Cina - Ucraina

Pillole di Cina – Ucraina: Cosa farà la Cina?

In Cina, Cultura, Pillole di Cina by Isaia Iannaccone

Cina – Ucraina: Nella guerra scatenata dalla Russia che ha aggredito l’Ucraina, cosa farà la Cina? Nessuno lo sa. Ma coloro che ragionano di Cina, quelli che parlano con la Cina, quelli che pretendono di prevedere le mosse dei Cinesi, non utilizzino soltanto la scala dei valori occidentali e unicamente le nostre unità di misura.

 

La Russia ha aggredito l’Ucraina. È guerra.

Nei cieli, sirene e ordigni. Al suolo il fango infanga i cingoli dei carrarmati, gli stivali e i corpi dei caduti. I palazzi delle città ardono come torce illuminando le grate degli scantinati nei quali si rifugiano esseri umani che più umani non si può. Uno spettro si aggira per l’Europa, ha le fattezze del fungo atomico.

La comunità internazionale reagisce in qualche modo. Molti guardano alla Cina e si pongono l’interrogativo: cosa farà? A tutt’oggi, non lo sappiamo, i nostri dirigenti europei non lo sanno. Nelle cancellerie e nei bar abbondano le ipotesi. Mai come in questi momenti ci si rende conto che la Cina e i suoi governanti sono un enigma, ne sappiamo troppo poco per decifrare il Paese, niente per prevederne con certezza le mosse. D’altronde, nei nostri libri di Storia non è mai comparsa la Cina, è stata trascurata e, quelle rare volte che la s’incontra, sembra uscita da un riassuntino elementare.

Eppure, la Storia potrebbe aiutarci, se non a prevedere almeno a conoscere qualcosa e forse a comprendere almeno in parte un Paese che ha sempre usato unità di misura molto diverse dalle nostre, e su queste unità di misure sinocentriche interpreta la realtà: se si prende una carta del mondo stampata in Cina, al centro non c’è la cara, vecchia Europa ma Zhongguo 中国 , il Paese di Centro, proprio la Cina; noi siamo collocati sulla sinistra di questa mappa, all’estremità ovest, una macchia colorata grande quanto l’Islanda sulle nostre carte eurocentriche. Magari, già il parlare di questa differenza di punti di vista potrebbe aiutarci a valutare le differenze e magari a farci esprimere giudizi più ponderati sulla Cina e, chissà, azzeccare qualche previsione. Lavorando, però, affinché la Cina ci dedichi la stessa considerazione e lo stesso rispetto.

Il primo dato che colpisce è la VASTITÀ.

Non ci interessa, qui, dare i chilometri quadrati della Repubblica Popolare Cinese ma constatare l’evidente immensità del territorio che chiamiamo Cina, e aggiungere subito dopo che nessuno, nella storia europea ha mai governato su un contesto naturale e ambientale grande quanto quello cinese.

In altri termini, nel corso della Storia, in Francia, Inghilterra, nell’Europa Centrale o in Russia, che si siano chiamati Capetingi, Plantageneti, Trastamara, Borbone, Anjou, Asburgo Romanov o in qualunque altro modo, i regnanti hanno controllato e dominato Paesi minuscoli rispetto a quello guidato da dinastie come i Qin, Han, Tang, Sui, Song Yuan, Ming, Qing tanto per citare le più note. Per duemila anni i sovrani del Celeste Impero gestirono un monopolio territoriale del cui gigantismo gli Occidentali cominciarono timidamente a rendersi conto soltanto quattro secoli fa, e appena da un secolo ne hanno coscientemente realizzato tutta la sua ampiezza.

Al monopolio territoriale si abbinò il MONOPOLIO DI GOVERNO. Lo dico nella maniera efficace con cui lo sintetizzò John King Fairbank (1907-1991) a chi ebbe il privilegio di seguirne lezioni e seminari: «Il clan Liu diede tredici imperatori agli Han Occidentali e quattordici agli Han Orientali; il clan Li ne diede ventité ai Tang, e il clan Zhu diciassette alla dinastia Ming; quanto al lignaggio Asin Gioro, esso fornì nove imperatori mancesi.» Quante discendenze reali o imperiali europee, quali famiglie politiche possono vantare una continuità numerica e temporale di questa grandezza?

