Il sistema sanitario cinese è stato sottoposto, come accaduto a tutto il mondo, a un forte stress durante il periodo pandemico. La Cina, però, è riuscita a superare la prima ondata in modo positivo, consentendo una ripartenza economica piuttosto rapida. Per capire alcune caratteristiche del sistema sanitario cinese alle prese con il Covid, abbiamo intervistato Marco R. Di Tommaso, Francesca Spigarelli, Elisa Barbieri e Lauretta Rubini autori di The Globalization of China’s Health Industry. Industrial Policies, International Networks and Company Choices, pubblicato da Palgrave (2020).
In che modo l’emergenza Covid ha sottolineato problematiche nel sistema sanitario cinese? Quali sono le principali sfide che il sistema sanitario cinese deve ancora affrontare?
(Francesca Spigarelli) L’aspetto più rilevante riguarda a nostro avviso gli squilibri interni. Le disparità e le differenze all’interno della Cina e all’interno delle classi sociali – in termini di accesso all’assistenza sanitaria – rimangono una delle “ombre” e delle gravi debolezze per il futuro di una Cina prospera e armoniosa.
Data la natura stessa della salute, che comporta esternalità e ha caratteristiche di bene pubblico, un fallimento nell’includere alcuni segmenti della società potrebbe compromettere alcuni dei risultati raggiunti dal Governo negli ultimi anni. In secondo luogo, la mancata attuazione della riforma sanitaria in un modo ampio e inclusivo, potrebbe mettere a rischio allo stesso tempo sia la stabilità sociale sia la legittimità del partito.
La Cina ha raggiunto una distribuzione ampia ma ancora inadeguata della copertura sanitaria, grazie a riforme mirate intraprese da decenni e rafforzate con successivi piani di intervento. Sulla base dei dati disponibili, nel 2003, il 45% della popolazione urbana e il 79% della popolazione rurale non erano coperti da regimi di assicurazione sanitaria sociale.
Tra le varie riforme intraprese, citiamo le più recenti, da cui emerge la capacità cinese di programmare nel lungo termine e di affrontare le sfide a 360°. La riforma Healthy China 2020 (varata nel 2009) è stata implementata per raggiungere una copertura sanitaria di base per tutti i residenti che vivono nelle aree urbane e rurali (entro il 2020), oltre che a migliorare il sistema di assistenza sanitaria e il sistema di sicurezza sociale e a riformare il sistema dei farmaci essenziali.
Nel 2016 è stato varato il piano Healthy China 2030 fondato su 4 principi fondamentali: (1) la salute dovrebbe essere considerata una priorità; (2) il settore sanitario deve aumentare la sua capacità innovativa; (3) lo sviluppo scientifico dovrebbe essere strategico per migliorare la prevenzione, il controllo e la cura; (4) la fornitura di servizi sanitari dovrebbe essere uguale nelle aree rurali e urbane.
Quattro gli obiettivi strategici perseguiti: (1) miglioramento costante dello standard di salute della popolazione; (2) controllo efficace sui principali fattori di rischio per la salute; (3) maggiore competitività dell’industria sanitaria; e (4) miglioramenti nelle istituzionali coinvolte nella promozione della salute
Queste riforme, ancora in atto, hanno portato l’assistenza sanitaria al 95% dei cinesi – la maggior parte dei quali non ha mai avuto accesso ad una copertura in passato – ma questo ha causato enormi tensioni al sistema di erogazione dei servizi e costi enormi per la Cina. In questo contesto, il governo sta ancora cercando di trovare un buon equilibrio tra accessibilità, costi e qualità dell’assistenza sanitaria.
C’è ancora un divario significativo tra le risorse sanitarie disponibili e le esigenze della popolazione. In generale, le sfide più rilevanti che la Cina deve ancora affrontare sono legate a:
a) accessibilità disomogenea dei servizi, a causa delle disparità regionali nella crescita economica, nella qualità dei servizi erogati e nei forti squilibri sociali presenti nelle provincie;
(b) sostenibilità della crescita economica e del modello di sviluppo, considerando da un lato gli aspetti legati all’inquinamento e dall’altro la tutela dei diritti individuali inclusa la privacy nell’uso dei dati personali;
(c) le dinamiche dell’industria mondiale, inclusa la corsa alla supremazia dell’innovazione e la guerra commerciale con gli Stati Uniti.
Come il sistema ha retto, o meno, alla prima emergenza: in che modo ha contribuito la tecnologia?
