Le tecnologie elettroniche degli imprenditori di sé dipendono dal sudore di masse operaie irreggimentate. Il caso Foxconn – la più grande multinazionale di assemblaggio di componenti elettronici, balzata alla cronaca negli ultimi anni per una serie di suicidi che hanno coinvolto i suoi dipendenti – è stato studiato nel dettaglio. China Files vi regala un estratto di Nella fabbrica globale (per gentile concessione dell’editore Ombre Corte).
Tra il gennaio e il dicembre del 2010 in Cina presso il gruppo imprenditoriale Foxconn Technology, il più grande produttore terzista del mondo, sono avvenuti diciotto tentativi di suicidio con quattordici morti e quattro feriti. La tragedia della cosiddetta “serie di salti”, come è stata battezzata dai media, ha destato grande scalpore. Il 27 maggio 2010 il ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale, la Federazione dei sindacati di tutta la Cina e il ministero della Pubblica sicurezza hanno costituito un gruppo d’indagine ufficiale per la risoluzione dei casi. Popolazione, mass media, organizzazioni sociali, intellettuali e semplici persone si sono formati la loro opinione e hanno discusso dei suicidi. I morti erano già sottoterra. La discussione pubblica sull’ondata di suicidi è andata attenuandosi piano piano, ma l’interesse per i retroscena – la situazione di più di un milione di operai/e della Foxconn e il modello di management dell’impresa – perdurava. Mentre si commemoravano i morti, tutti volevano sapere come si era potuti arrivare a questa tragedia e come si potevano impedire altri episodi in futuro. La Cina è diventata la “fabbrica del mondo” e 150 milioni di lavoratori/rici migranti si sono già trasferiti/e nelle città. L’ondata di suicidi non è di certo eccezionale o casuale, ma contiene piuttosto un avvertimento: il modello estensivo di produzione terzista è al capolinea. La Foxconn è un “impero” della produzione terzista. Lo sguardo sull’impresa però è precluso da un alto muro di protezione. Quali lati oscuri e quale vuoto si celano dietro l’aura a più strati dell’“impero”? […]
In totale il progetto di ricerca si è svolto in sedici stabilimenti collocati in dodici città nel Nord, Est, Sud, Ovest e centro della Cina: Shenzhen, Nanchino, Kunshan, Hangzhou, Tientsin, Langfang, Taiyuan, Shanghai, Wuhan, Chongqing, Chengdu e Foshan. Usando dei questionari, abbiamo raccolto 1.736 risposte valutabili, di cui 1.500 provenienti dai complessi industriali più vecchi e con il maggior numero di occupati di Shenzhen e Kunshan. Durante la successiva ricerca nel novembre del 2010 abbiamo ottenuto altri 300 questionari. Negli altri luoghi sono state effettuate soprattutto interviste qualitative, circa 400 in totale. Inoltre, quindici membri del gruppo di ricerca sono riusciti a farsi assumere alla Foxconn in qualità di lavoratori addetti alla catena di montaggio. Essi hanno provato per dozzine di giorni il lavoro sul proprio corpo e hanno raccolto numeroso materiale. Nel maggio 2010 il gruppo di ricerca ha inviato una lettera alla Foxconn per poter esaminare, con il suo consenso, la situazione nelle fabbriche, ma da parte aziendale non vi è stata alcuna risposta. Per questo motivo abbiamo svolto le nostre indagini soprattutto all’esterno dei muri delle fabbriche, nei quartieri dei dormitori e nei luoghi pubblici.
Sospetto di pratiche illegali
La Foxconn si è sempre presentata come un’impresa “ossequente alle leggi”, ma durante l’inchiesta ci siamo imbattuti in una serie di azioni sospette, illecite o non conformi alle regole. I risultati delle ricerche indicano numerose infrazioni alle normative cinesi: la legge sul lavoro, la legge per la prevenzione e la cura delle malattie professionali, le norme in materia di assicurazione sugli infortuni sul lavoro e le norme della provincia del Guangdong per quanto riguarda i tirocini di studenti/esse degli istituti tecnici superiori. […]
Sul posto di lavoro come pezzi di ricambio, nella quotidianità come atomi
Dalla ricerca condotta è emerso che il 56,3 per cento degli intervistati lavorava da meno di sei mesi alla Foxconn, un indicatore dell’entità della rotazione di forza-lavoro. Sebbene il salario e le integrazioni retributive supplementari siano relativamente buoni in confronto ad altre aziende terziste, la Foxconn non riesce tuttavia a trattenere i suoi dipendenti. Se ne evince che gli operai hanno problemi con il tipo di gestione aziendale e che questi sono così cruciali da spingerli a licenziarsi. Il veloce avvicendamento della forza-lavoro è piuttosto evidente in particolare negli stabilimenti produttivi. I lavoratori perdono ben presto la curiosità per il lavoro che svolgono a causa della ripetitività di movimenti meccanici replicati giorno e notte e del ritmo estremamente elevato. Essi percepiscono il lavoro come noioso, faticoso e disumano, e allo stesso tempo privo di motivazione e gratificazione.
Alla domanda: “Come vedi il tuo ruolo nella fabbrica?”, alcuni lavoratori hanno risposto: “Dobbiamo essere ancora più macchine delle macchine stesse;” e: “l’aria condizionata viene attivata solo per l’aerazione delle macchine.” Nel processo produttivo operaie e operai stanno a un livello inferiore rispetto ai macchinari senz’anima. Una lavoratrice sintetizza in modo chiaro il rapporto tra operai e macchine: “Veniamo usati come mangime per le macchine”. Piuttosto netta è anche l’autovalutazione degli operai, continuamente redarguiti dai caposquadra e dai responsabili di linea: “Sono solo un granello di polvere sulla catena di montaggio”. Sono diversi i modi attraverso i quali l’azienda erode la forza di resistenza degli operai. Giorno dopo giorno, viene ridotta la loro autostima e corrosa la loro percezione del senso della vita. In effetti, le risposte degli interessati colpiscono il ricercatore per la loro disperazione, e ancora di più per l’impotenza di fronte a tale situazione.
