Se volete avere una chicca d’eccezione nella vostra biblioteca, mi permetto di consigliarvi – se non l’avete già – China Monumentis Illustrata di Athanasius Kircher (1602-1680), splendidamente illustrato. La prima edizione originale in latino è stata stampata ad Amsterdam nel 1667 seguita dall’edizione in olandese (1668), inglese (1669) e francese (1670), e le copie in circolazione sono gelosamente conservate in biblioteche private o pubbliche anche se da alcune di queste ultime sono fraudolentemente scomparse. Dal 1980, in diversi Paesi, sono state pubblicate riproduzioni anastatiche dell’opera, e dunque, senza svenarsi, si può realizzare il desiderio di possederne un esemplare seppure non d’epoca.
Ma chi era Athanasius Kircher, e in cosa consiste China Monumentis Illustrata di cui sto facendo il panegirico come un imbonitore? Kircher era un gesuita tedesco che, dal chiuso del Collegio Romano in cui visse e insegnò matematica, fisica e lingue orientali per buona parte della sua vita, raccolse una mole inimmaginabile di materiali che coprivano numerosi campi del sapere, creando addirittura un cabinet des curiosité, un museo vero e proprio i cui fantastici reperti andarono successivamente dispersi o collocati in altri musei. Egli era astronomo, biblista, biologo, compositore, costruttore di strumenti musicali, egittologo, etnografo, fisico, geografo, geologo, inventore, linguista, matematico, medico, museologo, musicologo, naturalista, storico, teologo; cercò di razionalizzare i fenomeni fisici scatenando la sua logorroica inventiva per catalogarli in termini talmente complicati che non ebbero nessun impiego nella scienza delle epoche successive: Sciagnomica (scienza della misura delle ombre), Actinobolismo (studio della propagazione delle radiazioni) suddiviso in Cromatica (scienza dei colori), Echocamptica (teoria del suono) e Osmetica (teoria degli odori), Anacamptica (riflessione delle radiazioni), Anaclastica (rifrazione e deviazioni delle radiazioni), etc.
Insomma, Kircher fu uno degli ultimi rappresentanti di quel sapere universale che caratterizzò alcuni uomini di cultura preilluministi, prima che le conoscenze si dividessero in discipline separate e spesso non comunicanti.
Quando la sua domanda di recarsi in Cina come missionario fu rifiutata dal Generale della Compagnia di Gesù – tanto era importante la sua opera didattica in seno al Collegio Romano – egli, affascinato dalle notizie che giungevano da quel mondo lontano e ancora quasi del tutto sconosciuto, iniziò una stretta corrispondenza con i gesuiti della missione cinese, e raccolse ogni informazione possibile dall’opera di Matteo Ricci e dai rapporti di missione (lettere annue) che giungevano a Roma. Cominciò quindi la stesura della sua opera, China monumentis qua sacris qua profanis, nec non variis naturae et artis spectaculis, aliarumque rerum memorabilium argumentis illustrata (più nota come China Monumentis Illustrata o semplicemente China Illustrata), una vera e propria enciclopedia sulla Cina, sui suoi usi e costumi, la cultura, la scrittura, la storia, la vita quotidiana, l’architettura ; la fauna, la flora, i mestieri, le arti, etc.
Essendo Kircher un appassionato studioso dell’Egitto antico, e avendo la ferma convinzione che l’Egitto fosse la sorgente di tutte le civiltà, elaborò una teoria tesa a dimostrare che Cam, figlio di Noè, dopo il Diluvio era diventato faraone e aveva avuto per consigliere Ermete Trimegisto (leggendario e mistico maestro di sapienza dell’antichità) il quale, sempre secondo Kircher, altro non era che Mosè. Sarebbe stato Cam a condurre il suo popolo in Cina, a fondarvi una colonia, introducendo i geroglifici (evoluti poi in caratteri cinesi) e le divinità del vasto pantheon egiziano che divennero poi i tanti dei o guardiani, o bodhisatva o altre mitiche figure di riferimento che popolavano taoismo e buddismo; Confucio, poi, altro non sarebbe stato se non la versione cinese di Ermete Trimegisto.
