Opportunità, sbocchi professionali, occasioni: la Cina offre tanto ma chiede qualcosa in cambio. Ne parliamo con Amedeo Scarpa e Luca Cavallari.
Amedeo Scarpa è il Direttore dell’ICE di Pechino, ovvero l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. In seguito alla laurea in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma, indirizzo internazionale, si specializza in ambito economico, diritto amministrativo, marketing. Nel 1992 entra in ICE come funzionario, occupandosi di promozione della meccanica strumentale italiana. Da qui prende forma la sua carriera all’interno dell’agenzia. Accumulata la giusta esperienza, dieci anni fa supera il concorso per diventare dirigente, con mansioni relative a strategie e gestione della rete estera dell’allora Istituto, nel frattempo diventato agenzia. Nel novembre 2015 sbarca in Cina in qualità di direttore dell’Ufficio ICE di Pechino e coordinatore della rete nella Repubblica Popolare Cinese.
Luca Cavallari è un consulente che vanta una lunga esperienza nel settore della vendita al dettaglio in Europa e Cina. Ha trascorso gli ultimi 14 anni proprio in Cina, dove ha assistito i marchi europei nel rafforzare la loro presenza nel mercato cinese. Luca si laureato in Bocconi e ha lavorato per Deloitte e Value Partners Management Consulting. È un imprenditore da circa 8 anni e offre consulenza strategica nel settore del fashion. “La scelta di arrivare in Cina è maturata tanti anni fa – ricorda Luca – è stata un”opportunità dopo aver lavorato alcuni anni in Italia. Nel 2005 la Cina era diversa ma si poteva già intuire il suo roseo futuro”.
La Cina è un mercato importantissimo. “È la seconda economia al mondo, a parità di potere di acquisto avrebbe già superato gli Stati Uniti. Dico sempre che sul globo esistono due mondi: la Cina e il resto del mondo. Il mercato cinese rappresenta una sfida enorme, la più grande che mi sia capitata nei miei primi 25 anni di ICE” sottolinea Amedeo Scarpa. L’ICE è l’Agenzia del Governo Italiano che si occupa di promozione del Made in Italy sui mercati esteri e delle sue aziende, sia piccole che medie.
I primi anni di lavoro in Cina, per Scarpa, sono stati coinvolgenti e travolgenti. “Questo paese ti chiede tutto a una velocità pazzesca – afferma – ma quando hai impostato un piano strategico preciso e lo hai declinato per la realtà cinese, secondo modelli operativi sintonici con il suo mercato e, per la comunicazione/promozione, con gli strumenti e canali tipici che ha la Cina, i risultati arrivano con numeri inimmaginabili in qualsiasi altra parte del pianeta”. Anche Luca Cavallari ricorda i suoi primi passi in terra cinese: “Ho sempre lavorato nel settore delle consulenze, sia come consulente che imprenditore. Una delle società che avevo formato nel passato rappresentava brand di lusso e medio livello, tutti italiani. Abbiamo aperto molti negozi ma era molto difficile perché uno straniero ha difficoltà ad accedere al credito”.
Amedeo Scarpa ha notato che il consumatore cinese è global ma mantiene “caratteristiche cinesi”. È impossibile, o molto complicato, attirare l’attenzione dei potenziali consumatori cinesi senza aver mai studiato Confucio.
“Più del 50% della domanda, qui in Cina, è espressa da acquirenti che si informano utilizzando il telefonino. 900 milioni di cinesi hanno un profilo WeChat – dice Scarpa – Facebook e Twitter sono bloccati e non servono a niente, così come predisporre un sito web per promuovere la tua azienda o i tuoi prodotti, nemmeno se lo realizzi in cinese”. La Cina ha insomma saltato la fase del pc a favore dello smartphone. Ecco che appare più efficace una comunicazione pull tramite WeChat. Luca Cavallari aggiunge un altro aspetto: “Se prima i cinesi acquistavano a prezzi alti solo nella Cina continentale, oggi viaggiano tantissimo. Quindi, chi investe in Cina nel mercato del fashion, non lo fa solo per quel che sono gli acquisti fatti nel paese, ma per tutto il travelling business che è immenso. Oggi i cinesi acquistano ovunque”.
