La storia del diario di Silvia Calamandrei, nipote del giurista suo nonno fu Piero Calamandrei, nonché sinologa, traduttrice, scrittrice e saggista, che nel 1953 si ritrovò catapultata nella Cina maoista ancora bambina.
Gli Autori ce l’avrebbero voluto venderla così: Alessandro Manzoni non ha scritto I promessi sposi, né Umberto Eco In nome della rosa; infatti, entrambi, all’inizio della loro opera più nota, dichiarano di avere trovato un manoscritto e di averlo semplicemente ripulito dalle incrostazioni retoriche, aggiornato gli arcaicismi, e reso più leggibile per i venticinque lettori di Manzoni e i circa sessanta milioni in tutto il mondo per Eco. Ma questi grandi scrittori non ci hanno mai fatto fessi perché – lo sappiamo – quello dell’antico manoscritto ritrovato è un espediente letterario da vecchio marpione.
Ci sono, poi, autori noti che non hanno mai negato la paternità delle loro righe, ma alcune loro opere sono rimaste sconosciute e neglette per vari motivi, e poi sono sbucate all’improvviso da armadi polverosi, biblioteche, archivi, oppure fra pagine di volumi che nessuno apriva da decenni o secoli. È il caso, ad esempio, di due manoscritti di Emily Brontë; il primo di essi, ritrovato per caso nel libro The Remains of Henry Kirke White e databile al 1833, è risultato molto importante per i brontologi (quant’è brutta ’sta parola!) perché rappresenta l’inizio della collaborazione letteraria tra la scrittrice e il fratello Branwell che darà vita alla saga di Angria.
A titolo di altri esempi, potremmo aggiungere alla lista (lunghissima) i rotoli del Mar Morto scoperti nel 1947 a Qumran; il manoscritto di Nostradamus (secolo XVI) scomparso dal Centro Studi Storici dei Barnabiti a Roma e ricomparso in una casa d’aste tedesca dopo una decina di anni; gli appunti di Karl Gustav Jung in due fascicoletti ritrovati per caso a Basilea, che rappresentano gli spunti da cui lo scienziato del profondo trarrà Tipi psicologici e il capolavoro Psicopatologia generale; i manoscritti inediti di Céline che erano scomparsi nel 1944, e hanno alle spalle una storia di trafugamenti e promesse di pubblicazione non mantenute; e che dire del Il diario di Anna Frank ritrovato nel ricovero segreto della vittima innocente della follia umana, e poi consegnato al padre, unico superstite della famiglia?
Tra i manoscritti d’autore perduti e ritrovati ce n’è uno di cui voglio raccontare la storia quasi fiabesca. Mi riferisco ai diari scritti in Cina tra gli anni 1953-1956 da una bambina italiana che si trovava a Pechino al seguito dei suoi genitori giornalisti. L’inizio della storia la rubo da un articolo di Wu Xuezhao 吴学昭 pubblicato a Shanghai sul Guangming ribao 光明日报: «…Silvia è arrivata a Pechino nel 1953, quando aveva sei anni. I suoi genitori, Franco Calamandrei e Maria Teresa Regard, erano corrispondenti del “l’Unità” e del “Nuovo Corriere”. La nuova Cina era stata appena fondata e non esistevano ancora relazioni diplomatiche tra la Repubblica italiana e la Repubblica Popolare Cinese: le corrispondenze e i rapporti dei Calamandrei e di altri italiani svolsero una funzione importante per far conoscere la Cina in Italia e promuovere i rapporti commerciali e culturali tra i due Paesi. La famiglia viveva all’epoca nella strada del Mercato del Riso (Mishe), all’Albergo del Nord (Beifang Fandian) … Silvia andava a scuola nelle vicinanze, nel vicolo della Famiglia Shi (Shijia)…»
La bambina in questione, Silvia Calamandrei, oggi è nota sinologa, traduttrice, scrittrice, saggista, promotrice di scambi culturali e divulgatrice della cultura cinese; suo nonno fu Piero Calamandrei (1889-1956) – giurista di fama, antifascista rigoroso, impegnato parlamentare nei partiti di sinistra – e i genitori due attivi membri della Resistenza Italiana. Con questo background familiare che la indirizzerà nella vita, nel 1953 la piccola Silvia si trova catapultata nella Cina maoista nei primi anni della Repubblica Popolare; una Cina, quella che vive la bambina, che faticava per uscire dal medioevo, dal colonialismo, dalla guerra civile, mettendo in atto politiche rivoluzionarie quali il dare le terre ai contadini, la collettivizzazione forzata che avrebbe portato alla creazione delle Comuni Popolari, il primo Piano Quinquennale su modello sovietico, campagne contro gli elementi di destra per eliminare i controrivoluzionari e gli intellettuali non comunisti. Che tempi! Il Comunismo prometteva la fine dello sfruttamento dell’Uomo sull’Uomo, e l’emancipazione. Ma era esattamente questo che dal Comunismo voleva la piccola Silvia? Vediamo…
La bimba, dunque, è iscritta alla scuola elementare e, unica straniera, frequenta i corsi con il nome cinese di Jia Yihua 贾忆华. E che combina questa figlia e nipote di intellettuali impegnati politicamente? A modo suo fa anche lei l’intellettuale impegnata politicamente: invia in Italia cronache che saranno pubblicate da Gianni Rodari sulla rivista Il Pioniere, e comincia a scrivere un diario – un manoscritto, dunque – in cui riversa pensieri, racconti di vita vissuta, sensazioni, osservazioni sulla vita in Cina, progetti, etc. Prima di curiosare fra le pagine del diario di Silvia Calamandrei, seguiamo la storia di questi quadernucci infantili, e vedrete che dal punto di vista della loro avventura, non hanno nulla da invidiare ai rotoli del Mar Morto…
Il fato vuole che i quaderni di Silvia, non si sa bene quando, vengano smarriti, forse in uno dei suoi traslochi. Finché qualche anno fa, a distanza siderale da quando fu scritto, il figlio le comunica di avere trovato in rete un suo diario che da bambina, aveva composto in Cina. Fatta una veloce ricerca, il sito che proponeva questo reperto si rivela essere una libreria antiquaria romana: i responsabili dichiarano di avere acquistato il lotto di appunti e agende al mercato di Porta Portese e, con grande cortesia restituiscono il materiale a Silvia Calamandrei. Su esso, la sinologa basa una pubblicazione che si chiama Attraverso lo specchio. Cina. Andate-Ritorni (Edizioni di Storia e Letteratura, 2021), da cui traggo tutte le citazioni di questa Pillola. Nel libro, oltre alla riproduzione di buona parte dei diari infantili, l’autrice narra il suo percorso di formazione con i suoi studi in Cina in età adulta, il suo impegno politico, la sua appassionata adesione alle istanze maoiste e il disincanto.