(Francesca Spigarelli) Guardando alla reazione del sistema economico e ai dati sui contagi, si può affermare che la Cina dopo essere stato il primo paese interessato dalla pandemia è anche il primo ad esserne uscito.
La seconda ondata di pandemia che sta investendo i paesi occidentali sembra essere totalmente sotto controllo e senza impatti sulla popolazione cinese. I casi di nuovi contagi sono molto limitati e la popolazione ha ripreso la sua vita in condizioni praticamente normali, se non per i contatti da e verso l’estero.
L’economia cinese ha già dato segnali di ripresa nella seconda metà del 2020, mentre le ultime previsioni economiche della Banca Mondiale e del FMI indicano tassi di crescita del attorno all’8% per il 2021, in netto contrasto con le stime delle economie industrializzate. Analoghi andamenti positivi sono previsti per il periodo 2022-2025.
Un ruolo fondamentale al contrasto della pandemia è stato svolto dalla tecnologia: grazie all’utilizzo di intelligenza artificiale, data analytics e machine learning, la Cina è riuscita a implementare in modo efficace il “metodo 3T” (test, track, treat). Le misure adottate per controllare il virus sembrano aver dato i loro frutti, spostando il contenimento verso la ripresa e garantendo in definitiva la riapertura del Paese e del suo sistema economico.
COVID-19 è stato un catalizzatore per la digitalizzazione del sistema sanitario in Cina. Il governo ha promosso un rafforzamento delle infrastrutture sanitarie digitali critiche, come il quadro di condivisione dei dati sanitari a livello nazionale, l’offerta di servizi digitali e la promozione della salute pubblica.
La pandemia ha incoraggiato l’adozione di ospedali basati sul web. Gli “Internet hospital” offrono consulenza on line, prescrizioni on line e servizi di gestione sanitaria basati sul monitoraggio remoto. L’uso di AI, 5G e big data hanno cambiato il ritmo della diagnosi e del trattamento in Cina.
In questo contesto, rimangono ovviamente le notevoli criticità che il sistema deve affrontare, come già indicato.
La qualità della Ricerca e sviluppo cinese in ambito sanitario è cresciuta notevolmente negli ultimi anni: quale ruolo hanno avute le collaborazioni di ricerca internazionale?
(Elisa Barbieri) Il sistema scientifico cinese è rimasto isolato molto a lungo. Per molti anni, fino all’apertura avvenuta nel 1978, gli scienziati autorizzati ad avere contatti con colleghi stranieri erano pochi e strettamente controllati. Nel tempo, tuttavia, il governo ha acquisito una crescente consapevolezza circa l’importanza di attingere da un bacino di conoscenza più vasto e complesso rispetto a quello disponibile in terra cinese. A partire dal 2000 sono stati lanciate diverse iniziative esplicitamente rivolte a supportare l’internazionalizzazione della conoscenza, come il “Programma per progetti chiave di cooperazione scientifico-tecnologica internazionale” del 2001.
Anche il National Natural Science Foundation of China, una delle principali istituzioni di ricerca pubbliche cinesi, ha aperto alle collaborazioni internazionali firmando nel 2017 oltre 90 accordi cooperativi con partner localizzati in 49 diversi paesi. Ma la Cina ha utilizzato in maniera massiva anche altri due “strumenti” che hanno assunto un ruolo molto importante nel processo di assorbimento della conoscenza a livello mondiale. In primo luogo il crescente numero di ragazzi cinesi impegnati in corsi di studio universitario all’estero (decuplicato tra il 1999 e il 2017, arrivando a sfiorare il milione di unità), che sono poi stati incentivati a rientrare in patria per utilizzare in Cina le conoscenze acquisite altrove, trasformando quella che poteva essere una potenziale fuga di cervelli in un massivo rientro di risorse umane qualificate che hanno portato con sé anche un importante patrimonio di relazioni accademiche internazionali. In secondo luogo, specifiche politiche volte a favorire il rientro in madrepatria di scienziati cinesi impiegati all’estero, grazie ad incentivi quali posizioni di prestigio nelle principali università nazionali, salari elevati, bonus una tantum, accesso ad attrezzatura di ricerca all’avanguardia, ecc.
In che modo lo scontro con gli Usa mette a repentaglio progetti di ricerca medici in cooperazione con scienziati Usa?
