Rifugiati: l’Unhcr chiama Tokyo, Uniqlo risponde

In by Gabriele Battaglia

Negli ultimi giorni, è nata una sorta di competizione a distanza tra l’uomo più ricco e l’uomo più potente del Giappone. Il terreno di contesa è l’assistenza umanitaria ai rifugiati. Ma mentre il governo sta a guardare, Uniqlo, prima azienda di abbigliamento dell’arcipelago, offre vestiti e posti di lavoro. Il primo, il capo del governo, Shinzo Abe, qualche settimana fa si è preso una “bacchettata” da António Guterres, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati per non aver fatto abbastanza per alleviare il dramma di chi è costretto a lasciare il proprio paese a causa di guerre e persecuzioni — ne avevamo parlato qui.

“Vorrei che il governo giapponese — ha detto Guterres intervenendo ad un evento a Tokyo — facesse sensibilmente di più…per aumentare il numero di persone ‘ristabilite’ in Giappone, e, soprattutto ora, per esaminare le possibilità di accogliere cittadini siriani”.

Il Giappone è infatti uno dei primi Paesi al mondo per donazioni di aiuti per lo sviluppo, aiuti umanitari e finanziamento delle istituzioni internazionali. Eppure la possibilità di far superare le frontiere in ingresso a più rifugiati — e in generale a più stranieri — è guardata con riluttanza dall’attuale leadership politica.

Una voce fuori dal coro si però è alzata. Si tratta, guarda caso, di uno dei papabili per il post-Abe: l’attuale ministro per la “rivitalizzazione” delle province, Shigeru Ishiba.

Ishiba — conosciuto al pubblico nipponico come “otaku” dell’esercito, membro, come molti esponenti della politica dell’arcipelago, dell’associazione revisionista Nippon Kaigi; uno che è entrato in politica sotto l’ala protettiva di Kakuei Tanaka, ex primo ministro, uno dei più influenti uomini politici giapponesi del dopoguerra — ha messo le cose in chiaro: “È sbagliato pensare che gli stranieri non debbano venire in Giappone”.

Il ministro del governo conservatore, non certo il più convinto degli attivisti per i diritti umani, vede la possibilità di una maggiore apertura del paese agli stranieri, rifugiati compresi, in modo pragmatico: “Dato che la popolazione è in declino, il governo dovrebbe promuovere politiche di accoglienza nei confronti degli immigrati”; perciò, “Il governo deve prendere misure tese a non causare problemi per noi o per i migranti in termini di lingua, cultura e in altri ambiti”.

Parole che fanno il paio con quanto detto da Guterres a Tokyo. Certo, a “tagliare fuori” il paese-arcipelago dalla crisi dei rifugiati che coinvolge Medio Oriente ed Europa in particolare, c’è la distanza geografica; eppure — ha concluso il segretario generale dell’UNHCR — il Giappone “deve progressivamente migliorare il sistema di asilo…per renderlo più efficace nell’accoglienza, nel riconoscimento e nell’integrazione dei rifugiati nella società giapponese”.

Il governo preferisce trattare l’argomento con estrema prudenza. Tra meno di un anno, nell’estate del 2016, ci saranno le elezioni per la Camera alta del Parlamento, un banco di prova per Abe e il suo Partito liberaldemocratico. “Altri paesi hanno avuto esperienze difficili”, ha spiegato alla stampa il portavoce del governo, Yoshihide Suga. “Dobbiamo essere prudenti sulla questione dell’accoglienza degli immigrati”. Il premier Abe aveva inoltre fatto presente che è priorità del governo risolvere i problemi demografici interni — Abe punta infatti ad aumentare il numero di nascite e contenere il rapido declino demografico — prima di accettare nuovi ingressi.

Ecco che, quando il potente fa orecchie da mercante, entra in scena il ricco.

All’evento di mercoledì a Tokyo, a fianco di Guterres c’era Tadashi Yanai, proprietario di Fast Retailing, numero uno tra i paperoni del Sol Levante per Forbes.

Dopo la laurea a Tokyo in economia e politica, negli anni ’80 Yanai eredita la piccola bottega ambulante del padre sarto e la trasforma nella prima holding giapponese della moda a basso costo — anche se probabilmente in Italia non è ancora un nome conosciuto, Fast Retailing con i suoi marchi Uniqlo e GU è concorrente globale di colossi del settore come Zara e H&M  —. Sono circa un paio di migliaia i punti vendita in tutto il mondo — 841 solo in Giappone — e quasi 90 mila i dipendenti del gruppo.

Ma i veri punti di forza sono il design minimale, la qualità relativamente buona e i prezzi relativamente bassi dei capi. “Devi andare da Uniqlo — mi disse una signora a cui chiesi informazioni sulla strada da Yotsuya a Shinjuku, uno dei primi giorni del mio soggiorno a Tokyo —. Ci sono così tanti vestiti, e a prezzi così bassi, che ogni volta che ci vado non riesco a trattenermi dal comprare”.

Fast Retailing sembra soprattutto aver preso sul serio la responsabilità sociale aziendale (Crs). Campagne di reciclo di vestiti usati, partnership importanti in paesi in via di sviluppo — come in Bangladesh con la Grameen Bank di Muhammad Yunus — attenzione alle questioni ambientali e sostegno alle zone del mondo colpite da disastri naturali. E anche, ovviamente, alla questione dei rifugiati, riemersa con urgenza quest’anno con l’inasprirsi dei conflitti in Medio Oriente.

Alla presenza di Guterres, Yanai ha promesso all’UNHCR 10 milioni di dollari per sostenere l’accoglienza e la distribuzione di vestiti usati per i rifugiati nei prossimi tre anni. L’imprenditore ha inoltre promesso di espandere il proprio programma di internship dedicato ai rifugiati in Giappone e all’estero.

Dovremmo solo aspettare e sperare che il governo o le Nazioni Unite risolvano il problema? — ha chiesto Yanai al suo pubblico. “È una sfida che ha bisogno di essere affrontata dalle aziende e dai singoli”.

In fondo Yanai gioca su un fattore: a differenza di Abe non ha un elettorato da mantenere o alleati (si fa per dire) pronti a sfilarti lo scranno da sotto il sedere alla prima occasione buona.

[Scritto per East online; foto credit: peacetimes.news]