In questa situazione non stupisce che molti scelgano la via dell’estero in cerca di nuovi stimoli e opportunità. La Cina è una delle destinazioni per un legale che può scegliere di esercitare la professione in uno dei principali studi italiani che hanno filiali cinesi o nelle grandi law firm internazionali presenti nel paese e riconosciute dal Ministero della Giustizia cinese. Sempre più sono poi gli studi cinesi che impiegano personale straniero. A completare il quadro vi sono i servizi di consulenza legale, erogati dalle numerose società di servizi nate nel paese per seguire gli investimenti esteri.
Tra quelli che la via Cinese l’hanno presa per primi c’è Hermes Pazzaglini oggi responsabile dello studio di Shanghai di NCTM. Approdato in Cina nel 1991 per un corso di composizione cinese, dopo una laurea in giurisprudenza a Milano, si ferma in Cina fino al 1994, quando punta verso Hong Kong dove inizia la pratica in un grande studio americano.
Con lui altro pioniere del mondo legale in Cina è Claudio d’Agostino, milanese e Partner di DLA Piper a Shanghai. Si avvicina alla Cina del post-Tiananmen con curiosità, sceglie l’America ma poi si ritrova in un campus di solo cinesi e qualche dubbio gli viene. A fugarlo del tutto ci pensa un professore di diritto dell’università di Milano:
Racconta d’Agostino “mi disse queste precise parole: noi avvocati eravamo una casta, siamo diventati una classe, diventeremo una categoria. Credo che a quell’epoca gli avvocati iscritti all’ordine di Milano non superassero i 5,000!”
Risponde quindi a un’inserzione in università e l’incontro con il compianto Luca Birindelli, primo avvocato italiano ad arrivare in Cina, che lo vuole con sé per aprire una filiale del suo studio a Shanghai.
Lo scenario che si presentava a un giovane avvocato italiano nella Cina della fine degli anni ’90 era tanto esaltante quanto stupefacente nella diversità con l’ordinamento e la pratica della professione in Italia. Lo descrive bene Pazzaglini: “La maggior parte degli studi legali cinesi erano uffici pubblici comunali, l’esame da avvocato si passava studiando sei mesi su dei manualetti e giudice si diventava per nomina politica”.
Niente di più lontano dalla nostra idea di diritto, e proprio questa distanza attirò i primi legali stranieri che, privi di una vera concorrenza locale, in breve tempo si trovavano ad assistere una clientela straniera per cui era fondamentale avere una guida che li consigliasse e guidasse nei meandri della legge e della burocrazia cinese.
“Erano anni incredibili, ma non solo per il lavoro anche dal punto di vista del diritto eravamo all’anno zero“ racconta d’Agostino, evocando l’immagine di una Shanghai, metropoli imprigionata nel ghiaccio geologico della storia che le si andava lentamente scongelando intorno.
Quando si parla di Cina ci si trova spesso a rimpiangere il passato, un’epoca d’oro dove tutto sembrava facile ma in realtà non lo era. Lo conferma Alessandro Roda Bogetti, of counsel di Ds Avocats che in Cina arriva alla fine del 2006 per aprire il desk italiano della realtà francese.
“Sono arrivato che era ancora l’epoca delle aperture di nuove produzioni in Cina, fase che finì negli anni successivi l’Expo di Shanghai del 2010. Appena trasferito mi ritrovai a trattare un caso complesso di joint venture con una controparte cinese che non conosceva una parola di inglese, sapeva poco di diritto societario, e non intendeva farsi assistere da un suo legale. La complessità non stava certo negli aspetti giuridici, le soluzioni venivano trovate discutendo a tavolino con le autorità locali”.
Ed è proprio questo ruolo di snodo e negoziazione che il legale italiano può svolgere in Cina. “Si opera da interpreti di concetti che si sono formati ed evoluti nel tempo e che necessitano di essere trasfusi un sistema giuridico differente” spiega d’Agostino. “Quando assistiamo un cliente straniero capiamo prima e meglio quello che vuol fare, e gli riportiamo velocemente quelle caratteristiche locali uniche che sappiamo non essere scontate per chi non conosce il contesto”, aggiunge Roda Bogetti.
