In un intervento di qualche settimana fa pubblicato sul Manifesto lo scorso 24 marzo, Yan Lianke lamentava che la letteratura, di fronte all’infuriare dell’epidemia, data la sua incapacità di recare conforto materiale alle persone in difficoltà, sarebbe ormai impotente e marginale. In realtà, ciò che intendeva dire era esattamente il contrario: la letteratura, in questo tragico frangente, un potere ce l’avrebbe eccome, se solo gli scrittori cinesi smettessero di starsene a guardare e si decidessero finalmente a parlare, “dando voce a coloro che si sentono afflitti e alienati” o testimoniando l’“assurdità” delle vicende storiche in corso. Ma gli scrittori cinesi, “costretti a operare nei limiti del politicamente corretto”, fragili e inermi come “i pinguini dell’Antartide”, e tutto sommato comodi e protetti nelle loro “calde giacche imbottite”, fanno per lo più secondo Yan Lianke orecchie da mercante, e addirittura, in certi casi, partecipano alla liturgia della celebrazione collettiva intonando i loro “inni di gioia” e facendo “scrosciare i loro applausi”.
Mentre scriveva queste cose, però, Yan Lianke aveva anche bene in mente qualche esempio opposto; in particolare, quello di una scrittrice che, nel prevalente conformismo generale, aveva invece levato la sua voce forte e chiara, dimostrando che anche gli scrittori cinesi, nel contesto di una tragedia nazionale, possono essere utili a qualcosa e che la letteratura, se davvero ne avesse voglia, un certo potere indubbiamente ce l’avrebbe. Stiamo parlando di Fang Fang, scrittrice sessantacinquenne di Wuhan, di cui ho già scritto in precedenza, che per due mesi, a partire dal 25 gennaio scorso, ha documentato ogni giorno con un suo “diario” la quarantena di Wuhan “dando voce con la propria penna”, come aveva già affermato in precedenza Yan Lianke, “alla memoria e all’esperienza” proprie e degli abitanti della città nella loro lunga e dolorosa reclusione.
Le pagine del diario di Fang Fang sono di una semplicità disarmante, e a prima vista di letterario hanno poco o niente, soprattutto per chi dalla letteratura si aspetta accenti lirici o toni epici, o verità profonde ed eleganti orpelli. Ma in realtà, a leggerle bene, sono pagine così misurate e attente, così fornite di sentimento umano nella loro spoglia sobrietà, che solo uno scrittore – e in particolare una scrittrice da sempre nota in Cina per il suo realismo delle cose minute e della vita quotidiana – avrebbe potuto scriverle. Fang Fang, per esempio, comincia sempre la sua paginetta giornaliera con un qualche cenno rapido, e tuttavia poetico, al tempo di Wuhan: il cielo limpido e gelido di fine gennaio, la pioggia insistente e cupa di febbraio, le giornate calde e variabili di marzo. Così, il tempo diventa una metafora, correlativo delle ansie e delle aspettative di chi è recluso in casa propria, e osserva, col cuore in gola, l’evoluzione del contagio, che si dipana lentamente dalla disperazione dell’inverno fino alla redenzione della primavera. Inoltre, con questo semplice artificio, Fang Fang porta il lettore nella propria casa, gli fa guardare il mondo dalla sua finestra, inducendolo a vedere il dramma di Wuhan da una prospettiva interna, un punto di vista personale, secondo l’esperienza di chi lo vive. Ma il diario non vuole essere poesia, e infatti Fang Fang passa poi velocemente a fare altro. Di solito il resoconto della “giornata” comincia con la rassegna delle notizie, quelle buone e quelle cattive, raccolte in internet o ricevute di prima mano, riferite ai suoi vicini e conoscenti così come alle vicende nazionali, in una sorta di bollettino umanizzato in cui Fang Fang ricostruisce in sintesi, con lemmi colloquiali, il quadro della situazione. Spesso a venire per prime sono le notizie più dolorose, come quelle dei morti, ma insieme ci sono i riferimenti alle sofferenze di coloro