(Lauretta Rubini) Il raffreddamento delle relazioni con gli Stati Uniti seguito alle misure anti-Cina intraprese da Trump ha senza dubbio avuto notevoli ripercussioni anche in ambito scientifico. Sono stati riportati dalla stampa numerosi casi di visti di ingresso negli Stati Uniti rifiutati dalle ambasciate a scienziati cinesi che intendevano prendere parte a congressi internazionali, di annullamento di richieste di iscrizioni alle università americane da parte di studenti cinesi, o ancora di esclusione di ricercatori cinesi da progetti di cooperazione internazionale con l’accusa di comportamento sospetto o di violazione delle regole.
Trump ha sospeso da tempo gli incontri tra i membri del Segretariato per la Salute e i Servizi Umani americano e i direttori dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie che si tenevano regolarmente sin dai tempi di Bush Jr., principalmente focalizzati sulle malattie infettive. Il gruppo di lavoro congiunto è stato ridotto ad uno sparuto gruppo di esperti, di fatto determinando un drastico calo della sua operatività, nell’errata convinzione che tale collaborazione portasse vantaggi solamente alla Cina e trascurando il fatto che la potenza scientifica cinese è in costante crescita e in grado di fornire un apporto prezioso in termini di conoscenza: non scordiamo che gli scienziati cinesi sono stati in grado di pubblicare l’intera sequenza genetica del COVID-19 a pochi giorni dalla sua identificazione nei primi pazienti.
Mai come in questo periodo occorre invece rendersi conto di come sia necessario ed inevitabile che scienziati di tutto il mondo uniscano i loro sforzi se si vogliono comprendere velocemente i meccanismi di nascita e di diffusione delle malattie virali e identificare metodi per contenerle e debellarle. Nella condivisione della conoscenza si trova la chiave per migliorare il livello di salute dei cittadini di tutto il mondo.
Quale ruolo hanno avuto le politiche industriali nel progresso fatto dalla Cina in ambito sanitario?
(Lauretta Rubini) Durante tutto il processo di sviluppo economico e crescita della Cina, le politiche pubbliche, e in particolare le politiche industriali, hanno svolto un ruolo cruciale. L’intero processo di transizione iniziato nel 1978 può essere compreso con riferimento alle politiche di sviluppo industriale mirate a guidare e favorire gradualmente l’adeguamento strutturale dell’economia cinese. Inizialmente tale aggiustamento strutturale era legato al passaggio da un’economia prevalentemente agricola a una industrializzata.
Più di recente, l’adeguamento strutturale può essere inteso in termini di passaggio da produzioni a basso valore aggiunto a industrie a più alto valore aggiunto. Osservando l’evoluzione dei piani quinquennali è chiaro che i settori legati alla salute sono diventati sempre più strategici nella promozione di questo ulteriore aggiustamento. Fare della Cina un leader mondiale nella scienza e nella tecnologia richiede investimenti in settori specifici ad alta intensità di conoscenza e di R & S.
Allo stesso tempo, l’invecchiamento della popolazione, ad esempio, insieme all’aumento del reddito disponibile, genera una spinta a lungo termine nella domanda di beni e servizi legati alla salute in Cina, così come in altre economie emergenti. Inoltre, i cambiamenti tecnologici a lungo termine – legati ad esempio alla disponibilità di big data e alla quarta rivoluzione industriale – pongono alcuni settori manifatturieri al centro dell’industria internazionale contemporanea per la loro intensità di conoscenza e per la loro capacità di promuovere reti di ricerca globali.
Il settore farmaceutico è sicuramente uno di questi casi. Le strategie di produzione in questo settore stanno cambiando rapidamente sia nei paesi emergenti che nelle economie occidentali: è probabile che la riconfigurazione delle catene del valore globali in questo settore ponga le nuove economie al centro della produzione globale di farmaci e componenti di farmaci. Il ruolo delle politiche pubbliche in questo ambito è duplice.
Da un lato si evidenziano le principali riforme che la Cina ha intrapreso rispetto alla fornitura di assistenza sanitaria e al finanziamento dei servizi sanitari. D’altra parte, le politiche per l’industria della salute sono rintracciabili nelle linee guida strategiche e negli interventi specifici rivolti ai settori manifatturieri legati alla salute. Settori come i prodotti farmaceutici, le apparecchiature e macchinari medici, la biotecnologia, la medicina tradizionale cinese (MTC) e così via sono stati definiti negli anni come “strategici” in diversi documenti programmatici del governo cinese.
Assieme all’identificazione di questi settori come “strategici”, sono stati promossi incentivi specifici, a livello nazionale e locale, per sostenerli. Questi interventi possono cambiare le dinamiche stesse di crescita ed evoluzione dei settori, ad esempio incoraggiando fusioni e acquisizioni fra imprese – come accade da un po’ di anni nel settore farmaceutico – in vista della creazione di imprese in grado di competere sui mercati internazionali.
