Le proteste in Cina contro le restrizioni Covid degli scorsi giorni sono arrivate anche a Hangzhou. La testimonianza di uno studente aggiunge un tassello a un quadro complesso e ancora difficile da decifrare.
Ping Ai Road, cuore pulsante della città di Hangzhou, è stata scenario delle proteste studentesche che negli ultimi giorni si sono estese in diverse città della Cina. Lunedì 28 novembre la stazione metropolitana di Longxiangqiao è stata chiusa, isolando quella che è la principale via dello shopping della città, a pochi passi dall’iconico West Lake.
Gli studenti scesi a manifestare a Hangzhou, Shanghai, Wuhan, Pechino sono non solo esasperati dalle strette politiche anti-epidemiche, ma hanno anche alzato la voce per portare sotto i riflettori diverse problematiche. Disoccupazione giovanile, perdita di fiducia nei confronti del Partito, il voler godere di altre libertà: l’incendio di Urumqi ha acceso l’animo di una generazione giovane che da tempo spera in dei cambiamenti da parte di chi si trova al potere. China Files ha intervistato uno studente che ha partecipato alle proteste nella città di Hangzhou.
Che portata hanno avuto le proteste nella città di Hangzhou?
La polizia ha isolato la zona e chiuso la stazione della metropolitana più vicina subito dopo aver ricevuto la notizia delle proteste. Sono sceso alla stazione precedente, ma anche lì c’erano molte pattuglie. Quando sono arrivato sul posto, c’erano già alcuni manifestanti, ma non erano riuniti, bensì mescolati a turisti e pedoni. I manifestanti erano per lo più giovani, accompagnati da qualche persona di mezza età. Fingevano di essere passanti, ma si alzavano in piedi e gridavano quando era necessario. Ho osservato molti poliziotti in borghese e volontari vigilare su quello che stava accadendo attorno. Se si scattavano foto o video, poliziotti venivano immediatamente a sequestrarti il telefono. Hanno usato la scusa della prevenzione al covid per disperdere la folla.
A un certo punto è passata un auto suonando a tutto volume la celebre canzone del musical Les Misérables “Do you hear people sing?”. Abbiamo tutti iniziato a applaudire. Molti manifestanti sono stati arrestati dalla polizia, che è intervenuta con violenza nonostante le proteste fossero pacifiche.
Anche io sono stato seguito da un poliziotto in borghese dopo la fine della manifestazione, ma sono riuscito a sfuggirgli. Uscito dalla metropolitana un agente della polizia ha registrato il mio documento, non se questo mi porterà ad avere delle conseguenze.
L’episodio di Urumqi è stata la miccia che ha acceso le numerose proteste studentesche in tutta la Cina. Come ti è arrivata la notizia? E come è stata raccontata dai media?
Lo Xinjiang è stato chiuso per oltre 100 giorni a causa delle politiche anti-Covid, e gli operatori governativi hanno bloccato le porte delle case con il fil di ferro. Il rapporto ufficiale parla di 10 persone morte nell’incendio, ma in realtà le vittime sono state forse 40. Me lo ha detto un amico che abita nello Xingjiang. Quando le autopompe sono arrivate, ci sono volute quasi quattro ore per spegnere l’incendio perché la comunità aveva messo molte barricate sulla strada e molte auto occupavano l’accesso, ma i proprietari delle auto non potevano uscire a spostarle perché erano in isolamento. La morte di queste persone è stata interamente il risultato delle politiche zero-Covid.
Il nostro governo ha dichiarato in conferenza stampa che le porte non erano chiuse a chiave e che le persone dentro sono morte perché erano deboli. Questa è una vera e propria menzogna!
Da Wuhan a Pechino sono arrivate molte immagini che vedono estendere la protesta contro le restrizioni Covid ad altre misure restrittive imposte dal governo negli scorsi anni. È stato così anche a Hangzhou?
Sì, gli studenti hanno dato voce alle loro opinioni politiche esprimendo la loro insoddisfazione contro il governo, non solo per la politica anti-epidemica. Ad esempio, gli abitanti di Shanghai hanno gridato: “Il Partito Comunista deve dimettersi e Xi Jinping deve dimettersi.”
Oggi in Cina c’è un alto tasso di disoccupazione tra i giovani. A causa del declino dell’economia, molte aziende non riescono a reclutarli. Il tutto ha generato un forte risentimento tra i giovani nei confronti del partito al potere. Le politiche irragionevoli hanno inoltre indotto molte persone a cambiare idea sul Partito. Ho molti amici che mi hanno detto: “Un tempo ero molto favorevole al Partito Comunista, ma ora penso che il Partito Comunista stia sbagliando e non posso più continuare a sostenerlo”.
La generazione dei tuoi genitori capisce la ragione di queste proteste?
Alcune persone istruite lo capiscono e sostengono il nostro movimento. Ad esempio uno shūshu (signore) di mezza età con i pollici in alto mi ha urlato mentre stavo manifestando: “stai facendo un ottimo lavoro, sii sicuro di te!” È pure rimasto alla giusta distanza per proteggerci dalla polizia durante la manifestazione.
Altre persone, meno istruite, continuano invece a essere favorevoli al governo. Maggior parte della vecchia generazione si è opposta al nostro movimento, in parte perché ha ricevuto un messaggio diverso dalle fonti ufficiali del Partito e in parte perché ha paura della resistenza. Molte di queste persone hanno vissuto la rivoluzione culturale e gli eventi piazza Tienanmen. Anche se a dire la verità, ciò che interessa di più ai cinesi non è tanto il partito al potere o il sistema politico. Finché avranno soldi, cibo e alloggio, i cinesi saranno soddisfatti della loro vita.
Quale è la tua prospettiva sul futuro alla luce di queste proteste?
Questo è un movimento senza leader, quindi sicuramente finirà presto a causa della repressione del governo. Molte persone sono arrabbiate solo per l’irragionevole politica degli zero casi, e se questa viene cambiata e resa meno rigida, molte persone non continueranno a protestare. Ma qualunque cosa accada domani, almeno abbiamo fatto il primo passo e sempre più persone si stanno svegliando, il che è positivo.
Di Camilla Fatticcioni
Fotografa e studiosa di Cina. Dopo la laurea in lingua Cinese all’università Ca’ Foscari di Venezia, Camilla vive in Cina dal 2016 al 2020. Nel 2017 inizia un master in Storia dell’Arte alla China Academy of Art di Hanghzou avvicinandosi alla fotografia. Tra il 2022 e il 2023 frequenta alcuni corsi avanzati di fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. A Firenze continua a portare avanti progetti fotografici legati alla comunità cinese in Italia e alle problematiche del turismo di massa. Combinando la sua passione per l’arte e la fotografia con lo studio della società contemporanea cinese, Camilla collabora con alcune testate e riviste e cura per China Files una rubrica sull’arte contemporanea asiatica.