per i quali il virus è stata una disgrazia – i familiari dei malati, i bambini che hanno perso i genitori, i lavoratori rimasti senza lavoro, quelli che non ce l’hanno fatta ad arrivare all’ospedale, i cittadini di Wuhan a cui è impedito tornare a casa o i migranti dello Hubei discriminati dalle altre province – talora affiancate da alcune notizie più allegre e distensive, che fanno sorridere e restituiscono speranza. Ma oltre a ciò Fang Fang fornisce anche molte informazioni pratiche, vagliando le dichiarazioni degli esperti, discutendo le misure del governo, acquisendo i pareri dei suoi amici specialisti, fornendo aggiornamenti sugli sviluppi dell’epidemia, e cercando, con ciò, di offrire consigli e raccomandazioni utili ai cittadini incerti di fronte ai rischi del contagio. Nel far questo, Fang Fang non si accontenta però di fare da megafono alle politiche governative, ma viceversa si dedica con paziente puntiglio a interrogare le autorità sulla gestione della crisi, denunciando gli errori e criticando l’autoreferenzialità dei funzionari, chiedendo correzioni alle misure di contrasto maggiormente rispettose dei bisogni della popolazione, e, soprattutto, chiedendo con insistenza verità e giustizia contro le trasfigurazioni della propaganda a nome degli abitanti di Wuhan. Nel mentre, la pagina si arricchisce di numerosi accenni sulle sue occupazioni quotidiane, dalle telefonate con la figlia e i due fratelli maggiori ai problemi di andare all’ospedale per prendere le medicine del diabete o di trovare il cibo per il vecchio cane, insieme alle varie attività compiute per tirare avanti durante la clausura, come comprare la spesa, fare un po’ di movimento, cosa mangiare, eccetera. Così facendo, Fang Fang assolve con il suo diario a diverse funzioni. In primo luogo, riporta nell’orizzonte della coscienza collettiva, restituendo loro dignità, i molteplici drammi di tutte le persone comuni che hanno sofferto per il flagello che si è abbattuto su Wuhan, e che pure sono state le prime a essere dimenticate dalla propaganda nazionale, tutta tesa a costruire il dolore e il sacrificio come atti di eroismo e altruista abnegazione nella grande epopea del patriottismo nazionale. Non per niente, fra le varie proposte di commemorazione avanzate da Fang Fang, c’è quella di istituire una sorta di “muro del pianto”, attivando un sito internet attraverso cui consentire ai familiari delle vittime di “sfogarsi” ricordando i loro cari. Quindi, il diario cementa un senso di comunanza collettiva non solo suscitando la compassione dei connazionali nei confronti degli sventurati di Wuhan, ma anche registrando con minuzia, partendo dalla sua personale routine, le piccole privazioni, l’altalena delle emozioni, i problemi di ogni giorno dei tanti che come lei sono confinati fra le mura della propria casa; il diario, in questo modo, viene a esercitare una funzione che potremmo dire terapeutica, dato che lenendo i malesseri e placando le angosce aiuta infine ad affrontare passo passo, con sofferta consapevolezza, le restrizioni imposte dalle nuove circostanze. Con le sue pagine di vita quotidiana, in breve, Fang Fang fa davvero sentire a chi la legge di “essere tutti sulla stessa barca”, dando quindi senso e sostanza allo slogan usato dal governo per animare il sentimento di solidarietà nazionale. Ma oltre a dare un sostegno emotivo ai suoi lettori, Fang Fang cerca anche di fornire un utile servizio pubblico, incaricandosi di sfruttare le sue conoscenze fra i medici, i professori e gli intellettuali di Wuhan, insieme al prestigio e alla fiducia di cui gode fra i lettori, per offrire informazioni affidabili a cui la gente possa credere e con le quali si possa orientare. In questo senso possiamo dire che Fang Fang viene a fungere da “cinghia di trasmissione” fra governanti e popolazione, primo perché, con il suo sforzo