L’Italia resiste agli allarmi degli Usa, non chiude a Huawei, ma prova a dotarsi di strumenti in grado di valutare al meglio eventuali rischi per quanto riguarda la sicurezza.
In questo senso Roma segue altri paesi che, pur partendo da posizioni molto vicine agli Usa, di recente hanno corretto il tiro (non ultime Germania e Gran Bretagna).
Tutto questo ruota intorno alla Huawei, ma sullo sfondo c’è uno scontro geopolitico che vede gli Usa impegnati in attività di pressione sui proprio alleati in funzione anti cinese, visto il recente attivismo internazionale di Pechino.
Ad ora la risposta europea, forse anche condizionata dall’ondivaga politica estera di Trump, non ultima la questione dei foreign fighters siriani, non sembra favorevole a Washington. L’incriminazione americana contro la cinese Huawei sta però portando a un pressing di Washington a tutto campo
E MENTRE DA LONDRA si afferma – con un documento emesso dal National Cyber Security Centre – di essere in grado di arginare eventuali problematiche legate alla sicurezza, sembra che gli Usa si stiano concentrando sul proprio alleato italiano (dopo che Australia e Nuova Zelanda hanno seguito Washington bloccando Huawei). Le accuse americane si basano sul sospetto – ad oggi senza alcuna prova – che Huawei possa utilizzare le proprie infrastrutture di telecomunicazioni per passare a Pechino, cioè al partito comunista, informazioni sensibili su altri paesi, inerenti a questioni di sicurezza nazionale.
L’Italia a trazione M5s, sopratutto per l’attivismo del Mise, sembra essere particolarmente disponibile nei confronti della Cina: è stata attivata una task force, è prevista la visita di Xi Jinping a fine marzo, mentre il premier Conte potrebbe partecipare, come già fece Gentiloni, al secondo summit della nuova via della seta a Pechino in programma ad aprile. Nei giorni di massima pressione su Huawei proprio il Mise aveva smentito procedure contro l’azienda cinese; rimane il fatto che Huawei ha una posizione importante in Italia, soprattutto per quanto riguarda la sperimentazione 5G (a Milano, Prato, Bari e Matera) in collaborazione con operatori del settori.
Per quanto riguarda però le gare del 5G, contrariamente a quanto affermato su alcuni media, è bene sottolineare – come confermano fonti Huawei – che non c’entrano con l’azienda cinese, essendo riservate agli operatori.
Questa vicinanza italiana alla Cina, che potrebbe suggellarsi con la firma di un memorandum sulla via della Seta (l’Italia sarebbe il primo dei paesi del G7 a siglare una tale intesa) preoccupa e non poco gli Usa.
NEI GIORNI SCORSI il vice premier Di Maio ha incontrato l’ambasciatore americano; un summit che doveva essere riservato al Venezuela ma che ha finito per vedere espresse da parte americana le preoccupazioni proprio sul gigante Huawei. Di Maio avrebbe specificato che al Mise è pronta la creazione di un organo che dovrebbe analizzare i rischi connessi al 5G, confermando però che l’Italia non ha nessuna intenzione di bandire dal proprio campo tecnologico-comunicativo la Huawei. A questo proposito, lo scorso 29 gennaio si è svolta alla Camera una seduta riguardo l’indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare attenzione alla transizione verso il 5G e alla gestione dei Big Data.
Elisabetta Ripa, amministratrice delegata di Open Fiber Spa, ha così spiegato l’architettura di cui si discute ormai solo in termini «geopolitici»: «Nella rete di trasporto, dove ci sono le informazioni, cioè dove viaggiano le informazioni e i bitrate importanti per la sicurezza nazionale, noi abbiamo due vendor: il layer del trasporto è affidato a Huawei, il layer Ip, cioè lo strato dove ci sono veramente le informazioni, è su tecnologia Cisco. Nella parte “stupida” della rete abbiamo Huawei, nella parte “intelligente” abbiamo Cisco».
AD AGGIUNGERE ELEMENTI al pressing americano, ci sarebbe anche un documento redatto dai servizi americani e in possesso di quelli italiani, proprio sui rischi delle eventuali «intromissioni» di Huawei. Gli organi parlamentari italiani preposti a questo tipo di attività, come ad esempio il Copasir, oltre a un’indagine conoscitiva proprio sui temi della cybersicurezza, sta monitorando la situazione, con riferimento tanto agli «avvisi» americani, quanto alla necessità di analizzare la strumentazione che sarebbe in grado di prevedere eventuali problematiche legate alla sicurezza.
Il tutto mentre il fondatore della Huawei, Ren Zhengfei, in una intervista alla Bbc, ha lanciato accuse agli Usa difendendo l’indipendenza e la forza commerciale della propria azienda.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.