Tutto l’impianto di ragionamenti di Kircher supportati da “prove” letterarie e grafiche per lui innegabili, servivano a dimostrare che la Cina aveva conosciuto il cristianesimo fin dai tempi più remoti, e che quindi le missioni dei gesuiti servivano a far riscoprire le radici religiose dei Cinesi, e che negli stessi testi classici su cui si reggeva la cultura tradizionale dell’impero si potevano trovare tracce della Rivelazione. Insomma, China Monumentis Illustrata non serviva a mostrare la Cina com’era realmente, ma piuttosto a farla vedere come si sarebbe voluto che fosse, ossia un Paese in cui il cristianesimo era sempre esistito.
Se China Monumentis Illustrata fu per più di un secolo il testo più prestigioso per chi avesse voluto avere notizie sulla Cina, e se la questione della diffusione del cristianesimo in Cina prima dei nestoriani e dei gesuiti scatenò un dibattito acceso tra gli stessi gesuiti favorevoli o contrari all’influenza egizia, nulla di ciò che Kircher sosteneva è stato mai realmente appoggiato da prove documentarie, e le sue conclusioni rimangono soltanto una sfavillante teoria di un geniale pensatore. Tuttavia…
Eh, sì, tuttavia che qualcosa di vero ci sia nelle conclusioni di Kircher qualcuno ancora si sforza di dimostrarlo perché, piaccia o no, la situazione è la sjeguente: in Cina ci sono più piramidi che in Egitto. Infatti, a tutt’oggi, nell’ex Celeste Impero ne sono state scoperte tra le 250 e le 400 o addirittura 2000 (contando quelle di modeste o modestissime dimensioni), mentre nella terra dei faraoni appena 138. Resta inteso che in archeologia la piramide non è soltanto quella che viene subito in mente, ossia una costruzione poligonale a base generalmente quadrata con un vertice oppure tronca, ma anche un tumulo, come una collina naturale o artificiale, di una certa altezza, che sia stata lavorato dall’uomo allo scopo di avere camminamenti esterni, spazi rituali interni e camere funerarie con corridoi di comunicazione. Le piramidi cinesi sono quasi tutte di questo secondo tipo, non costruite in pietra, dunque, ma prevalentemente di argilla e terra.
Le prima notizie su queste strutture piramidali in Cina la diede proprio Athanasius Kircher in China Monumentis Illustrata; esse furono ripresa nel 1741 dallo storico delle religioni l’abate Antoine Banier, nell’opera Histoire générale des cérémonies religieuses de tous les peuples du monde. Le prime evidenze archeologiche sono del 1910 – quando Fred Meyer Schroder e Oscar Maman ne scoprirono un centinaio nei pressi della città di Xi’an -, e del 1914 durante la seconda missione Segalen che evidenziò una decina di tumuli funerari piramidali fra cui quello del re di Wu (circa 1122 a.C.), un’imponente struttura su una superficie di 5 ettari di terreno, circondato da un fossato con acqua.
Il 18 marzo 1947, il New York Times pubblicò una fotografia aerea scattata tre anni prima di una piramide tronca esistente nei monti Qinling non distanti da Xi’an; l’autore della foto era James Gaussman, pilota della USA Air Force. Le dimensioni di questa piramide a base quadrata (450 m di lunghezza per lato, 300 m di altezza), di gran lunga più grande di quella di Cheope, ne fecero un caso emblematico, e numerose furono nei decenni successivi le pubblicazioni a essa dedicate. Questa costruzione viene chiamata “Piramide Bianca”; sarebbe stata costruita circa quattromila anni fa (dinastia Xia) ma nessuno può avvicinarsi perché si trova in un’area che ospita una rampa di lancio per razzi interspaziali. Anche molte altre piramidi, da decenni, sono inaccessibili mentre alcune – come la collina-mausoleo del Primo Imperatore e altri noti tumuli tombali – sono ora oggetto di studi approfonditi e in buona parte visitabili (anche se, per esempio, la tomba del Primo Imperatore non è stata ancora aperta dagli archeologi).