di divulgazione, contribuisce a “popolarizzare” le direttive del Partito diffondendole dall’alto in basso così da istruire i cittadini ad affrontare l’epidemia con un atteggiamento “responsabile” e “scientifico”. Ma anche perché, in secondo luogo, Fang Fang si impegna a fondo per fare arrivare in alto la voce del popolo, comunicandone i disagi e ricordandone i bisogni, denunciando le ingiustizie e sferzando le arroganze del potere, mettendo a nudo le tare del “carattere nazionale” e facendo proposte per riformarlo: ciò che Fang Fang esercita, in parole povere, è un ruolo di supervisione democratica. Tutte funzioni, a ben pensarci, che costituiscono il fardello delle responsabilità tipiche dell’intellettuale cinese moderno, ovvero di colui o colei che, in virtù delle sue superiori conoscenze ma soprattutto del suo “senso di premura” (youhuan yishi 忧患意识), ha l’onere e l’onore di fungere da guida e portavoce del popolo nel nome del progresso nazionale. Oppure, se vogliamo essere pignoli, potremmo dire che prestando questo tipo di servizio Fang Fang viene a svolgere proprio quel vecchio compito che è stato il Partito stesso, almeno sulla carta, ad assegnare agli scrittori molto tempo fa: quello di servire il popolo. È proprio perché Fang Fang ha interpretato questo servizio con coerenza e dedizione che il suo diario ha guadagnato un seguito enorme di lettori, venendo letto ogni giorno da milioni di persone.
Ma si sa che il Partito ha sempre avuto idee ben diverse sul modo in cui gli scrittori cinesi dovrebbero servire il popolo, e che ai tempi della leadership di Xi Jinping, in particolare, a essere enfatizzato per i lavoratori culturali è piuttosto il richiamo a mettersi al servizio del Partito sottomettendosi agli obiettivi della sua propaganda. È per questo che le pagine del diario di Fang Fang, pubblicate inizialmente come post nel suo blog di Weibo, che già in passato aveva avuto qualche piccolo problema di censura, sono entrate molto presto nel mirino dei “controllori della rete” e, cancellate una dopo l’altra dalla sua pagina personale, sono potute rimanere in vita solo grazie alla pronta ripubblicazione da parte di altri siti e ai copia-incolla dei lettori che li hanno disseminati online prima che la polizia di internet li facesse interamente scomparire. Il Partito naturalmente non ha fatto niente per condannare questi pezzi o per richiamare ufficialmente all’ordine Fang Fang: troppa la popolarità del diario fra i lettori, e troppo palpabili i mugugni della classe media contro le inadempienze del governo, per togliere semplicemente di mezzo Fang Fang come è stato fatto invece con altri intellettuali e alcuni blogger. Ma a un certo punto, però, Fang Fang è diventata il bersaglio di numerosissimi e ferocissimi attacchi personali, che, per quanto all’apparenza scollegati dal Partito, pure sono stati condotti nel nome dei principi proclamati da quest’ultimo, riverberandone i dettami ideologici e gli atteggiamenti psicologici; per questo, dato che le forme discorsive di tali attacchi ci dicono molto su quali visioni della letteratura vengano imposte oggi sulla pratica degli scrittori e su come, in concreto, la censura eserciti effettivamente il suo controllo sul discorso pubblico degli stessi (e non solo), vale la pena di soffermarsi velocemente su di essi per provare a vedere cosa dicono. Non è un caso, innanzitutto, che gli attacchi, pur iniziati già a febbraio, si siano intensificati solo nel mese di marzo, quando la situazione dell’epidemia aveva cominciato sensibilmente a migliorare e il Partito, dopo avere concesso nelle primissime settimane della crisi un po’ di spazio alle esternazioni provenienti dal basso e perfino a qualche discreta contestazione, aveva infine soppresso tutte le voci alternative sommergendole con una trionfalistica campagna di celebrazione del Partito e del