Mentre in Gran Bretagna si pensa che ci siano suffcienti prove di un virus simile alla Sars che si possa trasmettere da persona a persona, Beniamino Natale continua a raccontarci come si è diffusa l’epidemia del 2003. E quanto tempo ci è voluto perché il governo riconoscesse l’entità del problema. Le immagini sono sempre di Katharina Hesse. [continua da qui]
Nel frattempo le vittime continuano ad aumentare… Superano le cento, mentre il numero dei malati si avvicina ai tremila. La Cina ammette che la situazione nel Guangdong è stata, in passato, seria, ma che ora – per usare la frase fatta creata per l’occasione dai burocrati comunisti – è “sotto effettivo controllo”. E a Pechino le vittime sono tre, i malati 37.
Sono attesi per uno straordinario concerto i Rolling Stones, ma l’evento viene rimandato. Dovrebbe arrivare Tony Blair, ma la visita viene rinviata. Saltano un gran numero di convegni. “Niente a che vedere con la Sars” dicono tutti – il governo di Pechino, gli organizzatori dei concerti dei Rolling, il portavoce dell’ Ambasciata britannica. Chi ci crede alzi la mano!
A decine, a centinaia, gli espatriati lasciano Pechino, alcuni rinunciando a ottimi contratti, a promettenti affari, interrompendo le loro carriere in un momento cruciale, quando la Cina è in rampa di lancio per diventare il mercato più appetibile del mondo. Passata la Grande Paura, alcuni riusciranno a riguadagnare il tempo perduto ma molti non ce la faranno. I responsabili cinesi continuano a minimizzare.
I medici del Guangdong, dove secondo i dati forniti dalla Cina si sono verificati la grande maggioranza dei casi di infezione da SARS, parlano di un batterio chiamato chlamydia che, agendo in contemporanea ad un normale coronavirus, potrebbe causare la mortale malattia. Secondo gli esperti della WHO si tratta di una cosa “possibile” ma non certo sicura.
A Pechino, muore di Sars nel suo albergo Pekka Aro, un funzionario finlandese della International Labour Organization (Ilo) venuto per organizzare un convegno. È una morte che non può essere nascosta, e così le vittime diventano quattro, mentre i malati restano 37, secondo tutti i portavoce cinesi.
La stampa occidentale si scatena. Il primo a ottenere qualche particolare col quale può credibilmente pubblicare le notizie fornite dagli anonimi medici e infermieri è il settimanale tedesco Stern, che indica per nome due ospedali di Pechino nei quali ci sono state 15 vittime. Subito dopo, arriva la bomba: Jiang Yanyong, un medico militare in pensione di 71 anni, membro fin da giovane del Partito Comunista, scrive una lettera aperta di denuncia della drammatica situazione alla televisione di Stato, la Cctv, e alla rete televisiva Phoenix, di Hong Kong, che non la diffondono. Altrettanto non fanno i primi media occidentali che riescono ad averne una copia, il settimanale americano Time Magazine e l’agenzia Reuters.
E’ un terremoto che fa saltare tutte le menzogne del governo. Jiang denuncia che nel suo ospedale, l’Ospedale militare numero 301 di Pechino, la Sars ha ucciso sette persone. I malati nella capitale, aggiunge il dottor Jiang, sono tra i due e i trecento. Gli risponde Wu Yi, l’ unica donna del governo cinese, nota a livello internazionale per aver condotto le trattative per l’entrata della Cina nella World Trade Organization (WTO) e che ora ricopre la carica di vice primo ministro. In questo caso, Wu Yi non si fa onore (ma in seguito, come vedremo, recuperera’) e ripete il ritornello secondo il quale a Pechino i malati sono 37 e i morti quattro.