Guerra commerciale con gli USA e industria della salute: quali implicazioni per la Cina?
(Francesca Spigarelli) Il ruolo della Cina nel mercato sanitario globale e la competitività delle aziende cinesi sono ampiamente condizionate dalla escalation della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Il commercio e gli investimenti nel settore sanitario sono ancora al centro della contesa, nonostante il fatto che Stati Uniti e Cina stiano attualmente svolgendo ruoli diversi e complementari nella catena del valore globale della sanità.
In effetti, la guerra commerciale è radicata nella lotta per la supremazia sull’innovazione, che include anche il campo medico. Mentre gli Stati Uniti sono in testa alla classifica mondiale in termini di spesa globale per ricerca e sviluppo, la Cina sta facendo enormi progressi nell’innovazione medica e in particolare nel settore biofarmaceutico.
Le implicazioni della guerra commerciale sono enormi per le aziende di tutto il mondo, considerando che molte imprese hanno catene di approvvigionamento fortemente intersecate per materie prime, componenti e prodotti finiti con Stati Uniti e Cina. Le interdipendenze sono molto elevate sia nel settore dei farmaci, sia nel segmento delle apparecchiature mediche. La Cina sta reagendo alle tariffe americane facendo leva sul suo ruolo strategico di fornitore di farmaci essenziali e materie prime, inclusi antibiotici, antidepressivi, pillole anticoncezionali e farmaci chemioterapici, nonché di produttore di apparecchiature mediche e reagenti diagnostici utilizzati negli esami a raggi X , guanti chirurgici e lampade utilizzati in ambito medico.
Anche i flussi di investimenti diretti tra Stati Uniti e Cina fanno parte di questa “contesa”. Gli Stati Uniti hanno iniziato a porre il veto ad alcuni investimenti cinesi, come quelli nel settore delle biotecnologie, a causa di problemi di sicurezza nazionale. Al contrario, molti produttori americani di dispositivi medici situati in Cina si stanno trasferendo in altre aree a basso costo del lavoro come Vietnam, Messico o Malesia.
La guerra commerciale USA-Cina si sta espandendo anche alla produzione e diffusione della conoscenza. Il Congresso degli Stati Uniti sta lavorando alla possibilità di limitare l’accesso alle università statunitensi agli studenti cinesi che desiderano studiare biotecnologia e cure mediche avanzate.
Come la Cina ha bilanciato crescita economica, consenso politico e miglioramento delle condizioni di salute della popolazione negli ultimi decenni?
Marco (R. Di Tommaso) Anche nel modello cinese, teorizzato a fine degli anni Settanta e poi decade dopo decade diventato realtà, la crescita economica è stata considerata a lungo l’obiettivo prioritario da perseguire. Una crescita che all’inizio doveva essere spinta da una industrializzazione accelerata, protetta e trainata dalle esportazioni che richiedeva innanzitutto un radicale cambiamento della struttura economica del paese. La strada era chiara all’inizio degli anni Ottanta: crescere dando centralità allo sviluppo dell’industria manifatturiera. Il resto poteva aspettare. Si sarebbe arrivati poi al raggiungimento di altri obiettivi come la lotta alla povertà, il superamento delle disuguaglianze sociali e territoriali, il rispetto dell’ambiente, la promozione di una miglior qualità della vita.
E così è stato. La crescita industriale ha nei decenni successivi trainato un processo di radicale trasformazione economica guidato dalla mano dello Stato (e dal Partito) in partnership con il capitale estero (soprattutto americano che per decenni ne ha condiviso gli interessi sfruttando le complementarietà e le opportunità uniche di profitto che tale partnership offriva).
A Pechino sono state pianificate le fasi del cambiamento, i settori prioritari sui cui via via investire ed entrare, i mercati a cui rivolgersi e la velocità con cui le diverse aree del paese dovevano gradualmente essere incluse in questo straordinario processo di cambiamento strutturale dell’economia che ha trascinato un parallelo radicale cambiamento della società.
La crescita industriale ha significato una crescita dei redditi che, decade dopo decade, ha coinvolto segmenti crescenti della popolazione e che si è tradotta in aumento della domanda di beni e servizi.
Un incremento in termini di quantità e poi progressivamente un cambiamento della domanda che è diventata via via più sofisticata in termini di qualità ed aspettative. A partire dalle aree costiere metropolitane, già negli anni Novanta, segmenti crescenti di popolazione hanno iniziato a domandare beni e servizi (individuali e collettivi) sempre più complessi.
