Come Usa e Cina, la Russia punta a sfruttare economicamente la pacificazione della Corea. E sui 17 km di confine comune, Putin getterà un ponte per collegare i due Paesi senza dover attraversare la Cina. E far passare così oltre alle merci anche la rinnovata influenza russa.
Negli ultimi mesi, complice la rapidità con la quale si è arrivati a svolte di grande rilevanza per la penisola coreana, la Russia è parsa tenere un atteggiamento sornione: ha appoggiato le soluzioni di natura diplomatica, ha auspicato una denuclearizzazione, ha dovuto ingoiare il rospo della mancata visita di Kim — invitato ufficialmente da Mosca — ma si è immediatamente mossa per “il dopo”.
In uno svolazzo strategico, potremmo paragonare il comportamento russo sulla Corea del Nord, a quello cinese sulla Siria: appoggio all’alleato, posizione defilata da un punto di vista internazionale ma attenzione massima alla possibilità di sfruttare economicamente una situazione nuova — la ricostruzione in Siria nel caso della Cina. Inoltre, serve una precisazione: non è solo la Russia che starebbe già pensando al “dopo”. Anche Stati Uniti, Corea del Sud e, naturalmente, la Cina stanno già pensando a come sfruttare al massimo la Corea denuclearizzata.
Banalmente, una Corea del Nord inserita ufficialmente nel consesso diplomatico ed economico mondiale fa gola a tutti, perché potrebbe essere un nuovo mercato e un nuovo bacino di lavoro a basso costo. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti con il nuovo segretario di stato hanno lasciato intendere la possibilità di consentire alle aziende private Usa di investire in Corea del Nord.
Ugualmente ha fatto la Corea del Sud: proprio in questi giorni la si è detta interessata a rilanciare progetti economici in Corea del Nord. Secondo il Guardian, la Hyundai avrebbe istituito “un gruppo di lavoro per esplorare come investire nel Nord, mentre ci sono state molte richieste al governo sudcoreano sul riavvio del complesso industriale di Kaesong”. La zona di Kaesong rappresenta l’esempio supremo del tentativo di cooperazione tra Nord e Sud: aperto nel 2004, vedeva oltre 50.000 nord coreani a lavorare per imprese del Sud. Ma il sito fu chiuso nel 2016. Tra i progetti, citando ancora il Guardian, “Hyundai sta anche esplorando il ripristino di un sito turistico a Mount Kumgang, chiuso agli stranieri dal 2008 dopo che un visitatore sudcoreano è stato ucciso da un soldato nordcoreano”.
È chiaro dunque che una Corea pacificata prevede anche — quanto meno — un indebolimento delle sanzioni. Questo potrebbe portare in superficie un mondo, compreso il sostegno che Cina e Russia hanno dato negli anni alla Corea del Nord proprio per arginare le sanzioni — e spesso in modo illegale -.
Per quanto riguarda Mosca, dopo un momento di grande dinamismo diplomatico durante il 2017, non a caso a fronte di una difficoltà registrata da Pechino nel tenere a freno Kim Jong-un, nell’ultimo periodo sembra aver rallentato la propria esposizione internazionale. La Russia è parsa dedicarsi a pianificare la propria strategia. Anche perché non sarà sola. Proprio lunedì 14 maggio, da parte cinese è stato annunciato che nel prossimo G20, previsto in Argentina dal 17 maggio, Russia e Cina discuteranno anche di Corea del Nord. Lo ha confermato un alto diplomatico cinese. «Il problema nucleare nella penisola è una delle questioni più importanti della cooperazione strategica tra Cina e Russia: a questo tema si dedicheranno il ministro degli Esteri cinese Wan Yi e il ministro russo Lavrov a margine del prossimo G20», ha detto il vicedirettore del Dipartimento degli affari europei-centro-asiatici del ministero degli esteri cinese Liu Bin.
A confermare questo atteggiamento, subito dopo lo storico incontro tra Kim e Moon a Panmunjom, il presidente russo Vladimir Putin ha chiamato il presidente sudcoreano Moon Jae-in, specificando che la Russia è pronta «a facilitare la cooperazione tra Corea del Nord e Corea del Sud». Nella telefonata con Moon, Putin ha ribadito che «la Russia è pronta ad aiutare con infrastrutture trilaterali e progetti energetici nella penisola coreana».
La strategia di Putin è chiara: benché su un territorio di ampiezza minore di quello cinese, la Russia e la Corea del Nord hanno 17 chilometri di confine in comune. Ed ecco un primo potenziale esempio di una rinnovata cooperazione di natura economica basata sulle infrastrutture con il Nord: Mosca e Pyongyang, infatti, attualmente sono collegate con un ponte ferroviario sul fiume Tumen. L’infrastruttura, chiamata Ponte dell’amicizia, fu inaugurata nel 1959 e offre alla Russia e alla Corea del Nord un collegamento ferroviario di base. Da tempo le due nazioni stanno discutendo della costruzione di un ponte che potrebbe consentire ai veicoli di attraversare il confine senza attraversare la Cina.
«Ci sono 23 punti di contatto automobilistici tra la Corea del Nord e la Cina e nessuno con la Russia», ha detto a marzo il ministro nordcoreano Ro Tu Chol, riportato da Agenzia Nova. «Attualmente, quando importiamo merci dall’estremo oriente russo, non è attraverso il confine con la Russia ma attraverso la Cina. Questo allunga notevolmente il viaggio», ha affermato.
Ma non finisce qui: la Corea del Nord è pronta a fornire operai per la costruzione di un ponte oltre confine con la Russia: lo ha reso noto il ministero per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente russo.
«A giugno, sia gli esperti tecnici russi che quelli nordcoreani terranno delle consultazioni sulla costruzione di un ponte autostradale tra i due Paesi”, ha detto il viceministro Aleksandr Krutikov, come riferito dall’agenzia di stampa Ria Novosti. «La Corea del Nord fornirà al progetto forza lavoro e materiali da costruzione, mentre la Russia fornirà le attrezzature necessarie», ha aggiunto il viceministro, secondo cui gli esperti faranno le stime necessarie e fisseranno un limite di tempo per il completamento del ponte. All’inizio di quest’anno, il capo del ministero, Aleksandr Galushka, ha dichiarato che il dipartimento dei Trasporti aveva creato un gruppo di lavoro ad hoc.
Perché la Russia ha questo interesse a partecipare alla ricostruzione in Corea del Nord? Secondo uno studio pubblicato a maggio dall’Australian Strategic Policy Institute (dal titolo Putin and North Korea), “Un impegno più forte (in Corea del Nord ndr) consentirebbe al governo russo di aumentare il suo peso nella regione, influenzare la presenza degli Stati Uniti nella penisola — e quindi nelle immediate vicinanze della Russia — e nel nord-est asiatico oltre a consentire al presidente Vladimir Putin di portare avanti i suoi obiettivi di una presenza globale nella regione asiatica”.
Infine una constatazione: se la questione coreana, anche dopo l’incontro del 12 giugno a Singapore tra Trump e Kim, sarà riportata al “negoziato a sei” ci sarà ovviamente anche la Russia. Secondo il report dell’Australian Strategic Policy, “se il Cremlino dovesse avere successo nel suo coinvolgimento nei negoziati sulle questioni di sicurezza nella penisola, la comunità internazionale deve essere preparata: Mosca chiederà di sicuro un prezzo”.
In caso contrario, Mosca sembra essere già preparata anche a uno scenario senza dialogo a sei: a quel punto conterà chi in questo intervallo di tempo avrà lavorato meglio.
di Simone Pieranni
[Pubblicato su Eastwest]