Wu Yi riceve però la delegazione di medici della WHO che sono appena rientrati da un missione sul campo nel Guangdong dove – dicono loro stessi – hanno avuto “la massima collaborazione” dalle autorità locali. “Abbiamo avuto accesso a tutti coloro a quali eravamo interessati, medici, malati, famiglie” dice in una conferenza stampa uno un membro della delegazione, Meirion Evans. “Abbiamo chiesto di avere lo stesso tipo di accesso a Pechino”, prosegue il dottore, e la risposta di Wu Yi “è stata positiva”. Tra l’altro, Evans dichiara di aver “verificato personalmente” che tra i dati forniti all’Organizzazione Mondiale per la Sanità dal governo del Guangdong figurano anche quelli provenienti dagli ospedali militari.
Imperturbabile come il suo mestiere gli impone, il giorno dopo il portavoce del ministero degli esteri Liu Jianchao non di discosta di una virgola: “le cifre sono queste”, dice, cioé quelle dei 37 casi di infezione e delle quattro vittime, alle quali a questo punto non credono nemmeno i bambini delle elementari. Un suo superiore, il viceministro della sanità, sostiene che la “confusione” deriva probabilmente dal fatto che non si fanno le dovute distinzioni tra i casi “confermati” e quelli “sospetti”, che in larga parte si rivelano poi semplici raffreddori, dato che i sintomi sono gli stessi.
Le autorità municipali di Pechino annunciano un piano di emergenza che prevede controlli e disinfestazioni in tutta la città e l’istituzione di reparti ospedalieri e servizi di ambulanza riservati ai ”sospetti”. I casi confermati, precisano i giornali, che in Cina sono tutti governativi, vengono poi mandati in due ospedali specializzati in malattie infettive.
Un medico che tutti i giornalisti stranieri che lavorano in Cina conoscono per il suo ruolo nella lotta alla Sars nel Guangdong, il dottor Zhong Nanshan di Guangzhou, spezza una lancia a favore del suo collega Jiang Yanyong: ‘‘Ho appena avuto la notizia che nel Guangdong ci sono stati altri sette casi, che hanno portato il totale dei casi nella provincia a 1237”, dice parlando con un gruppo di giornalisti nella capitale. “”Se guardiamo alla situazione del punto di vista medico – aggiunge dando un ulteriore colpo alla già scarsa cerdibilità di Pechino -, la malattia è tutt’altro che sotto controllo. La sua origine non è chiara, come si può dire che sia sotto controllo?”. Quanto alla WHO, giudica “credibili” le cifre fatte dal dottor Jiang.
Il mondo politico di Pechino sembra sordo all’avvertimento del dottore che nei mesi e negli anni seguenti, invece di essere premiato, sarà perseguitato per aver fatto “perdere la faccia” al Partito. Onorato nel resto del mondo per il suo coraggio e la sua onestà, il dottor Jiang verrà trattato come un delinquente – o quasi – dai suoi compagni di Partito, che in più di un’occasione gli impediranno di recarsi all’estero per ritirare i premi che gli vengono conferiti. Anche nel caso del dottor Jiang non è esagerato dire che migliaia di vite sono state salvate grazie al suo coraggio.
A dare respiro alle autorita’ di Pechino, un nuovo dramma esplode ad Hong Kong. Dopo il Metropole Hotel, un altro focolaio di Sars viene alla luce nella penisola di Kowloon: nel complesso residenziale di Amoy Gardens, dalla fine di marzo alla metà di aprile, più di 300 persone contraggono la pericolosa malattia. Amoy Gardens è fatta di 19 “blocchi” costruiti a forma di croce. Ciascun blocco ha tra i 30 e i 40 piani, e in ogni piano ci sono otto appartamenti, due per ogni braccio.
Quello più colpito, dove ci sono stati più del 40 per cento dei malati, è il blocco E, nel quale i servizi di scarico degli appartamenti sono collegati tra di loro. La Sars si rivela essere una malattia urbana – la sua temuta espansione nella Cina rurale, dove i servizi sanitari e le comunicazioni sono molto peggiori che a Pechino, non si verifica. Una delle conseguenze dell’epidemia è che in tutti i grattacieli di Pechino e di Hong Kong, i tubi per lo scarico dell’ immondizia, ai quali ogni appartamento accedeva di solito da un terrazzino di servizio o da un pianerottolo – vengono chiusi, e non verranno mai riaperti.
