La guerra gli slogan in India, tra chi grida "Libertà" e chi inneggia a nazionalismo. Le vittime musulmane dell’estremismo hindu che ricordano le impiccagioni pubbliche del Ku Klux Klan. I libri di storia patriottici in Giappone osteggiati dai Paesi vicini e da parte della popolazione. Buone letture e buon weekend lungo. Lunedì, 21 marzo: La guerra degli slogan in India
È più indiano chi urla «Bharat mata ki jai» (evviva Madre India) o chi urla «Azadi» (libertà)? O meglio, se qualcuno si rifiuta di urlare in pubblico «Bharat mata ki jai» vuol dire che non ama il proprio paese ed è un cospiratore anti nazionale? Nella metà di marzo dell’anno 2016 sembra essere questa la discussione principale che coinvolge media e politici indiani, in una gara di identitarismo semiotico apparentemente assurda, ma che invece fa emergere la questione di un’identità indiana ancora tutta da trovare.
Martedì, 22 marzo: «Strange Fruit» e le vittime musulmane dell’estremismo hindu
In un villaggio del distretto di Latehar, nello stato del Jharkhand, i corpi di due commercianti di mucche – musulmani – sono stati ritrovati appesi a un albero: in mostra dopo che le due vittime, di cui una di soli 12 anni, sono state linciate per una colpa che nell’India contemporanea sempre più spesso comporta un prezzo da pagare in sangue. In un parallelismo macabro ma tremendamente azzeccato, l’attivista e femminista Kavita Krishnan su Facebook ha evocato il ricordo delle violenze razziali contro la comunità afroamericana negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso. E una poesia diventata standard jazz immortale, «Strange Fruit», che riporta alla memoria le impiccagioni pubbliche ad opera del Ku Klux Klan. Solo che siamo in India e corre l’anno 2016.
Mercoledì, 23 marzo: I libri di testo giapponesi saranno più «patriottici»
Dal 2017, i libri di storia, geografia, società, politica e economia in uso nei licei giapponesi avranno il 60 per cento di riferimenti in più alle diatribe territoriali asiatiche di Tokyo. E no, anche se pare, non si tratta di un annuncio pubblicitario. Ma, anzi, del risultato di anni di lobby da parte di gruppi revisionisti sempre più influenti nella politica contemporanea giapponese.