Sihanoukville è una nota meta turistica cambogiana: affacciata sul golfo della Thailandia, venne costruita negli anni ’60 per diventare un importante snodo commerciale e turistico. Nel giugno di quest’anno durante i lavori per la costruzione di un edificio sono morte 28 persone. L’evento – secondo quanto riportato dai media internazionali – avrebbe svelato il livello di corruzione e di basse garanzie per i lavoratori in corso da tempo nel paese.
Ma soprattutto ha permesso di tornare su un tema di grande attualità, la presenza della Cina in Cambogia. Il palazzo in costruzione, infatti, è di proprietà cinese. Come riportato da Al Jazeera, «lo sviluppo cinese, incoraggiato dal primo ministro Hun Sen, negli ultimi anni ha trasformato la località balneare un tempo tranquilla di Sihanoukville in un paesaggio urbano composto da edifici semilavorati e gru che incombono sulle strade, caratterizzate da una cacofonia di martellamenti quasi costante». Nel giugno del 2019 il numero di turisti cinesi in Cambogia è aumentato del 37%. Il 90% delle imprese di Sihanoukville sono cinesi.
Negli ultimi due anni la Cambogia ha accettato più di 600 milioni di dollari di prestiti da parte della Cina sotto il «cappello» della Nuova via della Seta. La Cina – come riporta il Financial Times – «ha anche impegnato quasi due miliardi di dollari per costruire strade e ponti in tutta la Cambogia, con ulteriori infrastrutture e accordi commerciali multimilionari in cantiere, e ha dato altri 150 milioni di dollari in aiuti».
Sam Rainsy, leader dell’opposizione cambogiana in esilio, ha dichiarato di temere che «la Cambogia stia diventando di fatto una colonia cinese con l’aumento vertiginoso del numero di cinesi, turisti, investitori, commercianti e coloni di ogni estrazione sociale e la moltiplicazione di tutti i tipi di strutture che servono esclusivamente i bisogni e gli interessi cinesi».
I rapporti tra i due paesi sono strettissimi: di recente Pechino ha venduto a Phnom Penh armi. E proprio nell’incontro per suggellare l’acquisto, secondo gli Usa, i due paesi avrebbero anche raggiunto l’accordo per la costruzione di una base militare cinese in Cambogia.
Il posto prescelto sarebbe la base navale di Ream a Dara Sakor, un’area di investimento da 3,8 miliardi di dollari vicino proprio a Sihanoukville. La zona che comprende il 20% della costa della Cambogia, sarebbe totalmente finanziata e costruita da una società cinese, Union Development Group (Udg )che ne ha l’affitto per 99 anni.
Secondo il Wall Street Journal – che per primo ha lanciato l’«allarme» – i sospetti sarebbero nati da due indizi: in primo luogo quando ci si è accorti che nel piano di sviluppo del porto era prevista anche una pista in grado di far atterrare e decollare aerei militari.
In secondo luogo perché il mese scorso il governo di Hun Sen ha negato agli Stati uniti, senza spiegazione, la richiesta di «aiuto» di Washington per riparare una struttura navale cambogiana finanziata dagli Stati uniti proprio a Ream.
Secondo i media americani, sarebbero stati gli stessi residenti dell’area a riferire che in quella zona c’era stata una struttura militare durante l’occupazione giapponese della Cambogia, dominata dai francesi, nella seconda guerra mondiale. «Stanno costruendo un porto militare», avrebbero detto dei residenti dell’area. Come sottolineato dalla Nikkei Asian Review, l’attivismo militare cinese risponde a esigenze di natura mondiale, che hanno a che vedere con la sfida infinita tra Cina e Usa.
Washington rimane «di gran lunga la principale potenza militare del mondo – spendendo 648,8 miliardi di dollari nel 2018 per la difesa, rispetto ai 250 miliardi spesi dai cinesi, secondo l’istituto di ricerca Sipri di Stoccolma».
Ma la Cina sta lavorando «per trasformare l’Esercito popolare di liberazione in una moderna potenza militare». Mentre gli Usa hanno numerose basi militari in Asia, la Cina ha realizzato la sua prima presenza di questo genere a Gibuti. Una eventuale base cinese in Asia sarebbe di sicuro una novità importante.
Già nel maggio del 2019 un report del Pentagono poneva la questione (ma puntando più al Pakistan come luogo prescelto da Pechino): «L’avanzamento cinese della One Belt One Road probabilmente guiderà l’esercito oltremare basandosi sulla necessità di fornire sicurezza ai progetti Obor. La Cina cercherà di stabilire basi militari aggiuntive in paesi con cui intrattiene relazioni amichevoli di lunga data e interessi strategici simili».
I segnali che Pechino stia sondando il terreno, sempre non l’abbia già fatto e sia vero lo scoop del Wall Street Journal, sarebbero confermati da alcuni numeri e da alcune esercitazioni che di recente sono state effettuate in Cambogia.
Senza dimenticare che Phnom Penh e Washington da tempo sono ai ferri corti. «In cambio del sostegno di lunga data della Cina, la Cambogia – ha scritto il South China Morning Post – si è dimostrata un alleato affidabile tra il blocco Asean riguardo alle controversie sulle sue attività nel Mar cinese meridionale» e di recente «la Cambogia ha accusato gli Stati uniti di aver cospirato con un leader dell’opposizione per rovesciare il governo e sospeso gli scambi militari con il paese».
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.