La fine del quarto plenum del comitato centrale del Partito comunista cinese ha segnato un nuovo capitolo del percorso di riforme avviato dal presidente Xi Jinping a fine 2012. Via allo Stato di diritto socialista con caratteristiche cinesi. Un passo avanti per la politica cinese, che rende centrale un tema fino a poco tempo fa appannaggio di pochi specialisti. Il commento di Simone Pieranni. Qualche settimana fa, nel villaggio cinese di Fuyou, nella provincia dello Yunnan, sud ovest del Paese, i corpi carbonizzati di otto persone hanno – ancora una volta – svelato la violenza degli scontri per la terra in Cina. Benché questi incidenti di massa siano quasi quotidiani, gli scontri di Fuyou hanno catturato l’attenzione dell’opinione pubblica.
All’origine la solita storia: contadini che si vedono requisita la terra da costruttori, presumibilmente in combutta con i politici locali, e che dopo aver reagito, si vedono assaliti da bande di teppisti assoldati per risolvere il problema a colpi di mazzate. I contadini – ogni volta – provano a difendersi con i mezzi che hanno, cercando di contrastare gli speculatori edilizi e la loro manovalanza, perché sanno bene che a livello giuridico non troveranno mai soddisfazione.
Questo accade, perché anche gli organi giudiziari locali, sono completamente asserviti al potere locale. Poiché spesso la rabbia dei contadini è contro i funzionari locali e il potere centrale non viene attaccato, ma anzi viene visto come unico strumento di risoluzione di questi conflitti, il Partito comunista in questi casi agisce nel seguente modo: arresta i «violenti» e il funzionario che si scopre ben presto corrotto, perché ha preso la mazzetta dal costruttore.
In questo modo il partito fa giustizia da sé. Ma si tratta di meccanismi che Pechino sa di dover mutare. Un sistema giudiziario più giusto, è alla base della principale preoccupazione, ovvero il «mantenimento della stabilità». Non è un caso se i fatti di Fuyou, possono considerarsi un esempio perfetto per quanto discusso all’interno del quarto plenum del Pcc, conclusosi il 23 ottobre. L’argomento era lo «Stato di diritto». Xi Jinping ha ottenuto – in pratica – il via libera a provare a riformare la giustizia, sebbene i passi intrapresi ad ora non siano esaltanti per i liberali, cinesi e occidentali.
Il Plenum ha infatti sancito il via libera «allo Stato di diritto socialista con caratteristiche cinesi». In particolare nel comunicato si legge che «Solo con il governo secondo la legge, e con l’attuazione dello Stato di diritto sotto la guida del partito il popolo può essere veramente padrone della propria casa». Poco? Forse, ma i tempi cinesi non sono i nostri: solo porre all’ordine del giorno di un incontro così importante la questione, costituisce un passo avanti.
È vero che se ne parla da tempo, ma ora è un tema centrale e non una discussione tra intellettuali e docenti universitari.
Analogo, il riferimento alla Costituzione. «Il Partito dovrà governare il paese sulla base della Costituzione e dovrà controllare il Partito secondo i propri regolamenti interni». Un altro riferimento importante, perché da tempo in Cina si discute di riforme costituzionali. Infine un’annotazione: tra le decisioni, ci si aspettava l’espulsione di Zhou Yongkang. Non è arrivata. Potrebbe essere un segnale: dentro al Partito Xi Jinping ha ancora qualche – minima – resistenza.