L’emarginazione nasce anche dall’organizzazione quotidiana. Durante il lavoro non esistono vere pause e niente che dia un vero senso alla vita. Il dormitorio non è un luogo di riposo bensì il prolungamento del banco da lavoro e della catena di montaggio. Gli operai vivono così ammassati che vengono continuamente disturbati nel loro riposo. Le condizioni nei dormitori sono pessime e vige un regime rigido: operaie e operai non possono lavare per conto loro i vestiti e nemmeno usare l’asciugacapelli; alle 23 al più tardi devono essere rientrati al dormitorio perché in caso di trasgressione incombe la punizione. Nell’assegnazione dei posti nei dormitori viene prestata attenzione alla distribuzione dei letti sulla base dell’area di provenienza e del reparto lavorativo: l’azienda non colloca infatti nella stessa stanza persone che provengono dalla medesima zona o che lavorano nello stesso reparto.
Questa strategia di divisione e di atomizzazione causa la frammentazione delle relazioni quotidiane e sociali degli operai. Essi si sentono soli e privi di sostegno e finiscono così per diventare indifferenti e perdere la loro libertà personale oltre che indebolire i loro rapporti sociali. In questo sistema di lavoro e dormitorio che disciplina i corpi, le menti e gli spazi gli/le operai/e rischiano presto il collasso. Durante le interviste non pochi di loro usavano i termini “riformatorio” o “prigione” per descrivere il loro punto di vista sulla Foxconn. Naturalmente questa sensazione da sola non basta a spiegare l’“ondata di suicidi”, poiché i lavoratori possono anche decidere di licenziarsi.
Durante le interviste abbiamo incontrato anche operai che se ne erano andati o che si erano già licenziati una prima volta. Dopo essersi licenziati esclamavano sollevati: “Oggi ho dato le dimissioni al capo! Finalmente posso abbandonare la Foxconn!” Gli ex-operai/e però hanno difficoltà a costruirsi un altro futuro e non sono pochi coloro che, dopo qualche mese in altre fabbriche, tornano alla Foxconn. Altri provano a tornare nei loro luoghi di origine e ad avviare un’attività, ma la mancanza di una base economica impedisce loro di svilupparla. Per questo motivo, in molti dopo alcuni mesi tornano in città e alcuni/e ricominciano addirittura a lavorare alla Foxconn perché non resta loro altra possibilità.
Il tormento dei lavoratori
Se durante la ricerca a qualche membro del gruppo di ricerca scappava l’espressione “ondata di suicidi” tutti gli intervistati – dai dirigenti agli operai di produzione – restavano straordinariamente pacati. Una parte degli intervistati era dell’opinione che nei suicidi fosse stato decisivo il carattere individuale e che non fossero per forza riconducibili all’impresa. Essi inoltre sottolineavano che non avrebbero mai compiuto un gesto simile. Quando, invece, esprimevano le loro idee sullo stile direzionale e sulle condizioni di vita e di lavoro, quasi nessuno era “pacato” ma si sfogava: opprimente, tedioso, difficile, estenuante, faticoso, inutile, noioso, frustrante e senza senso erano le espressioni più comuni per descrivere il tempo alla Foxconn. Dobbiamo chiederci perché queste espressioni compaiono in modo così frequente e netto nella descrizione delle loro sensazioni, anche se gli intervistati affermano di ritenere i suicidi una questione individuale.
Esattamente come descritto dagli operai, la Foxconn plasma i loro corpi, influenza la loro personalità, formatta i loro cervelli e cambia il loro modo di pensare. Sebbene la solidità e la capacità di resistenza di ogni essere umano siano diverse, nessuno riesce a sopportare il programma di rieducazione messo in campo dalla Foxconn. La pressione, la fatica, l’inutilità plasmano lo stato d’animo degli operai della nuova era e le esperienze di lavoro e di vita analoghe a una prigione indeboliscono il loro senso di appartenenza così come la loro autodifesa, ripercuotendosi negativamente sul loro comportamento sociale. La Foxconn, famosa fabbrica del mercato mondiale, usa metodi disumani di gestione.
Questi metodi evidenziano caratteristiche ordinarie e straordinarie: da un lato il sistema produttivo con i suoi tassi di sfruttamento estremamente intensi è immediatamente collegato al modello di accumulazione del capitalismo globale e all’accesso alle risorse di materie prime e di forza lavoro del cosiddetto Terzo mondo; dall’altro a causa dell’insufficiente controllo statale sul mercato del lavoro cinese, si trovano a fronteggiare un capitale troppo potente e una gigantesca classe di lavoratori/rici migranti i cui diritti e interessi non vengono rispettati. In queste condizioni la Foxconn è riuscita a espandersi rapidamente in Cina e a costruire le sue numerose e gigantesche fabbriche.
*Pun Ngai è professore associato di scienze sociali presso la Hong Kong University of Science and Technology. Formatasi al Soas alla fine degli anni ’90, subisce l’influenza del post-modernismo inglese per poi progressivamente distaccarsene. Nel 1996 fonda il Chinese Working Women’s Network, una Ong che si batte per assicurare alle lavoratrici migranti cinesi standard di vita migliori. In Italia ha pubblicato Cina. La società armoniosa. Sfruttamento e resistenza degli operai migranti (Jaca Book, pp. 200, euro 20).