Obiettivo: agganciare la rivoluzione dello shale gas. A inizio settembre la Shaanxi Yanchang Petroleum ha finalizzato l’acquisto della canadese Novus Energy. Per la società cinese vuol dire l’accesso a metodi più sofisticati di estrazione e a tecniche di frantumazione idraulica e perforazione verticale.
Sebbene l’esperienza canadese aiuterà i cinesi a perfezionare le tecniche, la Repubblica popolare “è ancora distante“anni” dall’acquisire capacità tali da produrre tanto gas intrappolato nelle formazioni rocciose quanto ne vorrebbe, scrive Stratfor.
I successi della Shaanxi Yanchang Petroleum in casa, e potenzialmente all’estero, sono tuttavia notevoli e possono fare da volano a una maggiore concorrenza in un’industria lucrativa come quella dello shale gas.
D’altronde, osservatori della realtà cinese come l’editorialista del Sole24ore Francesco Sisci hanno più volte sottolineato le ricadute strategiche che l’uso di questa risorsa sta avendo.
La possibilità che gli Usa diventino indipendenti energeticamente entro i prossimi quattro o cinque anni grazie allo shale gas fa sì che il caos nella regione del Medio Oriente, da cui Pechino importa gran parte del petrolio per soddisfare la sua sete di energia diventi “un’eredità tossica per i cinesi”, scrive l’Asia Times Online, ripreso da Limes.
Concetti già espressi a maggio sul quotidiano di Confindustria, quando nella capitale cinese si incrociarono, senza incontrarsi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen, spingendo Pechino a dirsi disposta a organizzare un faccia a faccia.
Secondo le stime del ministero per il Territorio e le Risorse, la Cina ha riserve di shale gas tecnicamente recuperabili pari a 25mila miliardi di metri cubi, il 50 percento in più degli Stati Uniti. Sviluppare la produzione di shale gas aiuterebbe la Cina ad affrancarsi dalla dipendenza dal gas importato dalla Russia e dall’Asia centrale.
Secondo quanto riporta Reuters, se gli Stati Uniti sono al momento irraggiugibili perché continuano a beneficiare dell’essere stati primi nel riconoscere le potenzialità dello shale gas, Pechino rischia di rimanere indietro anche rispetto all’Australia. Le difficoltà sono sottolineate dal Wall Street Journal che riferisce dei progetti della Royal Duch Shell in partnership con la China National Petroleum Corp.
Il colosso petrolifero anglo-olandese ha intenzione di investire un miliardo di dollari l’anno per lo sviluppo delle energie non convenzionali in Cina, ma, scrive il quotidiano del gruppo Murdoch, si trova a dover affrontare problemi burocratici, politici e fisici, ad esempio la vicinanza dei giacimenti a centri densamente popolati e la preoccupazione degli abitanti.
L’iniziativa della Shaaxi Yanchang Petroleum apre tuttavia nuove prospettive. Per grandezza, ricorda Stratfor, si tratta della quarta compagnia energetica del Paese. Ma a differenza delle “Tre grandi” – Sinopec, China National Offshore Oil Corp. e PetroChina – non è legata al governo centrale, ma a quello provinciale dello Shaanxi ed è perciò uno strumento politico dei funzionari locali.
La società può tentare di rompere lo strapotere delle tre rivali, approfittando dello scandalo che sta investendo il settore petrolifero cinese nell’ambito della campagna anti-corruzione lanciata dalla nuova dirigenza e che ha colpito i vertici della China National Petroleum Corp. Un’operazione di pulizia che, a detta di molti osservatori, può essere il viatico di riforme nella gestione delle grandi aziende di Stato, che trovano resistenza all’interno del Partito.
Nell’ultimo decennio la società dello Shaanxi ha rafforzato la sua posizione ed è stata all’avanguardia nell’estrazione dello shale gas in Cina, con primi progetti datati 2008, con la decisione della Commissione nazionale per le Riforme e lo Sviluppo di istituire una zona pilota proprio nello Shaanxi.
Se il fine ultimo dell’acquisizione di Novus è lo sfruttamento dello shale gas, le competenze canadesi possono essere usate nell’immediato per estendere la vita dei giacimenti.
Scegliendo una società canadese i cinesi, o meglio una società legata a una provincia della Cina, hanno inoltre aggirato la riluttanza statunitense a fornire tecnologia oltre Muraglia, un atteggiamento che ha bloccato anche le “Tre grandi” nelle attività in America settentrionale.