Recentemente, grazie alle possibilità date dalle osservazioni satellitari, alcuni ricercatori stanno esaminando palmo a palmo la superficie della Cina per scoprire strutture piramidali. Tutte sembrano costruite in terra e argilla dall’uomo, alcune sono a gradini, altre ancora risultano essere delle colline sulle quali è stato realizzato un rimboschimento massiccio negli ultimi anni, come per celarle e non mostrare che si tratta di strutture naturali rimaneggiate da mani umane. Insomma, il quasi-mistero delle piramidi cinesi appassiona ancora e, quando si avranno molti altri dati a disposizione, chissà che non ci rivelino novità eclatanti, anche se l’affascinante teoria kircheriana sull’origine egizia dei Cinesi resta per ora del tutto indimostrata.
Teorie più vicine a noi che coniugano topografia e astronomia, mettono in relazione la posizione delle piramidi cinesi con l’allineamento di certe costellazioni; è il caso del ricercatore britannico Graham Hancock; autore di numerose pubblicazioni su questo soggetto egli ha dimostrato che la disposizione di alcune piramidi nei pressi di Xi’an coincide con la posizione della costellazione dei Gemelli qual era diecimila e cinquecento anni prima di Cristo. Altre teorie, spingendosi più lontano, tirano fuori gli extraterrestri per spiegare che soltanto civiltà aliene avanzatissime avrebbero potuto ideare strutture del genere in tempi tanto antichi, quando furono costruiti o lavorati i tumuli. Insomma, gli stessi discorsi che si fanno per le piramidi egizie trovano spazio per quelle cinesi e pongono i medesimi interrogativi appassionanti sul passato dell’umanità.
Comunque, se le affinità tra le piramidi egizie e quelle scoperte in Cina, e tra i geroglifici e i caratteri della scrittura cinese sembrano per ora soltanto esercizi di azzardata e intelligente speculazione culturale, c’è stato un periodo in cui, per davvero, Egiziani e Cinesi si trovarono in stretta relazione: quando furono sottoposti a un analogo rigetto da parte delle grandi e piccole nazioni del mondo. Infatti, nel 1966, lanciata la Rivoluzione Culturale, la Repubblica Popolare Cinese cominciò a richiamare i propri ambasciatori in patria; nel 1967, l’unica rappresentanza che lasciò aperta in un Paese non socialista, fu quella del Cairo. La scelta di mantenere l’ambasciata al Cairo fu politica (nel 1956 l’Egitto aveva nazionalizzato il Canale di Suez ed era stato perciò bandito dalle relazioni diplomatiche europee, andava quindi sostenuto) e nello stesso tempo frutto di una strategia economica: proprio dall’Egitto, nel 1963, Zhou Enlai aveva cominciato il suo tour africano per impiantare un’antenna economica in Africa e dare un colpo di acceleratore alle importazioni dal Continente Nero di Cobalto per le nascenti industrie cinesi di batterie, e Rame, ottimo conduttore, che era impiegato nelle leghe, negli scambiatori di calore, trasporto di elettricità e soprattutto per le telecomunicazioni.
All’epoca di Kircher, il Cobalto era utilizzato per la colorazione specialmente dei vetri, ma il Rame aveva un vastissimo impiego: per il suo basso punto di fusione era il principe delle leghe – per esempio, con Stagno forma il bronzo – e costituiva l’elemento principale delle comuni monete in circolazione in tutti i Paesi allora conosciuti. Non c’era Nazione che non ne andasse a caccia.
Rame, dunque, il trait-d’union tra Egitto e Cina, altro che geroglifici e piramidi! A proposito: quanto ne usò Kircher per le incisioni che ornano le sue opere raccolte in trentatré splendidi libri? Difficile da calcolare, ma sicuramente tantissimo! Se avesse immaginato che era quello l’elemento che circa tre secoli dopo avrebbe messo concretamente in relazione la terra dei faraoni con quella del Celeste Impero, chissà quale teoria avrebbe tirato fuori e come l’avrebbe illustrata con arte, facendo la gioia dei bibliomani.
Di Isaia Iannaccone*
*Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)