Redditi online, ancora ritardi

In by Gabriele Battaglia

La Cina vuole rendere i dati sulle proprietà private consultabili online. Un database che preoccupa soprattutto i funzionari di partito e i vertici delle aziende di stato. E' ancora la lotta alla corruzione a guidare l'operato del governo. Negli ultimi 15 oltre l'uno per cento della ricchezza nazionale è finito all'estero.

La Cina si appresta a informatizzare i dati sulle proprietà private a livello nazionale. Una misura che può essere considerata parte della lotta alla corruzione lanciata da Xi Jinping e che, nella resistenza che incontra da parte delle amministrazioni locali, ci da un'idea di quanto lungo e difficile sia il cammino sulla via delle riforme.

Un database che preoccupa molti. Anche perché ancora non è chiaro se tutti gli utenti potranno consultarlo rendendo di fatto pubblici i patrimoni di cittadini e funzionari dello stato. L'idea – su cui si sta lavorando dal 2010 – è quella di raffreddare le speculazioni sul mercato immobiliare. Allo stesso tempo risulterà evidente alle prime ricerche il possesso di case e terreni non giustificati da redditto, facilitando le autorità a individuare corrotti e corruttori.

Il piano doveva partire con un programma pilota in 40 città, ma i governi locali interpellati si sarebbero rifiutati di sottoscrivere l'accordo nell'attesa di essere rassicurati sul fatto che i dati raccolti non sarebbero stati resi di pubblico dominio. D'altra parte non si potrebbe chiamarlo uno sforzo verso la trasparenza se i dati venissero segretati.

Una contraddizione che ha messo i bastoni tra le ruote alla seconda parte del programma che in teoria doveva essere completata entro lo scorso giugno coinvolgendo altre 500 città. Diversi analisti citati dal South China Morning Post e dal China Daily convengono nell'individuare le opposizioni più forti negli ambienti delle cosiddette grandi aziende di stato, quelle legate ai settori dell'energia delle ferrovie e delle banche.
Esattamente quegli ambienti che sembrano essere l'obiettivo del nuovo giro di riforme promosso da Xi Jinping che verranno rese note durante il prossimo plenum di novembre e che in molti pensano debbano andare nella direzione della liberalizzazioni delle suddette grandi aziende di stato.

Misure per la trasparenza e per la pubblicazione di redditi e proprietà da parte di funzionari pubblici sono in realtà richiesti a gran voce da buona parte dell'opinione pubblica. La corruzione dilagante tra funzionari pubblici e quadri di Partito è ormai individuata come una delle cause che potrebbero portare alla caduta del Partito e l'abitudine della leadership comunista a lavare i panni sporchi in famiglia non è più così semplice da mantenere.

Sono sempre di più quelli che vedono nella corruzione dei quadri di Partito la causa di tutti i malesseri economici e sociali che la Cina si trova ad affrontare. Anche le autorità cominciano ad ammettere pubblicamente l'entità del problema.

L'Accademia cinese delle scienze sociali, il più importante think thank del paese, ha pubblicato uno studio in cui denuncia che negli ultimi quindici anni almeno 18mila funzionari sono scappati dalla Cina trasferendo illegalmente all'estero quasi cento miliardi di euro, l'1,4 per cento del pil annuale.

E sono gli stessi media di stato a riportare che nell'ultima decade circa 900mila quadri di Partito sono stati condannati per aver preso tangenti. Si tratta di 80-90mila casi di corruzione conclamata all'anno. Lo stesso Xi Jinping, nel suo primo discorso da presidente del partito comunista più grande del mondo, aveva pubblicamente ammesso che la corruzione era la sfida più grande che si trovava ad affrontare.

E all'inizio del 2013 aveva rincarato “colpiremo sia le mosche che le tigri” aveva detto per rassicurare la popolazione sul fatto che la sua campagna contro la corruzione non avrebbe guardato in faccia nessuno. E per il momento è quello che sta portando avanti. Con lui si sono schierati il vicepremier Wang Yang e il numero quattro del Comitato permanente Yu Zhengsheng che non avrebbero problemi a rivelare redditi e proprietà. O almeno così affermano.

[Scritto per Lettera43; foto credits: scmp.com]