Attraverso lo specchio. Cina. Andate-Ritorni va senz’altro letto per intero se si vogliono percorrere gli ultimi decenni di rapporti tra donne e uomini di cultura italiani e cinesi, e seguire il tormento di una generazione – la mia – che rimase delusa (e anche arrabbiata) perché neanche i Cinesi – ultima spes – realizzarono il Comunismo, ossia quella società ideale che nessuno era stato capace di concretizzare in Occidente. Dal canto mio, in questa Pillola, mi limiterò, leggendo alcune righe del diario infantile di Silvia Calamandrei, a cercare cosa, la bambina, scolara in Cina, desiderasse veramente da questo benedetto Comunismo…
Torniamo dunque al diario. La piccola Silvia è ligia al dovere, rispettosa, entusiasta della esperienza con i piccoli compagni cinesi con cui ama giocare. Dalla scuola viene indottrinata, e sollecitata a prendere posizione; per esempio, conosce la differenza tra il Partito Comunista e il Kuomintang (Guomintang), infatti va al cinema e annota: «Il film parlava di alcuni soldati che trovano delle orme che venivano di là della frontiera, e all’ultimo acchiappano 3 spie del Kuomintang.»
C’è l’aspetto sociale: i bambini partecipano attivamente alle campagne contro la proprietà privata e la proliferazione degli animali dannosi per la salute e per l’igiene (le quattro pesti): «In questi giorni si fanno sempre manifestazioni e sfilate, perché tutti i negozi privati sono diventati dello stato. Le sfilate passano quasi ogni giorno davanti a casa nostra. Poi in questo anno tutti i passeri, le mosche, le zanzare e i topi devono sparire. A scuola moltissimi hanno preso dei passerotti. Se ne prendi uno lo porti in un posto e ti danno due fen.»
Pochi giorni prima di rientrare in Italia e concludere quel primo precoce e intenso soggiorno in Cina, Silvia aveva come principale preoccupazione i risultati scolastici perché da essi dipendeva una cosa molto importante per lei: l’ammissione ai Giovani Pionieri. Scrive: «6 aprile. Il pomeriggio ho domandato alla maestra se posso diventare pioniera prima. La maestra ha detto che domanderà. La mamma ha detto che ho fatto molto male.» Ecco svelato un desiderio, anzi il desiderio: Silvia ambisce a diventare Pioniera, ossia membro dei Giovani Pionieri di Cina (Zhongguo shaonian xianfengdui 中國少年先鋒隊 ; semplificato 中国少年先锋队). Ma chi sono questi Pionieri? Sono ragazzi tra i 6 e i 14 anni che per meriti vengono ammessi al movimento giovanile che è sotto l’egida della Lega della Gioventù Comunista Cinese, ossia del Partito. La loro organizzazione è simile a quella dei nostri scout, ed essi partecipano attivamente alla vita sociale del Paese senza trascurare momenti di formazione e momenti ludici. I Pionieri sono un mito, ed entrare nei loro ranghi è il sogno di ogni bambino. Il simbolo dei Pionieri è il fazzoletto rosso al collo.
Con dovizia di particolari, Silvia narra dell’inaugurazione del Palazzo dei Pionieri, dello scambio di fazzoletti rossi tra bimbi cinesi e sovietici, delle danze di bambini ucraini e del Xinjiang per cementare l’amicizia fra i giovani e valorizzare le minoranze nazionali. Tutto ruota attorno al fazzoletto-simbolo che ormai è diventato per la bambina l’oscuro oggetto del desiderio.
A un certo punto, Silvia annota che nella sua classe di classe di 61 bambini, i Pionieri sono 30. E lei ancora non è ancora fra loro! Si capisce che è frustrata per questo, deve rientrare in Italia e non ha ancora il fazzoletto rosso che incarna, per lei, la somma ricompensa che certifica che anche lei è comunista, parte integrante di un eroico popolo che lotta per il futuro. E poi, e poi la svolta. Finalmente, dopo un’attesa spasmodica, anche lei sarà ammessa in questo circolo virtuoso. Infatti, il 17 giugno annota: «Oggi sono diventata pioniera! In tutto 12 bambini della nostra classe sono diventati pionieri. Abbiamo fatto il giuramento, poi la dirigente dei pionieri ci ha messo il fazzoletto rosso. Tutti hanno battuto le mani. Poi sono arrivati i lavoratori modello. Uno aveva nove medaglie! Ognuno ci ha raccontato la sua storia, e come lavora. Poi abbiamo fatto delle rappresentazioni.»
Uff, Silvia ha avuto il fazzoletto rosso, ce l’ha fatta! Viva il Comunismo!
Di Isaia Iannaccone*
**Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)