ha di fronte a sé sfide difficili. Diventata negli anni un centro economico, commerciale e finanziario di prima importanza in Asia, ora deve fare i conti con gli effetti del Covid-19 e con i dubbi sul futuro della globalizzazione. Lee, non particolarmente amato a Pechino, è riuscito finora a mantenersi in equilibrio nei rapporti tra le due potenze Stati Uniti e Cina, svolgendo anzi spesso un ruolo di connettore (per esempio ospitando il primo summit fra Donald Trump e Kim Jong-un). Ma ora che le pressioni, da una parte e dall’altra, aumentano, le cose si fanno più complicate. Di recente i principali operatori telefonici del paese hanno escluso Huawei dalla costruzione della loro rete 5G.

[Pubblicato su Affaritaliani.it]