suo grande leader culminata nella grottesca pretesa di “educare alla gratitudine” i cittadini di Wuhan. Indignata di fronte a questo sfacciato rovesciamento dei fatti di Wuhan, il 7 marzo Fang Fang aveva pubblicato quelle che sarebbero state forse le parole più ardite di tutto il diario, dato che queste contestavano i comportamenti del Partito nel complesso, e non solo nelle sue più criticabili diramazioni locali. Quel giorno, infatti, l’autrice aveva scritto che la pareva “strano” che i leader di Wuhan pretendessero che il popolo ringraziasse lo Stato e il Partito, dato che semmai era il governo ad avere il compito di servire il popolo e non viceversa, ed era perciò il governo, al massimo, a dover ringraziare la popolazione cinese per lo sforzo compiuto da tutti, ognuno facendo la sua parte, per combattere l’epidemia. Intanto, visto che anche a Wuhan il contagio era stato ormai imbrigliato, ed era quindi meno urgente portare all’attenzione del pubblico le sventure che si erano abbattute sui suoi singoli cittadini nel caos dei primi tempi, in quegli stessi giorni l’autrice aveva anche cominciato a invocare con enfasi crescente la necessità di indagare e perseguire, una volta terminata l’emergenza, i responsabili della crisi, al fine di rendere giustizia agli abitanti di Wuhan. Un pesante attacco allora era arrivato subito dopo, da parte di un “dottore di ricerca” dell’Università di Pechino, che già l’aveva attaccata tre anni prima accusandola di avere falsificato, con la scrittura del suo romanzo Ruanmai 软埋 (Sepoltura morbida), la storia ufficiale della Repubblica Popolare,[1]e che ora, dopo avere già chiesto di incriminare Fang Fang con l’accusa di “sovversione dei poteri dello stato”, nel suo nuovo attacco bollava l’autrice come esponente di una presunta “avanguardia” di nemici impegnati a portare avanti in Cina una “rivoluzione colorata”, la cui missione personale era “diffondere il virus del pensiero, sabotare la lotta del popolo contro il virus, e seppellire ‘morbidamente’ nove milioni di wuhanesi”. Se da quel momento gli attacchi avrebbero cominciato a moltiplicarsi provenendo da più fronti, anche ufficiali (l’11 marzo, per esempio, il sito Hubei Oggi, gestito dall’Associazione dei Lavoratori della Stampa dello Hubei, pubblica contro Fang Fang oltre 200 messaggi di invettive personali), è una lettera scritta a Fang Fang da un presunto “studente delle superiori”, pubblicata in rete il 18 marzo, a costituire probabilmente l’attacco più rappresentativo, vuoi per la vasta attenzione che la lettera ha suscitato fra i lettori di internet, vuoi perché essa incorpora e articola in modo molto significativo i precetti ideologici e gli schemi di ragionamento imposti dal Partito nell’epoca di Xi Jinping, mostrandone in modo evidente i richiami alle teorie e alle pratiche della letteratura rivoluzionaria sviluppatesi in Cina dalla metà degli anni Venti e cristallizatesi in seguito nei dogmi maoisti dei discorsi di Yan’an. Nessuno fra i lettori, naturalmente, ha creduto veramente che questa lettera fosse stata davvero partorita da uno studente; troppo scaltrito, da una parte, lo stile propagandistico dell’autore, e troppo radicata nella storia del Partito, dall’altra, la prassi di inventare dei personaggi fittizi, molto spesso proprio dei giovani, al fine di propagare in modo obliquo i valori ortodossi del Partito facendoli apparire come genuine espressioni di un sentire popolare (gli esempi di Lei Feng e di Pan Xiao in questo senso sono solo i più famosi). La scelta di scrivere utilizzando l’identità di uno studente delle superiori, in realtà, è un ingegnoso stratagemma che serve non solo a camuffare l’autore dell’attacco, ma vale ancor più a stabilire un punto di vista “ingenuo” da cui attaccare in modo radicale, ma senza assumersene le responsabilità, l’autrice del diario. Il mittente infatti