Dalla possibilità di acquistare grandi quantità di beni di consumo si è passati ad un incremento di reddito ed ad un miglioramento delle condizioni di vita che ha iniziato a tradursi in una nuova domanda di beni e servizi di qualità. Centrali hanno iniziato progressivamente a diventare, in alcune aree della Cina, le domande di accesso all’istruzione, alla mobilità, al tempo libero, alla qualità del cibo e dell’ambiente (acqua, terra, aria) e quindi alla Salute. E allo stesso tempo cruciale è quindi diventata la corrispondente capacità del governo nazionale (e dei governi locali) di offrire soddisfazione a queste crescenti domande che alcune territori e alcuni emergenti segmenti sociali iniziavano sempre più insistentemente ad esprimere.
Ed è proprio sulla continua trasformazione della domanda e offerta di beni, servizi, aspettative e diritti che si è giocato nella Cina contemporanea lo scambio tra consenso e legittimazione politica. Uno scambio complesso e dinamico tra la mutante classe dirigente cinese e le parimenti mutanti classi medie dell’immenso paese. Uno scambio che ha nei decenni funzionato e che ha reso sostenibile quel vorticoso cambiamento strutturale della società cinese che è stato trainato da quattro decadi di continua crescita economica.
E’ in questo quadro che offerta e domanda di accesso alla Salute rappresentano un campo di interazione tra Governo-Partito e classi medie di ovvia centrale rilevanza. E si tratta di un tema da tempo ben chiaro alla leadership del Presidente Xi Jinping: “Una società moderatamente prospera non potrebbe essere raggiunta senza la salute delle persone (…)”, (…) “La Cina sta affrontando problemi nella gestione della salute che si manifestano nei paesi in via di sviluppo così come nei paesi sviluppati, “(…)” Se questi problemi non vengono affrontati in modo efficace, la salute delle persone potrebbe essere seriamente compromessa e lo sviluppo economico e la stabilità sociale saranno anche compromessi “(…)” Dovrebbero essere compiuti sforzi per aumentare il salario e le cure, lo spazio di sviluppo, ambiente e status sociale degli operatori sanitari in modo da renderli più attivi” (Discorso di Xi Jinping al National Meeting on Health, 19 agosto 2016, Pechino)
La sostenibilità del cambiamento economico e sociale, così come la legittimazione e il consenso allo Stato-Partito si confrontano con le capacità di reale accesso ai beni fondamentali per l’individuo e le comunità. E tra questi beni (e servizi) fondamentali è evidente che la salute occupa un posto più che centrale.
L’industria della salute nazionale è filiera strategica non solo in una prospettiva industriale quindi ma sicuramente anche in una prospettiva politica che riconosce la centralità di questo comparto se ci si interroga sulla sostenibilità futura del modello cinese. Il presente in questo campo è fatto di eccellenze ma anche di una forte eterogeneità in merito alle condizioni di accesso alla cura e alla prevenzione. Élite privilegiate si curano in strutture organizzate sul modello americano, il welfare per il resto della popolazione non sempre è all’altezza della domanda delle classi medie metropolitane mentre in aree periferiche e rurali l’offerta di servizi pubblica non copre in maniera adeguata i segmenti più fragili della popolazione.
Una situazione che sostanzia differenze, disuguaglianze e dualismi che minano i complessi equilibri dinamici che hanno caratterizzato la storia della Cina contemporanea e che non possono che spingere il governo cinese a considerare l’offerta di salute una priorità. Una consapevolezza che fa il destino di questo comparto. Un destino fatto di enormi investimenti pubblici e privati in infrastrutture, tecnologia, organizzazione, formazione e ricerca che continuerà a far crescere la capacità di offerta dell’industria della salute cinese.
In questa prospettiva lo shock COVID-19 d’inizio 2020 è stato indubbiamente un colpo durissimo per le istituzioni del capitalismo dalle caratteristiche cinesi in primo luogo perché ha messo in discussione, per alcuni difficilissimi mesi, la capacità dello Stato e del Partito di garantire sicurezza e salute ai milioni di cinesi delle classi medie che hanno offerto per decenni il proprio consenso al processo di continuo cambiamento strutturale della società cinese.
Detto questo, esattamente nella stessa prospettiva, l’apparente successo nella gestione dei successivi sviluppi della pandemia (sia sul fronte sanitario che economico) è fonte di un orgoglio nazionale che cementa il consenso nei confronti di una leadership politica che appare oggi, anche per questo motivo, più forte che mai.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.