Ma torniamo a Pechino, dove i funzionari continuano a difendere la falsa versione ufficiale – unico cambiamento, si passa dai quattro ai cinque morti, mentre si denunciano qualche decina di ammalati in più. La svolta arriva in due tempi: il 17 aprile, la stampa governativa parla di una riiunione del potente Comitato Permanente dell’Ufficio Politico (Cpup), massimo organo dirigente del Partito e del Paese, dedicata alla Sars. Nel corso della riunione, il presidente Hu Jintao ha ordinato ai “relevant departments” (un’ altra espressione amata dalla burocrazia comunista) di non diffondere “dati vecchi ed incompleti” e di informare “tempestivamente il pubblico” sulla “situazione reale” dell’epidemia.
È il segnale del cambiamento di registro, ma la periferia ci mette un po’ a capire che veramente il capo supremo vuole che si dica la verità. I veri dati continuano a non arrivare e la denuncia della drammatica situazione della capitale della Cina rimane affidata al coraggio degli individui come il professor Xu Zhinong dell’Università di Pechino (Beida) che rivela che pochi giorni prima la madre di una ricercatrice della facoltà di economia è morta di Sars e che di conseguenza la facoltà è stata chiusa. Un giornale di Hong Kong, il Wen Weipo, scrive che sono 13, tra scuole e Università, gli istituti chiusi “per precauzione”. Ma sono iniziative isolate, prese dai dirigenti delle istituzioni. A nulla servono le apparizioni in tv, sempre più frequenti, di Hu e di Wen Jiabao, che insistono sulla trasparenza.
Se neanche l’appello – pardon, l’ordine – del Numero Uno ha effetto, allora è il momento di “ammazzare una gallina perché le scimmie imparino”. E di galline, Hu Jintao ne fa secche due. Il primo segnale che nel misterioso mondo della politica cinese sta succedendo qualcosa, arriva il 20 aprile, la domenica di Pasqua.
Alla conferenza stampa del ministero della sanità invece del ministro Zhang Wenkang, come era stato annunciato, si presenta il suo vice Gao Qiang. La situazione, ammette Gao, è ben piu’ grave di quanto affermato finora. Nella sola capitale le vittime sono 18 e i malati 346: proprio come aveva detto il dottor Jiang.
Inoltre 402 pazienti sono ricoverati perché “sospettati” di avere la Sars. Visibilmente imbarazzato, cercando di piazzare qualche battuta che non fa ridere nessuno, Gao attribuisce il “ritardo” nel fornire i dati a tre fattori: primo, il virus della Sars è sconosciuto e c’è voluto del tempo per rendersi conto di cosa si trattava; in secondo luogo, nella capitale sono 70 gli ospedali che hanno ricevuto malati di Sars. Alcuni di questi ospedali rispondono all’amministrazione municipale di Pechino, altri al governo centrale, altri sono dell’Esercito e sono controllati dal ministero della difesa. Infine, dice Gao, il ministero ”non è riuscito” a mettere in piedi tempestivamente un sistema centralizzato di controllo e prevenzione.
Un’altra bomba viene lanciata poco dopo la conclusione della conferenza stampa alla maniera cinese, con due righe dell’agenzia Xinhua: il ministro Zhang Wenkang si è dimesso. Con lui e’ stato epurato il sindaco di Pechino Meng Xuenong, nonostante sia un protetto di Hu Jintao (verrà recuperato in seguito e ancora oggi è membro del Comitato Centrale comunista). Insomma, gli allarmisti avevano ragione: lungi dall’essere sotto l’“effettivo controllo” dei “relevant departments”, l’epidemia sta galoppando a briglia sciolta nella capitale.
Terza bomba della giornata: la settimana di vacanze del primo maggio è abolita! Nessuno dovrà lasciare Pechino, la metropoli che conta tre o quattro milioni di immmigrati, senza contare tutti coloro – altri milioni di persone – che vivono e lavorano stabilmente nella città ma che hanno le famiglie in altre zone del Paese. La settimana di vacanza è per milioni di persone l’occasione per passare qualche giorno in famiglia: è la prima volta che viene cancellata.