finge di essere un adolescente di 16 anni in cerca di risposte ai suoi dubbi, che si rivolge a Fang Fang in quanto scrittrice, e quindi secondo la locuzione ufficiale “ingegnere dell’anima”, interrogandola retoricamente su quale dovrebbe essere l’atteggiamento di uno scrittore di fronte alla “guerra del popolo contro il virus”. Nel porre le sue domande, però, l’autore assume esplicitamente il punto di vista ufficiale del sistema educativo – citando come visioni corrette quelle dei suoi professori – e usa questo punto di vista normativo per demolire le ragioni di Fang Fang denigrandola per avere dimenticato persino i principi più elementari del buon senso. Dopo avere aperto la lettera insinuando che Fang Fang abbia voluto approfittare della tragedia scrivendo il diario per trarne un proprio vantaggio personale (una strategia tipica dei detrattori del diario, che spesso accusano Fang Fang di essersi arricchita o di volersi arricchire grazie alla letteratura), lo studente comincia il suo attacco teorico dicendo innanzitutto che non sapendo bene cosa sia la letteratura, dato che studia materie scientifiche, ha cercato sul motore di ricerca Baidu che cosa voglia dire essere uno scrittore, trovando due definizioni, “una che diceva che lo scrittore è una persona con un senso di missione, che usa le sue opere eccellenti per ispirare e incitare le persone, l’altra che diceva che lo scrittore è colui che magnifica i leitmotiv della propria epoca e diffonde energia positiva”. Da subito, pertanto, l’autore si allinea con gli schemi ufficiali della propaganda, che agli scrittori chiedono appunto di diffondere le gloriose narrazioni storiche sanzionate dal Partito (“magnificare i leitmotiv”) e di scrivere solo opere portatrici di messaggi esemplari, in grado di ispirare e motivare la popolazione (“diffondere energia positiva”). Il diario di Fang Fang, prevedibilmente, secondo lo studente farebbe l’esatto contrario. Infatti, come quest’ultimo suggerisce più e più volte, Fang Fang indulge con il suo diario nella mera descrizione di una Wuhan “malata”, di cui vede soltanto le difficoltà e gli imbarazzi, e non riesce invece a scorgere le migliaia di “guerrieri” che si sono precipitate in città per salvarla; così facendo, non ha saputo infondere agli abitanti di Wuhan e dello Hubei coraggio e fiducia come invece dovrebbe fare uno scrittore, ma li ha fatti sprofondare, viceversa, nella disperazione e nello scoramento. Certo l’autore ammette che Fang Fang ha scritto probabilmente cose vere (pur dando a intendere che potrebbe comunque non averlo fatto), ricordando che per questo motivo è stata apprezzata da molti lettori, che l’hanno definita come una “odierna Lu Xun” per il suo parlare franco. Ma l’epoca di Lu Xun, obietta utilizzando immagini e ragionamenti che vanno molto indietro nel tempo (come non ricordare, ancor prima dei discorsi di Yan’an, il saggio di Qian Xingcun del 1928 “L’epoca di A Q è finita”), era un’epoca dominata dall’“oscurità”, in cui “la resistenza e la lotta” contro l’oppressione e la schiavitù erano il “mainstream” e costituivano dunque la missione storica degli scrittori; quella di oggi, invece, è “un’epoca di luce”, in cui uno scrittore, al contrario, “dovrebbe usare le sue energie principalmente per spronare gli animi della nazione” e non per “focalizzarsi ciecamente sulle mancanze, denunciando e interrogando continuamente”. Per contro, l’autore concede pure che ogni membro della società, e non solo uno scrittore, ha il diritto e il dovere di vigilare sulla società; tuttavia, “se uno riesce a vedere solo le mancanze del Partito e dello Stato, allora le sue attenzioni finiscono per deviare dall’intento di far del bene al paese”. Inoltre, pur prendendo atto che quanto scrive Fang Fang sia vero, ricorda che la verità può essere espressa solo se in modo appropriato alle circostanze. Come