Dicevamo delle riforme economiche e politiche avvenute in Cina. Grazie all’apertura voluta dal governo il bene di lusso è entrato nel mercato cinese e si è sviluppato rapidamente. C’è subito una particolarità che merita di essere menzionata. “Di solito – spiega Scarpa – questo mercato diventa maturo dopo anni di sviluppo. L’impulso dei consumatori tende a calmarsi ma i cinesi stanno ancora guidando il trend positivo di crescita in tutto il mondo”. La quota di spesa globale dei consumatori cinesi per il lusso al di fuori della Cina è stimata al 33% della spesa globale. Nel 2017 si attestava intorno al 32%. Per quanto riguarda la stessa quota, ma inerente alla Cina continentale, siamo attualmente al 9%, rispetto all’8% del 2017.
Il consumatore cinese attuale, compreso quello di prodotti di lusso, è molto più attento di prima al valore di ciò che compra. Il brand è importante, ma anche la qualità. Addirittura il “consumatore globale con caratteristiche cinesi” è disposto a pagare un extra prezzo se nel prodotto che intende comprare ritrova dei valori a lui consoni. Ma quali sono i valori fondamentali della cultura cinese? Secondo Scarpa sono due. Il collettivismo e la sostenibilità. “Un certo prodotto – ci spiega – deve essere riconosciuto come vantaggioso non solo per me, ma anche per chi mi è caro e mi circonda: la mia famiglia, i miei amici, la società in cui vivo. Inoltre due terzi dei cinesi oggi si dichiarano ambientalisti e puntano alla sostenibilità”. Questa caratteristica è tipica di un mercato che si sta avvicinando sempre di più – almeno per quei circa 250 milioni di cinesi considerati fascia media e medium-higher spender – ai modelli occidentali.
Il settore del lusso deve fare i conti con alcune, inevitabili, complicazioni. La prima e più sorprendente è quella rappresentata dal comportamento delle giovani generazioni. I millennial, a differenza di chi acquista soltanto articoli di lusso, amano abbinare e mescolare prodotti. “Circa il 55% degli appartenenti a questo gruppo – continua il Direttore dell’ICE – abbina diversi prodotti”. Un esempio? Scarpe di lusso a magliette o borse di marche più economiche. Alcuni consumatori sembrano avere la necessità di creare il proprio stile, eppure i millennial sembrano essere la generazione con il più alto grado di fedeltà alla marca. Un’altra difficoltà è data dai diversi canali di vendita, che sempre più spesso sono online. Social media, passaparola e influenze sono le fonti più utilizzate dai cinesi per orientarsi nei loro acquisti. “Considerando il tempo medio che i cinesi spendono nei social media – conclude – i marchi di lusso dovrebbero aumentare la loro quota di attenzione all’ecosistema digitale. Sarà fondamentale, per i marchi, trovare un modo efficace di lavorare all’interno di questo ecosistema per indirizzare il traffico verso i loro siti web, fornendo ai consumatori cinesi un’esperienza di acquisto integrata e senza interruzioni”. Luca Cavallari rileva alcuni limiti per quanto riguarda il punto di vista finanziario. “Trovare le giuste persone che possano gestire la società in Cina è molto complicato. Serve un certo tipo di esperienza e mandare un manager senior dall’Europa è difficile perché ci metterà 3-4 anni prima di adattarsi e capire il contesto. Inoltre c’è da fare i conti con l’e-commerce. I brand devono costruire una politica di e-commerce insieme a quella dei negozi. Il retail sta poi calando e investire nelle città minori è più complesso rispetto a qualche anno fa”.
Chi volesse farsi largo nel settore del commercio, proponendo prodotti di lusso nel mercato cinese, deve necessariamente avere delle skill ben precise. Secondo Scarpa è fondamentale studiare il cinese. “Si tratta di una competenza basilare da associare a quelle in comunicazione e marketing digitale, oltre alla conoscenza di WeChat e altre piattaforme social cinesi. Consiglio di completare percorsi di specializzazione in commercio internazionale dedicati alla Cina, magari seguendo una delle offerte formative di ICE Agenzia (tutti i dettagli qui: https://www.exportraining.ice.it/en/)”. Oggi è comunque difficile per un giovane pensare di andare in Cina. Come spiega Cavallari “ci sono politiche di visto restrittive. Servono almeno tre anni di esperienze lavorative. Nel settore del lusso sono ricercate particolari competenze. A livello di top management tutte le società tengono stranieri in determinate posizioni, escluso retail, developer e simili. Per i giovani vedo figure più interessanti nel gestire negozi di merchandising. I cinesi oggi non sono ancora come gli italiani anche se stanno evolvendo le loro competenze molto in fretta”.