Di recente si è molto discusso dei rapporti tra Unione Europea e Cina, sia alla luce degli accordi raggiunti in seguito al forte attivismo diplomatico-commerciale da parte di Pechino, che per via di una serie di documenti interni della diplomazia europea rivelati dal New York Times, che raccontano alcuni particolari rilevanti della relazione tra i due giganti.
Alcune settimane fa è arrivata la firma di un memorandum di intesa con il Portogallo per quanto riguarda la Nuova via della seta. Prima di Lisbona lo avevano sottoscritto anche Grecia e Ungheria. Negli ultimi tempi, però, i rapporti tra Unione Europea e Cina erano stati ondivaghi e non solo per responsabilità cinese. Pechino ha chiarito i suoi obiettivi: rafforzare le relazioni economiche con i Paesi dell’Unione Europea, ma a modo suo, cioè quasi sempre in termini bilaterali. Da parte dell’Unione Europea si osserva il consueto atteggiamento: non c’è, di fatto, né una politica estera, né una politica economica comune: ogni Stato europeo cerca il modo migliore per rapportarsi alla Cina.
La politica di Trump però ha cambiato qualcosa, come si è visto in occasione del summit tra Cina e Ue di questa estate, che si è svolto poco dopo l’affermazione del presidente degli Stati Uniti secondo il quale il vero nemico degli Usa sarebbe proprio Bruxelles. Non è un caso che nella dichiarazione finale firmata dal presidente della Commissione europea Juncker e dal premier cinese Li Keqiang ci siano continui riferimenti ai mercati aperti, liberi, trasparenti – in contrapposizione al protezionismo trumpiano. La dichiarazione include inoltre un protocollo relativo alle questioni climatiche e alla messa in opera del trattato di Parigi, dal quale Washington si è defilato. Senza parlare dei lusinghieri giudizi nei confronti del Wto, criticato da Trump e al quale la Cina si è appellata proprio per i dazi commerciali posti da Washington alle sue merci.
L’incontro si era quindi concluso con ottimi propositi, ma proprio in relazione a quel summit, alcuni leaks di comunicazioni riservate interne alla Ue pubblicati dal New York Times permettono di guardare con un altro sguardo ai rapporti tra Cina e Ue. I cable più importanti riguardano alcune considerazioni di Xi Jinping su Trump e Putin, alcuni scambi negoziali tra i leader di Cina e Bruxelles e infine la preoccupazione europea per l’attivismo cinese in Africa.
Quanto al primo argomento, come riportato anche dal Guardian, “il resoconto della cena della Ue” riporterebbe l’affermazione di Xi secondo cui “gli Stati Uniti si stanno comportando come se stessero combattendo in una partita di boxe senza regole”.
Washington – secondo il premier cinese Li Keqiang – sarebbe impegnata a fare a pezzi le regole di quel club mondiale cui la Cina ha aspirato così a lungo di fare parte. Li Keqiang riporterebbe inoltre che Xi Jinping avrebbe specificato che “gli Stati Uniti hanno gettato tutte le regole dalla finestra e imposto unilateralmente etichette agli altri senza fornire loro la possibilità di difendersi”. Secondo i documenti emergerebbe la volontà cinese di “fare causa comune con l’Ue nel difendere gli elementi di base del sistema commerciale internazionale basato sulle regole, contro l’instabilità causata dalle attuali azioni degli Stati Uniti”.
Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, avrebbe risposto che Cina e Ue “condividono l’interesse a difendere un ordine basato sulle regole”, pur sottolineando la mancata reciprocità cinese su molti temi (come ad esempio l’apertura del mercato).
Bruxelles avrebbe inoltre esplicitamente richiesto alla Cina di trattare la Ue come un’unica entità politica ed economica, anziché trattare bilateralmente con i singoli Stati, condizione preferita dai cinesi che nell’uno a uno possono far valere il proprio potere contrattuale.
Infine, nei documenti rivelati dal New York Times, c’è un focus sulla Cina in Africa. L’Ue avverte che “la politica estera assertiva di Xi ha un impatto sull’Africa. La Cina è più sicura di sé, con un maggiore controllo sull’economia e sulla società in generale. Fornisce un modello di sviluppo centrato sullo Stato come modello alternativo per i Paesi in via di sviluppo (la Cina è apertamente critica nei confronti della democrazia, considerata un modello obsoleto)”.
[Pubblicato su Eastwest]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.