gli ha insegnato la madre, infatti, “le brutture di casa non dovrebbero essere spiattellate all’esterno”, mentre Fang Fang, al contrario, ha “sbattuto queste vergogne sulla strada” “sbandierando davanti al mondo le verità di Wuhan e dicendo guardate: questa è Wuhan nella malattia!” Così, l’argomentazione ultima addotta per giustificare la soppressione delle verità sgradite è data dalla necessità di difendersi dallo sguardo dei paesi occidentali, che ci “mortificano ogni giorno” e “ci insultano dandoci dei malati”. Ma l’autore non si limita a insinuare una sottile connivenza fra Fang Fang e i “bruti” del mondo occidentale; nel complesso, tutta la seconda metà della lettera punta a stigmatizzare quest’ultima accusandola di atteggiamenti antisociali se non addirittura traditori. In questo senso, il punto di vista assunto dall’autore, impegnato a presentarsi come un giovane inesperto che interroga rispettosamente gli anziani per chiederne la guida (lo studente si rivolge fanciullescamente a Fang Fang chiamandola “zia”), evocando continuamente gli insegnamenti e le cure ricevute dai genitori, serve in ultima analisi a riaffermare il principio della sottomissione all’autorità del Partito basandola su una logica di rispetto filiale. Lo si intuisce per esempio quando l’autore afferma di avere imparato il significato della parola “gratitudine”, raccontando a Fang Fang di avere visto un video con la storia di un ragazzino ingrato che pur avendo avuto tutto dai genitori se la prendeva sempre rabbiosamente con loro, per diventare finalmente un mendicante dopo essersene andato di casa: “Zia Fang Fang, ti devo confessare che vedendo questo video sono rimasto molto scosso. I miei genitori mi trattano bene ogni giorno, ma io non me rendo affatto conto e invece sproloquio contro di loro lamentandomi di tutto: davvero valgo meno di una bestia! Tu cosa dici: devo ricordarmi, o no, dei pasti e dei vestiti che mi hanno dato i genitori?” Quindi, allude più esplicitamente all’irriconoscenza e alla mancanza di responsabilità verso il paese di Fang Fang, che pur avendo ben sessantacinque anni si è dimenticata di essere “nata nella nuova Cina, di essere cresciuta sotto la bandiera rossa, di nutrirsi con il grano di Wuhan, e dissetarsi con l’acqua del fiume Yangzi”. Per finire, Fang Fang è accusata di avere dimenticato il “suo cuore originario”, ovvero di avere abbandonato gli ideali genuini portati avanti dal Partito che i servitori della patria, nell’era di Xi Jinping, sono chiamati a far rivivere prestando loro assoluta fedeltà.
A queste accuse avrebbero infine ribattuto, oltre alla stessa Fang Fang, anche moltissimi lettori, molti dei quali fingendo a loro volta di essere dei parenti o dei compagni di classe dello “studente” per meglio confutarlo alla luce della sua stessa logica. Intanto, però, contro Fang Fang si sarebbe scatenata un’enorme quantità di nuovi attacchi, dei quali vale la pena citare in breve solo quelli menzionati dall’autrice nel suo diario. Il primo è un articolo di un certo Qi Jianhua pubblicato sul portale di discussione politica Chawang,[2]che scredita Fang Fang accusandola di essere una “vecchia” che sparge dicerie e pettegolezzi, il cui scopo è descrivere Wuhan come se fosse un “inferno sulla terra” attribuendo le colpe di tutto al governo. Segue l’attacco di Zhang Yiwu, noto professore di letteratura dell’Università di Pechino che rovescia la realtà dei fatti accusando Fang Fang di diffondere falsità per eccitare gli umori dei suoi “fans”, diffamando tutti coloro che dissentono dal suo modo di vedere. Infine l’autrice comunica di essere stata presa di mira dal gruppo Diba, il noto forum online di troll nazionalisti famosi per le loro “spedizioni” contro i presunti nemici della Cina, i quali hanno redatto nella loro pagine di Weibo una lista di punti con cui attaccare Fang Fang.
