Rallenta la corsa della Cina

In by Simone

É un discorso tutto proiettato al futuro e pieno di confidenza quello pronunciato ieri dal primo ministro cinese Wen Jiabao, ma che mostra un Paese indebolito e timoroso. Per la terza economia del mondo l’anno appena iniziato è «il più difficile dal principio del secolo». «Ci troviamo di fronte a sfide ardue nella promozione di riforme sviluppo e stabilità», ha detto Wen, e la causa è una sola: la crisi finanziaria globale.

L’impatto nell’Impero di Mezzo costringe il governo a rivedere al ribasso le velleità di crescita. Per il 2009 l’obiettivo è un aumento del Pil dell’8%, lontano dai numeri a due cifre dell’ultimo decennio ma ben ragionato. «In un paese in via di sviluppo con una popolazione di 1,3 miliardi di persone mantenere un certo tasso di crescita dell’economia è essenziale, per espandere l’occupazione, aumentare le entrate e assicurare la stabilità sociale», ha detto il premier. Al contrario degli scorsi anni, quando era il surriscaldamento dell’economia a preoccupare i pianificatori, questa volta la sfida è assicurare una crescita “minima” garanzia di stabilità.

Con 20 milioni di lavoratori rispediti nelle campagne a seguito della chiusura delle fabbriche, 7 milioni di nuovi laureati da immettere nel mercato del lavoro e la necessità di creare 9 milioni di impieghi, la pressione sul governo è ogni giorno più grande. L’intenzione, secondo Wen, è mantenere la disoccupazione urbana intorno al 4,6%, ma per gli osservatori la soglia è stata da tempo superata. Il rischio è l’esplosione del malcontento sociale e la minaccia al sistema del partito unico. Già nel 2008 un numero record di incidenti di massa, 80 mila, sono stati ufficialmente registrati nel Paese, ma quest’anno in concomitanza con un numero di ricorrenze la situazione potrebbe sfuggire di mano alle autorità.

La soluzione è, per ora, che il governo spenda abbondantemente per stimolare i consumi e ridare fiato all’economia strozzata dal calo delle esportazioni. Wen Jiabao ha confermato ieri il piano di spesa da 465 miliardi di euro annunciato a novembre per infrastrutture e riduzione della pressione fiscale. Chi alla vigilia della riunione si aspettava di più è rimasto deluso, il piano è uno solo e già assicurarne in buon funzionamento sembra impresa ardua. Qualche giorno fa un gruppo di veterani del Partito, fra i quali Li Rui, il vecchio segretario di Mao Zedong, hanno scritto una lettera al presidente Hu Jintao per chiedere la massima trasparenza possibile nella spesa dei 400 e passa miliardi di euro. Essi temono che il piano possa rivelarsi un’ulteriore occasione di corruzione per i governi locali, che non farebbe altro che aumentare l’insoddisfazione verso il Partito.

Sul versante politico la sola rivelazione capace di tenere banco all’economia è l’intenzione di Pechino di giungere alla pace con Taiwan. «Siamo pronti a terminare lo stato di ostilità e concludere un accordo di pace tra le due sponde dello stretto», ha detto Wen Jiabao, senza dimenticare che l’isola è il secondo investitore in Cina.

[pubblicato da Il Messaggero il 6 marzo 2009]