Vi sembra che sia un bel gesto mettere a bollire un essere vivente innocuo e del tutto pacifico per ringraziarlo di un servizio raffinato e prezioso? La domanda non sembri di puro stampo buonista, bensì un invito alla riflessione sull’ingratitudine e la ferocia dell’Uomo, pronto a sacrificare chiunque e abdicare qualunque principio per il proprio benessere.
L’essere di cui parliamo è un tranquillo e simpatico vermetto (il Bombix mori), che, come tutti i lepidotteri, attraversa gli stadi di metamorfosi da uovo a larva, a crisalide, fino a farfalla. Dico “attraversa” ma avrei dovuto dire “potrebbe attraversare” perché allo stadio di crisalide, è sottoposto ad alte temperature e muore in modo atroce. Questa orribile fine gli è riservata perché ai lati del canale intestinale, il Bombix mori vi sono due ghiandole che producono una bava proteica che dà origine a una fibra idrofoba dalle stupefacenti caratteristiche di resistenza, elasticità, termoprotezione, lucentezza e con proprietà anallergiche. Questa fibra filiforme è la seta.
Prodotto il filo, con esso la crisalide tesse intorno al proprio corpo un bozzolo protettivo che in seguito lacererà per uscire alla luce sotto forma di farfalla. Per evitare la rottura del filo, ecco che interviene l’Uomo: sottopone il bozzolo a vapore e poi lo immerge in acqua bollente interrompendo, così, la metamorfosi dell’animale. La crisalide-quasi-farfalla muore, il filo di seta è salvo.
La seta, è un prodotto che nasce in Cina. È nel delta del fiume Yangzi 扬子, nel sito della cultura tardo-neolitica di Lianzhu 良渚 non lontano da Shanghai 上海 che, oltre a raffinati reperti di lacca, giada e avorio, è stato ritrovato anche il più antico frammento di seta datato al 2570 a. C. La leggenda vuole che a scoprire questa fibra sia stata l’imperatrice moglie dell’Imperatore Giallo (Huangdi 黃帝, uno dei mitici fondatori della civiltà cinese che avrebbe regnato per cento anni proprio attorno alla metà del terzo millennio a. C.): secondo una delle versioni del mito, un bozzolo di Bombix mori sarebbe caduto da un albero di gelso (delle cui foglie si nutre esclusivamente la larva), direttamente nella tazza di tè bollente della sovrana che avrebbe poi recuperato il filo e l’avrebbe tessuto.
La seta è stata da sempre un prodotto cinese, e la sua tecnologia è rimasta segreta per quasi tre millenni, protetta da leggi severissime che condannavano a morte chi l’avesse divulgata e anche chi avesse esportato i bachi e il gelso fuori dai confini del Paese. Il prodotto era apprezzato e ambito a occidente della Cina (che gli antichi Romani chiamavano Paese dei Seri, ossia produttori di seta), ed era esportato soprattutto con la mediazione dei mercanti arabi lungo le vie carovaniere non a caso chiamate Vie della Seta; in quella che oggi definiamo “bilancia dei pagamenti” la seta fu per la Cina una vera benedizione commerciale, e fu questo il motivo principale che spinse a mantenere nascosto e inaccessibile tutto ciò che ruotava attorno ad essa. Fino all’anno 552.
In quell’anno, sull’impero romano d’Oriente regnava l’imperatore Giustiniano I (482-565), detto il Grande, famoso non solo per avere fatto compilare il Corpus Iuris Civilis, per le sue guerre contro i Vandali e gli Ostrogoti d’Italia ma anche per avere varato una legge che consentiva agli aristocratici di sposarsi al di fuori della propria classe sociale, legge che gli permise di prendere per moglie Teodora (497-548), figlia di un guardiano di orsi, che prima di diventare imperatrice fu prostituta e attrice. Ebbene, secondo gli storici dell’epoca Procopio di Cesarea (c.490 – c.565) e Teofano di Bisanzio (sec. VI), nel 552, due frati di ritorno dalla Cina raccontarono all’imperatore il processo per produrre la seta, dichiarando che bisognava partire da insetti particolari (Bombix mori) che si nutrivano esclusivamente delle foglie a forma di platano di un certo tipo di gelso (Morus bombycis), e che entrambe queste specie (l’animaletto e la pianta) si trovavano soltanto in Cina (in realtà, esistevano anche in Mongolia, Corea e Giappone, ma a quei tempi erano terre semisconosciute e misteriose ancor più della Cina). Giustiniano, allora, comandò ai frati di procurarsi le uova del baco e i semi di gelso; i due emissari si recarono nuovamente in Cina e ritornarono a Costantinopoli con uova e semi che avevano nascosto nella cavità dei loro bastoni da passeggio. Cominciò così l’introduzione della sericoltura nel vicino Oriente e nel tempo in tutto l’Occidente.
Leggenda o verità che sia, questo episodio dei frati e del loro furto di tecnologia è stato riproposto da storici contemporanei del calibro di G. Ostrogorsky e J. B. Bury, tra i massimi esperti del periodo bizantino. Siamo dunque di fronte al primo caso documentato di spionaggio industriale ai danni della Cina.
Ritornando all’oggi, penso alla querelle tra l’amministrazione Trump e Huawei Technologies Co. Ltd., azienda cinese specializzata in tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, accusata di volersi impossessare di dati sensibili inserendo nei telefonini che esporta, diavolerie elettroniche di spionaggio. L’accusa non è nuova: da diversi decenni la Cina è incolpata di rubare tecnologia all’Occidente. Ma non bisogna stupirsi troppo. Tutto questo spiare e copiare attribuito alla Cina, non solo rientra nelle dinamiche della concorrenza sleale, che è una delle caratteristiche della jungla spietata in cui il capitalismo ci ha gettato ma, pensando a Giustiniano I e a quei ladruncoli dei suoi fraticelli, è anche una nemesi storica. Un po’ come dire: chi la fa l’aspetti!
*Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015) e “Il dio dell’I-Ching” (2017).