Quanto a quest’ultima, di fronte a questo profluvio di intimidazioni non arretra e per giorni si concentra a respingere, nelle ultime pagine del suo diario, le contestazioni ricevute, forte anche del sostegno dei numerosi lettori che la sostengono nella sua battaglia. Dichiarando di “non avere paura”, Fang Fang condanna i suoi accusatori definendoli come “estremisti di sinistra” (jizuofenzi 极左分子) che vogliono riportare il paese ai tempi della Rivoluzione Culturale, ma suggerisce anche in modo velato che queste espressioni apparentemente spontanee siano state in qualche modo orchestrate e che godano del sostegno implicito di alcune cerchie di funzionari (l’autrice rileva, per esempio, come i post dei suoi accusatori non vengano mai censurati). Definendo quindi tali estremisti come un “virus” che rischia di infettare tutta la società cinese, sottolinea più volte che la loro esistenza è “la rovina del paese” e l’ostacolo più grande che si oppone ai processi di riforma e apertura minacciando il futuro della Cina. Intanto, nell’ultima pagina del suo diario dichiara che continuerà a battersi affinché sia fatta luce e giustizia sulle responsabilità di Wuhan perché “se noi rinunceremo a perseguire i responsabili, se dimenticheremo questi giorni (…) allora, ciò che voglio dire è: wuhanesi, voi non avete subito una disgrazia, ma un’umiliazione”. Tuttavia, pur con la sua determinazione, Fang Fang alla fine sembra in parte arrendersi, dato che, dopo avere inizialmente previsto di scrivere il diario almeno fino a quando la città non fosse stata riaperta, decide di concluderlo in anticipo sui tempi il 24 marzo, sessanta giorni dopo averne scritto la prima pagina. Due settimane dopo, comincerà a circolare la notizia che il diario sarà presto pubblicato in inglese e in tedesco, e qui moltissimi suoi detrattori troveranno la prova finale delle sue motivazioni poco oneste, ovvero che l’ha scritto per soldi o perché in combutta con l’Occidente. Sarà il Global Times, per ultimo, ad avallare queste opinioni, fornendo una dimostrazione, qualora ce ne fosse stato bisogno, delle interconnessioni fra le visioni ufficiali della propaganda e le esternazioni popolari dei denigratori di Fang Fang. Questa, come afferma il giornale nazionalista, con il suo diario “tendenzioso” avrebbe offerto “all’Occidente uno strumento utile per sabotare gli sforzi del popolo cinese nel combattere l’epidemia di COVID-19”, e per questo motivo adesso anche i suoi lettori più affezionati, che già verso la fine di marzo avevano cominciato a dubitare dell’autenticità dei suoi racconti, avrebbero cominciato a voltarle le spalle.
Così per il momento si conclude, diventando un oggetto di strumentalizzazione nella nuova guerra fredda, la parabola del diario di Fang Fang, che raccontando la sua storia non autorizzata di Wuhan ha esacerbato la propaganda del Partito che non tollera, oggi come oggi, che la “storia della Cina” sia raccontata secondo prospettive che mettano in dubbio la propria narrazione trionfalistica. E ha mostrato, così facendo, quali sono i metodi con cui, oggi, chi espone verità sgradite e chiede controlli al potere politico, scegliendo di servire il popolo piuttosto che il Partito, rischia di essere messo sulla gogna ed esposto alle vendette dei nuovi tribunali popolari. Così si spiega un po’ meglio anche perché, come lamentava Yan Lianke, di fronte agli eventi cataclismici che si abbattevano prima sulla Cina e quindi sul resto del mondo, tanti fra gli scrittori cinesi abbiano pensato che forse era meglio starsene in silenzio. Eppure Fang Fang non è mai stata una scrittrice “dissidente”, e anzi per circa dieci anni, dal 2007 fino alle sue dimissioni polemiche del 2018, aveva servito ininterrottamente come presidente dell’Associazione degli Scrittori dello Hubei. Come narratrice, Fang Fang si è sempre distinta per il suo modo di raccontare minutamente la vita dei piccoli personaggi dell’ambiente urbano in cui è sempre vissuta, quello di Wuhan, evitando di toccare direttamente, per lo più, i temi della Grande Storia e della Grande Politica. Questa volta, però, è stata la Grande