Il presidente Usa dal Giappone lancia la sfida del Piano economico indo-pacifico e avverte: «La Cina sta flirtando con il pericolo». Poi commette l’ennesima «gaffe» su Taiwan.
Se tre indizi fanno una prova, ora sappiamo che forse gli Stati uniti interverrebbero militarmente in caso di aggressione a Taiwan. O quantomeno questo è il messaggio che vuole dare Joe Biden. Ieri, durante la conferenza stampa congiunta col premier giapponese Fumio Kishida, ha risposto così a una domanda sul possibile intervento militare nell’ipotesi di un’invasione cinese: «Sì, questo è l’impegno che abbiamo preso». Aggiungendo: «Siamo d’accordo con la politica dell’unica Cina, ma l’idea che Taiwan possa essere presa con la forza non è appropriata». Avvisando inoltre Pechino che sta «flirtando con il pericolo», in riferimento alle incursioni aeree e a «tutte le manovre» che sta effettuando.
PROPRIO IERI SONO STATI RILEVATI 14 velivoli militari cinesi nello spazio d’identificazione di difesa aerea taiwanese (non riconosciuto da Pechino). Ennesimo botta e risposta che dimostra che sul tema di Taiwan non si negozia.
Si tratta della seconda volta in pochi mesi in cui Biden parla di un impegno nella difesa militare di Taiwan. Le prime due uscite erano state bollate come «gaffe», complici gli immediati chiarimenti della Casa bianca sul fatto che la politica americana sullo Stretto non fosse cambiata. Anche stavolta è stata ribadita la stessa cosa. I rapporti tra Washington e Taipei si basano sulla celeberrima «ambiguità strategica» per la quale gli Usa si impegnano a tutelare la difesa taiwanese (per esempio attraverso la vendita di armi) senza stabilire l’obbligo di intervento diretto in caso di conflitto. Anche se da sempre l’impegno di Washington è quello di tutelare lo status quo. Quello status quo che da qualche tempo entrambe le potenze coinvolte in questo gioco a scacchi vedono minacciato dalle manovre o dalle parole del rivale.
SECONDO LA CNN, gli alti funzionari sarebbero stati «colti alla sprovvista» dalla dichiarazione di Biden. Ma pare ormai limitativo bollare le sue uscite come «gaffe». È proprio alle smentite o precisazioni che va forse fatta la tara. L’ambiguità viene superata prima nella realtà che sulla carta. Il messaggio di Biden è arrivato sia a Pechino, con finalità di deterrenza, sia a Taipei, con finalità di rassicurazione. Così come era accaduto dopo l’Afghanistan, dopo l’Ucraina Biden comunica che l’Asia-Pacifico, la contesa con Pechino e, dunque, Taiwan sono la priorità. Anche perché questa volta il messaggio è stato lanciato dal Giappone, il paese più deciso non solo nel seguire gli Usa ma anche a costruire un’architettura asiatica alternativa a quella cinese. Nelle scorse settimane, l’ex premier Shinzo Abe aveva chiesto alla Casa bianca di archiviare l’ambiguità strategica su Taiwan. Tokyo considera l’indipendenza de facto di Taipei come elemento di sicurezza nazionale, vista la prossimità geografica delle prime isole del suo arcipelago, comprese le Senkaku/Diaoyu contese.
TAIPEI, TRA LE CRESCENTI pressioni della Repubblica popolare e i tentativi americani di spezzare il cordone tra le due sponde dello Stretto, si sente più esposta e il governo Dpp non disdegna un’ambiguità meno ambigua. Anche se Taiwan incassa la delusione (per ragioni geopolitiche) dell’esclusione dall’Indo-Pacific Economic Framework, al quale hanno aderito in 12. Oltre a Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda ci sono tutti i paesi dell’Asean tranne Cambogia, Laos (quelli più “filo cinesi”) e il Myanmar dei generali. Ma in realtà nei governi del Sud-Est c’è qualche insoddisfazione per la poca chiarezza sugli investimenti e sul focus sulla sicurezza di cui è intriso il viaggio asiatico di Biden. L’Asean non vuole partecipare a iniziative anti cinesi, come dimostra Singapore che ha ha aderito all’Ipef (che non è un accordo di libero scambio) chiedendo contestualmente l’ingresso della Cina nel Tpp (il partenariato transpacifico).
Anche l’India ha rotto gli indugi. Un po’ a sorpresa dopo il mancato ingresso nel Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep, che include Pechino) ma dando un segnale di volontà a cooperare a livello commerciale dopo le delusioni inferte a Washington per la posizione non allineata sull’invasione russa. Sempre più allineato invece il Giappone, con Kishida che nel bilaterale con Biden non si è tirato indietro dal citare «il comportamento coercitivo» di Pechino nell’Asia-Pacifico, «contrario al diritto internazionale».
BIDEN RINGRAZIA dicendosi favorevole all’inclusione permanente di Tokyo nel consiglio di sicurezza dell’Onu. Oggi si chiude la visita con il summit del Quad. Secondo il Financial Times, verrà annunciata una nuova iniziativa marittima congiunta volta a contrastare la pesca illegale nei mari cinesi. Al servizio del programma sarebbe messa a disposizione tecnologia satellitare. Nel mirino, ancora una volta, Pechino. Gli indizi sono forse anche più di tre.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.