Nel frattempo i cinesi non sono rimasti a guardare, il settore dei servizi legali, almeno per la categoria degli studi d’affari, si è fortemente evoluto ispirandosi al modello anglosassone – importato dai giovani studenti cinesi che, dopo gli studi, hanno frequentato master presso università americane e inglesi – fino ad arrivare all’assetto attuale con gli studi legali divenuti entità private e gli avvocati professionisti indipendenti. Bisogna riconoscere che un ruolo in questa evoluzione l’hanno avuto anche gli avvocati stranieri che come dice d’Agostino “sono stati in qualche modo il lievito culturale per gli studi locali”.
Nonostante l’avvicinamento ai modelli nostrani, rimangono comunque forti differenze tra avvocati cinesi e stranieri che generano la peculiarità di una professione che, se esercitata oltre muraglia, assume sfumature nuove. Racconta Pazzaglini: “Per gli avvocati cinesi, i limiti della professione legale sono i limiti nello sviluppo della certezza del diritto che però resta legato al potere politico. I giudici non si ritengono indipendenti dall’esecutivo. I funzionari pubblici impongono prassi amministrative che in Europa sarebbero ritenute illecite. In pratica, non è permessa all’avvocato cinese un’attività troppo aggressiva, che in qualche modo sfidi l’autorità costituita in nome della legge”.
In questo contesto quale lo spazio d’azione per un avvocato straniero “è limitato ma fondamentale”, commenta Roda Bogetti. “Solo gli studi cinesi possono esercitare la professione senza limiti. Gli studi legali stranieri, costituiti come uffici di rappresentanza di studi situati in altri paesi, sono limitati nella loro operatività e per questo non assistono le società cinesi ma solo quelle straniere. Possono pertanto praticare il diritto di altro paese o il diritto internazionale. Anche un avvocato di nazionalità cinese assunto presso un ufficio legale straniero è soggetto a tali limiti”.
Come può inserirsi un giovane avvocato con una formazione italiana o europea?
Permangono oggi ostacoli regolamentari e di mercato. “Il visto di lavoro è possibile solo per avvocati che siano iscritti da almeno due anni a un albo nel loro paese – cosa che penalizza i neolaureati che vogliano cominciare un percorso professionale” dice d’Agostino. Il sistema legale cinese è divenuto più sofisticato e complesso, la giurisprudenza si è evoluta soprattutto in settori riformati che hanno visto incrementare il livello di litigiosità come il diritto del lavoro e la proprietà intellettuale. Il mercato è sempre più competitivo e un giovane cinese, laureato in legge, e spesso con un master all’estero, è ovviamente molto più fruibile di qualsiasi avvocato straniero. I motivi sono molti: preparazione, lingua, dimistichezza con il sistema.
Ormai la conoscenza della lingua cinese è essenziale ma non più sufficiente per farsi largo in questa professione. “Lavorare in mandarino è requisito minimo, pertanto consiglierei di iniziare a studiare presto la lingua e cercarsi un master in legge in Asia, oggi ce ne sono diversi e di ottimo livello“ dice Roda Bogetti. Settori nuovi come il diritto ambientale, il diritto delle nuove tecnologie, big data, blockchain, privacy e la cybersecurity recentemente normata, sono tutti campi da esplorare.
Oggi non ci sono più le opportunità di una quindicina di anni fa. “Qualche storico elefante è rimasto, ma siamo probabilmente le vestigia di un mondo che è destinato a scomparire” commenta d’Agostino.
Un consiglio per uno dei 24mila avvocati italiani che voglia lasciare l’Italia?
“Andare alla ricerca di quella che potrebbe essere la Cina di 20-30 anni fa, da qualche parte nel mondo”.