Quel che resta del Cielo

In by Simone

Da un’uscita casuale dal lato ovest del Tempio del Cielo.

Baracche affacciate al muro che delimita il Tempio, piccoli campi con galline e pecore, che accompagnano fino allo scempio di Qianmen.

Gente che passeggia, qualche cinese intento a guardare e fotografare qualcosa che a breve, non ci sarà più.

E in fondo, poco importa.


Passo sul ciglio del mondo disattento, dal lato occidentale delle cose
m’incanto, mi disincanto.


Quel che resta del Cielo, prima che l’orizzonte si scontri contro una chiesa sorta nel nulla, di fronte a muri inneggianti Olimpiadi, al di là dei quali, si afferma sontuoso il niente contemporaneo di negozi e strade luccicanti, tra composti di macerie, avanzi di vite, resti di quotidianità.


Tra la strada e il Tempio, il cui muro scorre come una sorta di pensiero di cioè che è stato, una piccola e sommersa città nascosta, qualche persona che cucina, alcuni che salutano felici: si è appena concluso il capodanno cinese e anche se con un tetto di lamiera e pochi stracci a fare da porta, si invocano gli spiriti benigni. Ci si accontenta, ed è già qualcosa.


Panorami silenziosi di tentativi mal riusciti, sorrisi abbozzati nella speranza di finire in un luogo migliore, pur abbandonando quanto c’era, sospeso tra gesti quotidiani e ambizioni da poco.

I cessi pubblici, “funzionano benissimo”, sorride un uomo che avrà cinquant’anni, occhi grossi e faccia rossa e gonfia dal freddo. Poi sentieri e propositi di demolizione che l’Oriente è anche questo.

Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento

E se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

[citazioni tratte Labile, di Ivano Fossati e Khorakane, di Fabrizio de Andrè]