Gao rivela anche che il 15 aprile il Consiglio di Stato (il governo) ha creato uno speciale gruppo per valutare la situazione di Pechino. È presieduto da Wu Yi, che diventa ministro della sanità al posto di Zhang e ne fa parte un brillante cinquantenne che diventa il sindaco della capitale: Wang Qishan. In tutto il Paese le vittime sono state 79, mentre il totale dei casi di SARS sale a 1.814.
Da allora in poi, i numeri dei malati e delle vittime non fa che salire. Il comunicato che il ministero della sanita’ diffonde ogni giorno, tra le cinque e le sei di sera, diventa un bollettino di guerra, come del resto le notizie che mando all’Ansa:
VIRUS SARS: CINA, ANCORA MORTI DOPO EPURAZIONE /ANSA
(ANSA) – PECHINO, 21 APR – L’epidemia di Sars ha colpito oggi duramente in Cina, con due morti a Pechino, quattro nel resto del paese e sei a Hong Kong, 109 casi di contagio nella capitale, 35 (tra cui 4 dei morti) nel resto del paese e 22 Hong Kong…
VIRUS SARS: CINA, NUOVI CASI E TRE MORTI A PECHINO
(ANSA) – PECHINO, 22 APR – Altre tre persone sono morte di Sars a Pechino, portando a 28 il totale delle vittime nella capitale. I nuovi casi registrati sono 106, che portano a 588 il totale dei malati…
VIRUS SARS: ANCORA MORTI E SCUOLE CHIUSE A PECHINO
(ANSA) – PECHINO, 23 APR – Il ministero della sanita’ cinese ha annunciato oggi una nuova impennata dei casi di Sars a Pechino, dove sette persone sono morte e 105 sono risultate positive….
E così via. La chiusura delle scuole e l’ annullamento delle vacanze del primo maggio sono la goccia che fa traboccare il vaso del panico. Ecco un estratto di un pezzo che ho scritto il 23 aprile:
“…Recuperare la fiducia della popolazione però è difficile. La capitale continua ad essere percorsa da voci incontrollabili. Una voce insistente, che non ha finora trovato conferme ma neanche smentite ufficiali decise, vuole che nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore, otto distretti centrali di Pechino verranno completamente isolati. La voce ha provocato un’assalto ai treni in partenza dalla capitale. Molte delle persone che sono fuggite sono andate nei loro luoghi d’origine – la popolazione ”fluttuante” di Pechino è di circa quattro milioni di persone – dove la situazione della Sars non è probabilmente migliore che nella capitale.
I supermercati hanno esaurito, dopo la mascherine chirurgiche ed i rimedi della medicina cinese contro la polmonite, anche il sale. La radio ha invitato stasera a non fare scorte ”non necessarie’. Il governo ha annunciato che da Shanghai – una città dove l’ epidemia sembra essere contenuta – verranno inviati ogni giorno duecentomila mascherine e centomila bottiglie di disinfettante, un altro genere che va letteralmente a ruba…”
In una coraggiosa inchiesta, il settimanale Caijing (Economia e Finanza), svela come le autorità della capitale hanno nascosto per due mesi la gravità della situazione. Prima di tutto, dando credito alla balla della chlamydia, che viene sostenuta dal ministro Zhang e dal sindaco Meng ma anche dai massimi responsabili della sanità della capitale come il dottor Li Liming del Centro per la malattie infettive dell’ospedale Ditan.
Ad aprile inoltrato, mentre la situazione di Pechino era già di emergenza, costoro continuavano a parlare del batterio. In secondo luogo, facendo leva su fatto che la SARS – essendo sconosciuta – non figurava nell’elenco delle “malattie pericolose” sulle quali tutte le strutture ospedaliere devono per legge riferire al ministero della sanità. Un alto funzionario dichiara alla rivista di aver visto l’8 aprile una circolare che metteva la Sars tra le malattie “pericolose”: la circolare è stata diffusa solo il 14 aprile, con una inspiegabile settimana di ritardo. Tra l’altro, Caijing rivela il tragicomico episodio delle ambulanze.
