Proteste anti-giapponesi: il Partito non c’entra (forse)

In by Simone

Negli ultimi giorni centinaia di manifestanti hanno protestato di fronte alle principali sedi istituzionali giapponesi in Cina.

Il 7 settembre scorso, un peschereccio cinese era stato fermato dalla guardia costiera giapponese al largo delle isole Diaoyu, arcipelago conteso da Cina e Giappone sin dagli anni ’70, quando si scoprì un giacimento di petrolio poco lontano dalle coste del gruppo di isole in questione. Accusati di pesca in territorio giapponese, l’equipaggio è stato trattenuto dalle autorità giapponesi fino al 13 settembre, quando a seguito delle pressioni diplomatiche cinesi, ne è stato acconsentito il rilascio ed il rimpatrio dell’imbarcazione.

Il capitano del peschereccio è tuttora trattenuto dalla polizia giapponese, in attesa che le indagini chiariscano la vicenda.

Come facilmente intuibile, viste le relazioni storicamente tese tra i due Paesi, il sentimento anti-giapponese misto al nazionalismo ed alla “difesa del territorio” hanno spinto centinaia di giovani, in gran parte universitari, a sfogare nelle strade la loro protesta. Al 19 di settembre, si registrano manifestazioni davanti ad ambasciate o consolati giapponesi a Pechino, Shanghai, Xian, Shenzhen, Hong Kong, Chengdu e molte altre città: da nord a sud, una parte molto rappresentativa della gioventù cinese, cresciuta col mantra della grandeur della Repubblica Popolare ed abile ad organizzarsi tramite internet, ha preso parte attiva nella trattativa tra le alte sfere diplomatiche sino-giapponesi, proprio a ridosso del 18 settembre, data tristemente nota nella storia cinese.

Il 18 settembre del 1931 è infatti ricordato come l’inizio della guerra sino-giapponese, ferita ancora aperta per quella che qui è percepita come un’umiliazione nazionale.

La vicenda, a detta di molti analisti questione di normale amministrazione diplomatica, svela dei risvolti interessanti per entrambe le potenze asiatiche: se il premier Naoto Kan, appena rieletto in Giappone, deve mostrare i muscoli al proprio elettorato cercando di mantenere le proprie posizioni, da sponda cinese si osservano ancora una volta dei fenomeni spontanei di rivendicazioni nazionaliste che esulano dal controllo diretto del Partito comunista cinese.
Secondo le ammissioni degli studenti riportate dai principali media cinesi, le manifestazioni sono infatti state organizzate su internet, senza nessun input diretto da parte dell’apparato propagandistico nazionale.

E l’informazione cinese, alle dipendenze dirette del governo ed in passato aizzatrice instancabile del sentimento di coesione nazionale, si trova adesso a dover buttare acqua sul fuoco, a predicare la calma in editoriali del calibro di “La Cina ha bisogno di mente fredda in situazioni scottanti”.

L’impressione è che una certa fetta di popolazione, giovane ed istintiva reduce da anni di propaganda martellante ed unificata dalla diffusione di internet nel continente, stia emergendo come entità indipendente dalle manovre governative, spinta da un ipernazionalismo “di pancia” che sempre più tende a sfuggire alle necessità della realpolitik di Pechino: nel graduale processo di maturazione verso il ruolo di potenza mondiale, il Partito potrebbe aver scoperto un nuovo ed inedito problema interno, confezionato con le proprie mani.

[Foto da http://d.yimg.com]