ASIA. Il triangolo Washington-Seul-Tokyo risponde ai missili di Pyongyang. E la regione continua la corsa al riarmo. Sullo sfondo c’è la Cina: la contesa strategica con gli Stati uniti frena il disgelo
Il fronte orientale rischia di surriscaldarsi. In meno di 24 ore la Corea del Nord ha lanciato un missile balistico che ha sorvolato il nord del Giappone, mentre Stati uniti e Corea del Sud hanno sparato quattro missili terra-terra.
Escalation che non è nata all’improvviso ma che è stata costruita nel tempo tra l’aumento di test missilistici di Pyongyang da una parte e le ripetute manovre congiunte Washington-Seul-Tokyo dall’altra.
E TUTTO LASCIA presagire che il peggio debba ancora arrivare: le voci su un possibile test nucleare nelle prossime settimane sono sempre più insistenti. La Casa bianca ha optato per una risposta muscolare al missile nordcoreano, la cui gittata di circa 4.600 chilometri dimostra la potenziale capacità di Pyongyang di colpire il territorio statunitense di Guam.
Prima bombardamenti di precisione con Seul nel mar Giallo, poi manovre aeree congiunte coi jet giapponesi. Infine, il lancio dei missili a corto raggio Atacms verso il mar del Giappone. L’esercito sudcoreano ha lanciato altri due missili prodotti a livello locale, gli Hyunmoo-2, uno dei quali è però andato in avaria ed è caduto a poca distanza dalla base aerea di Gangneung.
Una brutta débacle per le forze armate, che si sono dovute scusare per il ritardo nella comunicazione dell’incidente. Molti cittadini, assistendo alle fiamme nel pieno della notte tra martedì e mercoledì, avevano temuto si trattasse di un attacco.
Ieri il Rodong Sinmun, giornale ufficiale del Comitato centrale del Partito del Lavoro, non conteneva riferimenti al lancio nordcoreano, il 23esimo del 2022 e il quinto in 10 giorni.
NULLA DI STRANO, secondo gli analisti: il messaggio era rivolto verso l’esterno. Prima dell’ultimo test, una portaerei americana ha fatto scalo in Corea del Sud per la prima volta dal 2018, mentre la vicepresidente Kamala Harris ha visitato la zona demilitarizzata. E dopo diversi anni si sono svolte esercitazioni trilaterali Usa-Seul-Tokyo.
Pyongyang osserva con fastidio il progressivo aumento del coordinamento tra Usa, Giappone e Corea del Sud. Joe Biden ha incontrato diverse volte il premier nipponico Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, che nella campagna per le elezioni dello scorso marzo aveva prefigurato raid in caso di «minaccia alla sicurezza».
Una volta eletto ha abbassato i toni, ma la linea dei conservatori è come da tradizione molto meno dialogante con Pyongyang e molto più filostatunitense.
A settembre, Kim ha risposto approvando una nuova dottrina nucleare, che esclude qualsiasi ipotesi di disarmo e apre all’utilizzo preventivo delle armi.
I rappresentanti di Seul hanno partecipato a diverse riunioni della Nato, compreso il summit di Madrid, e Yoon si è mosso per l’acquisto di nuovi sistemi antimissile Usa Thaad, che nel 2017 aveva portato a una crisi con la Cina, risolta dalla garanzia dell’ex presidente Moon Jae-in che non sarebbero stati effettuati altri ordini.
A SUA VOLTA la Corea del Nord è sempre più allineata alla Russia: dopo le voci sull’invio di armi a sostegno di Mosca per la guerra in Ucraina, ha riconosciuto i referendum di annessione.
Da mesi si parla di un possibile test nucleare nordcoreano cinque anni dopo il precedente. Recenti immagini satellitari mostrano una continua attività presso l’impianto di Punggye-ri, smantellato nel 2018 durante la fase di dialogo.
Secondo fonti di intelligence di Seul, il nuovo test potrebbe svolgersi a cavallo tra il XX Congresso del Partito comunista cinese (al via il 16 ottobre) e il Midterm Usa (8 novembre). L’impatto sarebbe destabilizzante su una regione che pare ormai avviata a una corsa agli armamenti.
Un attore fondamentale per un potenziale riavvio del dialogo con Pyongyang sarebbe la Cina. Pechino partecipò alla partita diplomatica dei negoziati che portò ai tre incontri tra Trump e Kim dopo i test nucleari del 2017. Ma cinque anni dopo Washington e Pechino sono invischiate in una contesa commerciale, tecnologica e strategica ad alta tensione.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.