“Che differenza c’è tra il presidente americano George W.Bush e la Sars? Nessuna: tutti e due hanno ucciso centinaia di persone!”, scherza Falah Al Saqre, studente iracheno all’Università di Pechino. Per un colpo di fortuna mediatica, la porta della sua stanza è la prima alla quale un gruppo di colleghi e io bussiamo appena entrati nell’ostello dell’Università delle Comunicazioni di Jiaotong, alla periferia della capitale, dove Falah e altre decine di studenti sono in quarantena precauzionale.
Passato lo schock del primo impatto, passata la vergogna per le menzogne messe a nudo, il Grande Partito si sta muovendo con tutto il suo peso per recuperare in qualche modo il disastro dei mesi precedenti. Ora i burocrati tirano fuori tutte le loro risorse: non si tratta solo di salvare migliaia di vite dei loro concittadini ma anche di recuperare un minimo di credibilità, fuori e dentro la Cina. Di salvare il sistema dal collasso. Un collasso che potrebbe comunque venire se non si riuscirà a sconfiggere il terribile virus, che intanto continua a mietere vittime e a seminare il terrore.
Solo il terrore può infatti produrre un primo maggio come quello del 2003 quando, alle 11 della mattina, piazza Tiananmen appare semideserta. Una piazza fantasma nel centro di una città fantasma, nella quale solo pochi audaci osano mettere il naso fuori di casa rischiando un incontro col Nemico Invisibile. La grande maggioranza dei 15 milioni di abitanti di Pechino si sono autoassegnati agli arresti domiciliari. Ma più di undicimila, tra cui Falah e i suoi compagni di studio, sono costretti all’isolamento dalle autorità.
Le misure prese da Wu Yi e dal suo gruppo sono radicali – quarantena per chiunque potrebbe essere venuto in contatto con malati, concentrazione dei pazienti in ospedali e in reparti specializzati, severissime misure igieniche, chiusura delle scuole e dei locali pubblici, monitoraggio continuo in tutta la città – e vengono applicate rigidamente. Il Partito Comunista Cinese mette in campo tutta la sua struttura, in buona parte dormiente in tempi normali, una struttura vasta, piramidale, che coinvolge tutta (o quasi) la popolazione e nella quale la gerarchia è osservata in maniera rigida e senza tentennamenti. Se sia frutto del comunismo degli ultimi 50 anni oppure dell’eredità lasciata dal confucianesimo, oppure ancora di un misto di quelle culture è un tema che potrebbe essere discusso a lungo.
Fatto sta che tutti sono mobilitati, dai dirigenti delle istituzioni pubbliche ai vecchi che nei quartieri periferici indossano le fasce rosse sulle maniche della giacche e pattugliano le strade alla ricerca di tutti coloro che hanno una temperatura corporea superiore al 37 gradi. La gente continua ad avere paura ma almeno si sente parte di uno sforzo comune, di una ennesima “battaglia rivoluzionaria” che questa volta non ha per nemico il Giappone o gli Usa ma un invisibile virus. In pochi giorni viene costruito in periferia, con blocchi prefabbricati, un ospedale riservato ai malati di SARS.
Un residente del quartiere di Haidan, da dove provengono il 60 per cento dei malati di SARS della capitale, mi spiega come funziona il meccanismo: ogni giorno 630 funzionari girano per il quartiere distribuendo dei moduli sui quali deve essere segnata la temperatura corporea di tutti i membri della famiglia ed eventuali visite, fatte o ricevute. I 630 “controllori” riferiscono poi a 15 “supervisori” che riuniscono i dati e li mandano agli uffici centrali dell’Amministrazione. In questo modo vengono controllati anche i movimenti delle migliaia di persone che sono in quarantena cautelativa.