Storia a fare irruzione di colpo nella sua città e così, visto che come ha scritto l’autrice “un granello della Storia sulla testa di un individuo diventa come una montagna”, questa volta non ha potuto esimersi dall’incrociare i temi a lei familiari con quelli della Grande Politica. Questa però ha reagito censurando i suoi tentativi di far emergere le esperienze della città basate sul “senso comune” (changshi 常识) della gente, politicizzando, di fatto, il diario, che dovendo lottare per recuperare tale senso comune contro le requisizioni della propaganda, è diventato, suo malgrado, un imprevisto strumento di dissidenza. Il diario, o meglio il trattamento che esso ha ricevuto, è diventato così un esempio emblematico di come opera, e fin dove si spinge, il controllo politico sulla letteratura e sulla cultura in genere nella Cina di Xi Jinping. Come ha suggerito la stessa Fang Fang nella penultima pagina del suo diario, i contenuti delle critiche che il diario ha ricevuto sono il segno tangibile della regressione delle libertà degli scrittori nell’era di Xi Jinping:
“Mi viene in mente che molti anni fa, quand’ero all’università, avevamo un’associazione letteraria, in cui spesso ci capitava di discutere di alcune questioni, senza però riuscire mai a metterci d’accordo. Alla fine mi ero un po’ stufata, e di nascosto avevo dato a queste discussioni il nome di “tre vecchi articoli” (nome riferito a tre vecchi discorsi di Mao venerati nella Cina degli anni Sessanta, ndt). Le tre questioni erano queste: bisognava celebrare o denunciare, scrivere commedie o tragedie, parlare della luce o dell’oscurità? In realtà, ciò di cui discutevamo continuamente era se la letteratura dovesse solamente celebrare, se si potessero scrivere solo commedie e parlare degli aspetti luminosi della società e se, al contrario, chi denunciava i problemi della società, chi descriveva le tragedie umane o parlava degli gli aspetti oscuri della società fosse invece uno scrittore reazionario. Questo succedeva fra il 1978 e il 1979 (gli anni all’inizio dell’era riformista in cui si cominciavano a mettere in discussione, nel nome della “liberazione del pensiero”, i dogmi ideologici del maoismo, ndt). Non essendo arrivati ad alcuna conclusione, senza motivi apparenti avevamo smesso di parlarne. Poi il nostro anno organizzò un grande dibattito in cui si discuteva se era vero che la “letteratura è uno strumento della lotta di classe”. Ma anche lì non mi pare che si fosse arrivati da nessuna parte. Poi passò piano piano un po’ di tempo, io mi laureai e cominciai a lavorare diventando una scrittrice professionista, fino a che non venni a scoprire un giorno che su queste questioni non solo noi studenti ma tutto il mondo della letteratura, in Cina, era arrivato a un’intesa: si poteva scrivere di tutto. Ciò che contava era se certe cose le scrivevi bene o oppure no. Per questo nei miei discorsi a volte dico che certe questioni non hanno bisogno di essere discusse, dato che sarà il tempo a fornire una risposta.
Stavolta, però, mi sono accorta di essermi sbagliata. Anche se sono passati ormai quarantadue anni, il tempo stavolta una risposta non l’ha ancora data. La nostra letteratura, a quanto pare, è tornata nuovamente a queste domande. Tutti quelli che mi hanno coperto di improperi, non l’hanno forse fatto solo perché, nel corso di questo disastro, io non ho celebrato, non ho scritto commedie e non ho parlato della luce? A pensarci, questo ciclo di corsi e ricorsi ha qualcosa di arcano.”
Di Marco Fumian per Sinosfere*
**Sinosfere è una rivista che si occupa di cultura cinese, intesa come l’universo molteplice e mutevole delle rappresentazioni che, viaggiando storicamente nel tempo e nello spazio, hanno variamente influenzato i particolari modi di vedere, di parlare e di sentire che informano la vita delle società cinese odierne. Creata da un gruppo di studi di storia e cultura cinese, Sinosfere vuole essere – come meglio si chiarisce in altro luogo – una piattaforma volta a esplorare e una discussione sulle dinamiche socio-culturali cinesi indagando su una logica peculiare che il governano.