«Sono determinata a diventare quella che beve più acqua minerale e che consuma più carta igienica sul luogo di lavoro», ha scritto su Weibo, piattaforma cinese di microblogging, una giovane di Shanghai. Si firma Massage Bear, ha raggiunto il mezzo milione di follower e promuove una filosofia lavorativa sintetizzata dall’espressione «moyu», «battere la fiacca»: lavorare quanto basta per non creare pretesti di licenziamento, prendersi molte pause, rifiutarsi di fare gli straordinari.
A Quartz, Massage Bear, che non intende rivelare la propria identità, afferma che questo «culto della pigrizia» è una ribellione silenziosa alla cultura del superlavoro, rappresentata dall’ormai noto «orario 996» – dalle nove di mattina alle nove di sera, per sei giorni alla settimana – decantato per essere l’unica via al raggiungimento del successo personale, malgrado vari studi abbiano dimostrato che chi lavora con questi ritmi è più incline al burnout. «Moyu» letteralmente significa «prendere i pesci» e deriva da un chengyu, uno di quei proverbi tradizionali composti da quattro caratteri, che si traduce all’incirca: «nelle acque fangose è più facile catturare i pesci». La morale è che bisogna approfittare di una situazione di crisi per inseguire un guadagno personale.
Le criticità tipiche della generazione Z, coloro nati negli anni ’90, si individuano in un mercato del lavoro sempre più competitivo e nell’impossibilità di replicare i successi delle generazioni precedenti. Per gli 8,7 milioni di nuovi laureati del 2020 le prospettive di carriera sembrano essere limitate, anche se secondo la narrativa del governo il rapido sviluppo della Cina sta continuando ad aprire nuove opportunità per chi si affaccia al mondo del lavoro. Perfino uno dei settori leader del paese, quello tecnologico, ha registrato negli ultimi anni un rallentamento del tasso di crescita, nonostante nel 2019 il governo locale affermasse che nel quartiere di Zhongguancun di Pechino nascevano ottanta start-up tecnologiche al giorno. La situazione si è aggravata a causa del Covid-19: molte attività legate ad internet sono state duramente colpite e hanno risposto con licenziamenti e blocchi delle assunzioni.
Dal post di Massage Bear si apprende che alla base dello scontento dei giovani cinesi del ceto medio vi sono i salari insufficienti, che non permettono loro di realizzarsi. Da un rapporto del 2019 di Zhaopin, importante agenzia di reclutamento online, è emerso che il 60 percento dei laureati che ha trovato un impiego ha guadagnato lo stesso o meno di un lavoratore migrante o di un addetto alle consegne.
I «colletti bianchi» approdano sui social e si raccontano più o meno sarcasticamente come «poveri e brutti». Tra le altre espressioni usate per identificare sé stessi, è divenuta virale «dagong ren», termine che generalmente indica il lavoratore migrante che giunge in città dalla campagna, lavorando come dipendente e, condizione caratterizzante, soffrendo la precarietà e l’incertezza. Già nel 2016 l’espressione «cultura sang» era stata coniata per raccontare la mancanza di motivazione e un atteggiamento apatico nei confronti della vita delle nuove generazioni.
Il disallineamento tra le aspettative della generazione Z e le condizioni attuali ha anche reso popolare il concetto di «involuzione» (neijuan). In origine utilizzato dagli antropologi in agricoltura per descrivere i processi che impediscono alle società agrarie di progredire, su Weibo oggi sta a indicare genericamente qualsiasi difficoltà e paradosso della vita moderna: nel caso dei giovani in cerca di lavoro, è la rappresentazione che una migliore istruzione o competenze aggiuntive non garantiscono migliori prospettive di carriera. Alla base della rivoluzione silenziosa del «moyu» pare trovi spazio una riflessione ben più profonda del solo scontento economico. Molti condividono la mancanza di interesse nei confronti della competizione sul luogo di lavoro e smascherano come inutile il perseguimento delle tradizionali nozioni di successo.
Dibattiti di questo tipo potrebbero porre le basi per una seria messa in discussione delle attuali relazioni di potere in ambito lavorativo: non sono rare degenerazioni quali l’utilizzo di sanzioni per chi usa il bagno più di una volta al giorno o di cuscini tecnologici che monitorano il dipendente. Lo avvertono quando deve sgranchirsi le gambe ed allo stesso tempo comunicano al datore di lavoro se osa prendersi troppe pause.
In uno scenario in cui il lavoro straordinario è una pratica diffusa, tuttavia, l’accenno a «far meno» si scontra con una forte pressione sociale ed emotiva, data dalla percezione, afferma Xiang Bao, docente della Oxford University, che agire in questo modo possa figurare come un tradimento nei confronti delle aspettative familiari.
Di Vittoria Mazzieri*
**Vittoria Mazzieri, marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea che verte sul caso Jasic. Più volte in Cina sia per studio che per diletto, ha maturato negli anni una forte attrazione per gli sviluppi poco sereni dell’attivismo politico dal basso del “paese di mezzo”.
[Pubblicato su il manifesto]