Funziona, ma fino a un certo punto. Nella prima settimana di maggio, rivolte di paesi che si rifiutano di accogliere centri per i malati di SARS si verificano nelle province del Zhejiang, Henan, Hebei e a Tianjin, la città portuale a cento chilometri dalla capitale. Sempre nella zona di Tianjin, in alcuni villaggi gli abitanti bloccano gli accessi e consentono l’ingresso solo ai residenti, impedendo alla “gente di città’” di venire a diffondere la “sua” malattia. Il governo ha annunciato che i conti dei malati di SARS a basso reddito verranno pagati dallo Stato ma i giornali segnalano casi di ospedali che hanno rifiutato il ricovero a malati che non potevano dimostrare di essere in grado di pagare le costose cure.
Il governo deve smentire la voce che verrà imposta la legge marziale e la WHO continua a martellare, denunciando che i dati che riceve continuano a essere incompleti e poco credibili. Ma in qualche modo, si va avanti. Qualcuno comincia a dire a mezza voce che il “peggio è passato”, solo per venire smentito dalla direttrice dell’Oms, Gro Harlem Brundtland, che chiarisce che il “picco dell’epidemia non è ancora stato raggiunto”.
È solo a metà maggio che le cifre cominciano a scendere. La popolazione mostra, con le continua proteste dei cittadini che non vogliono i malati di Sars nei loro quartieri, di essere ancora scettica, ma l’Oms avvalla l’ottimismo dei funzionari. “Non siamo più dove eravamo un mese fa, dei progressi sono stati fatti”, dichiara il 13 maggio Henk Bekedam, il capo dell’ ufficio dell’Oms di Pechino. Oltre che nella “mainland China”, il virus continua a colpire a Hong Kong e a Taiwan – alla quale, in virtù della sua pretesa di sovranità, la Cina impedisce di partecipare alle riunioni internazionali di coordinamento e di informazione sull’ evoluzione dell’epidemia.
Graduamente, a partire da Hong Kong, il virus sembra aver perso slancio. Il merito va certamente alle severe misure prese dalle autorità ma anche al Generale Caldo, che si installa con decisione nell’Asia Orientale. I ragazzi tornano nelle scuole, i locali pubblici riaprono, i più audaci cominciano a lasciare a casa le mascherine sanitarie e l’Oms comincia a cancellare dalla lista dei Paesi a rischio Hong Kong, Singapore, il Guangdong…e il 18 maggio può annunciare che l’ epidemia è stata “contenuta”.
Gli scienziati di Hong Kong individuano in uno strano animaletto chiamato “zibetto”, considerato una prelibatezza culinaria nella Cina del sud, il veicolo attraverso il quale il virus della Sars ha attaccato con successo l’ uomo. Raid vengono organizzati nei principali mercati del sud e controlli vengono istituiti su tutti gli allevamenti di zibetti. Sono gli ultimi fuochi. L’ epidemia va verso l’ esaurimento e il primo giugno Hu Jintao si può presentare con la carte in regola al suo esordio sulla scena internazionale, la riunione del G8 a Evian, in Francia.
Presto la Sars verrà dimenticata. Secondo il bilancio finale della WHO il virus ha colpito 8096 persone, in 29 Paesi,facendo un totale di 774 vittime. I Paesi piu’ colpiti sono stati la Cina (349), Hong Kong (299), Canada (43), Taiwan (37) e Singapore (33). Seguono il Vietnam con 5, Malaysia, Filippine e Thailandia che hanno avuto ciascuna 2 morti, Francia e Sud Africa con una vittima. Dietro di sé, il misterioso virus lascia una serie di interrogativi – come mai si è diffuso solo in ambienti urbani? È stato trasmesso all’ uomo dagli zibetti del sud della Cina o ci sono stati altri agenti? Quanto hanno contato le misure prese in tutto il mondo e quanto la fine del dramma è stata dovuta, semplicemente, all’arrivo dell’estate? – e il ricordo di un Imperatore nudo e tremante di fronte a una crisi inattesa.