Russia, Cina e Asia. Nella crisi ucraina Pechino sostiene una «narrazione» che fa presa in diverse parti del mondo ma che noi fatichiamo a considerare, così concentrati su quanto abbiamo sotto ai nostri occhi. Non a caso la diplomazia cinese si è mossa subito: Sudafrica, Afghanistan, Algeria, India e Nigeria.
L’ordine mondiale liberale è considerato da più analisti come finito con i bombardamenti russi sull’Ucraina. Un ordine «ad esclusione», rivisitato dall’amministrazione Biden attraverso una chiave politica e non più economica.
Se in precedenza l’esclusione (dell’Urss) avveniva sulla base del «libero mercato», oggi con l’ingombrante presenza della Cina, piuttosto a suo agio nella globalizzazione, Washington ha scelto la differenza tra democrazia e autocrazia come chiave di appartenenza o meno all’ordine liberale.
In questo senso vanno letti anche sforzi deputati a sganciare interi settori economici da una interdipendenza che sembrava data: quando Biden parla di «supply chain democratiche» si riferisce per lo più al comparto tecnologico orientato sempre di più a un vero e proprio decoupling.
In questo squarcio di mondo che verrà si comprende la posizione cinese: contro la guerra ma a favore della Russia, perché questa «narrazione» fa presa in diverse parti del mondo che noi fatichiamo a considerare, così concentrati su quanto abbiamo sotto ai nostri occhi.
E IN QUESTO POTENZIALE futuro una posizione importante l’avrà la Russia post guerra, sperando che si arrivi presto a un cessate il fuoco. In particolare gli analisti si stanno concentrando sullo spostamento della Russia verso un asse guidato dalla Cina che sposterebbe Mosca (più o meno vassalla di Pechino, anche se il Pcc non gradirebbe una Russia totalmente in balia della Cina) sempre più verso l’Asia, anziché verso l’Europa.
Su Foreign Policy Parag Khanna ha scritto che «Più di un decennio fa, ho suggerito che la grande dinastia Yuan dell’imperatore Kublai Khan, successore del vasto impero mongolo, sarebbe stata ricostituita (…) Quel futuro sino-siberiano è sempre più probabile adesso». Secondo Parag Khanna la guerra in Ucraina avrebbe spinto la Russia ancora più che in precedenza verso lo status di potenza asiatica: «Per più di un decennio, gli strateghi occidentali hanno sperato di poter progettare diplomaticamente un “Nixon al contrario”: distogliere la Russia dall’orbita della Cina proprio come l’ex presidente degli Stati Uniti Richard Nixon ha diviso la Cina dall’Unione Sovietica mezzo secolo fa.
Mantenere lo status di grande potenza della Russia potrebbe eventualmente richiedere questo stratagemma, ma l’Occidente sembra aver perso la voglia di perseguirlo». Su The Diplomat Xiaochen Su di Study Abroad Research Institute ha scritto che «con l’inasprimento delle sanzioni europee contro la Russia, il futuro economico del Paese, almeno per ora, è dell’Asia. Mentre le aziende europee si ritirano dalla Russia in risposta alla guerra in Ucraina, il paese sta diventando sempre più dipendente dalle aziende asiatiche, in particolare cinesi che hanno deciso di rimanere».
MA NELLO SPECIFICO, da un punto di vista economico come si sta comportando l’Asia con la Russia? Della Cina abbiamo detto: Pechino sembra seguire una duplice risposta alla guerra in Ucraina, assicurando che le sue istituzioni finanziarie aderiscano alle sanzioni internazionali, pur continuando a sostenere l’economia russa.
In questo contesto, permane una notevole incertezza su quanto sia davvero pronta la Cina a offrire un sostegno immediato, ma anche sufficientemente rilevante all’economia russa assediata. Gli altri paesi?
L’INDIA, come ha scritto il Scmp, «ha rifiutato di condannare la Russia, il suo più grande fornitore di armi, e mantiene ancora intatti i legami commerciali. Secondo Bloomberg, Hindustan Petroleum Corp, Mangalore Refinery and Petrochemicals Ltd e Bharat Petroleum Corp sono tra le società energetiche indiane che cercano di acquistare greggio russo.
La società statale Indian Oil Corp ha anche un accordo con la compagnia energetica russa Rosneft Pjsc per la fornitura di ben 2 milioni di tonnellate di greggio quest’anno». Ugualmente sembra muoversi l’Indonesia che ha la presidenza del G20 e ha lasciato intendere che rimarrà neutrale nel conflitto Russia-Ucraina.
DALL’ASIA PERÒ SONO ARRIVATE anche sanzioni: Giappone, Australia, Corea del Sud, Taiwan e anche Singapore si sono attenuti alla condanna internazionale della Russia e ciascuno a proprio modo ha imposto o rispettato delle sanzioni. C’è poi l’Asia centrale, territorio sul quale si è espresso Paul Stronski sul sito di Carnegie, secondo il quale «nessun paese dell’Asia centrale si è schierato con Mosca nelle risoluzioni del 2 o 24 marzo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condannano l’invasione. O hanno votato formalmente per astenersi o semplicemente non hanno votato affatto».
Il Kazakistan si è dichiarato neutrale e ha avvertito i migranti uzbeki in Russia, soggetti ad arruolamento per prestare servizio nell’esercito russo, che queste «prestazioni» potrebbero essere punite con pene fino a cinque anni di carcere, un chiaro avvertimento per gli uzbeki di tenersi alla larga il conflitto. Il Kirghizistan ha evitato di inimicarsi Mosca e ha anzi lasciato intendere che le rivendicazioni russe (ad esempio il Donbass) siano legittime. Tagikistan e Turkmenistan «fatta eccezione per brevi menzioni dei loro cittadini catturati in Ucraina, non ha affrontato pubblicamente la guerra, ma questo non è un segno di sostegno alle politiche russe».
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.