Altro dato: CENTRALIZZAZIONE. Il sistema di governo dell’impero cinese fu, a partire del già citato III secolo a. C., sempre centralizzato, con un apparato amministrativo uniforme talmente efficiente che al cambio dinastico non fu mai messo in discussione neanche dalle dinastie cosiddette “barbare”, anzi fu rispettato e adottato. L’unico paragone che si tenta fra la continuità dei metodi di governo centralizzati tra la Cina e l’Europa, è l’impero romano coevo della dinastia Han.

La differenza però è enorme, ed è da ricercare nello statuto di un imperatore occidentale rispetto a quello cinese: se è vero che si sono avuti imperatori nell’antica Roma e poi in Francia, in Russia, in Austria-Ungheria, in Germania e l’impero britannico, e re in nazioni occidentali più o meno grandi, o più o meno piccole, tutti riconoscevano come legittimi i sovrani degli altri Stati; invece, nel concetto del Mandato Celeste imperiale cinese è sempre esistito soltanto un unico imperatore – quello cinese – attorno a cui dovevano ruotare tutti i popoli della Terra, così come tutti i corpi celesti ruotano attorno alla Stella Polare, unico perno dell’Universo. Il microcosmo deve riflettere l’organizzazione e la perfezione del macrocosmo, e la Terra altro non è che il riflesso del Cielo. Non a caso, l’astronomia, nell’antica Cina, era una scienza gestita da un ufficio sotto il controllo diretto dell’imperatore, e quando cambiava dinastia, gli astronomi e i matematici erano gli unici funzionari che non perdevano il posto né la testa.

E c’è il dato della AUTARCHIA CULTURALE. Dico Cultura e intendo tecnologia, musica, belle arti, religioni, filosofia, architettura, scienze, giurisprudenza… Nessun dirigente europeo ha mai potuto rivendicare l’originalità complessiva della cultura del proprio Paese perché tutti sono stati allo stesso tempo debitori e creditori l’un l’altro di istanze, stimoli, invenzioni, guizzi geniali, pensieri fondanti che si sono mescolati per osmosi dando vita a una cultura europea; e quando qualcuno ha provato a rivendicare la “cultura nazionale” come più importante e migliore delle cosiddette “altre”, sappiamo tutti che cosa questi aneliti nazionalisti hanno scatenato.

Non è stato così in Cina dove si è formata un’unica cultura dominante, quella ufficiale sotto l’ombrello protettivo del Figlio del Cielo. Certo, anche la cultura cinese è stata influenzata da apporti etnici vari, ma in modo diverso. Pensiamo, per esempio al Buddhismo arrivato in Cina dal continente indiano dopo circa sei secoli dalla sua nascita: ebbene in Cina si è completamente trasformato dando origine alla più nota delle scuole di questa religione, la Chan, che in Occidente è ben con il suo nome giapponese di Zen; per non parlare della scultura monumentale buddhista che è nata proprio in Cina e ha stravolto i canoni di una religione che all’origine non prevedeva la rappresentazione del sacro. E faccio anche l’esempio della tecnologia del bronzo che, derivata dalle culture del fuoco siberiane – o per altri ricercatori dalla metallurgia proveniente dall’area thailandese – trovò in Cina, già più di tremila anni fa, soluzioni tecniche e magnificenze decorative che nessun’altra civiltà mai eguagliò.

Insomma, come una spugna, la Cina ha preso, sì, elementi culturali dagli altri ma li ha completamente sinizzati, ossia reinventati alla cinese, fatti propri ed esportati nelle aree contigue e, per le vie commerciali, nel mondo. Non mi dilungo ma rimando a un altro maestro che ha speso tutta la sua vita per capire e spiegare tutto questo: Joseph Needham (1900-1995), che ci ha insegnato come si applica il metodo scientifico alla ricerca umanistica, e con la collaborazione di un team di esperti di numerose branche del sapere umano, ha dedicato all’evoluzione delle tecniche e delle scienze cinesi un’enciclopedia – una Bibbia, direi – che ha per ora una ventina di volumi ed è in ampliamento (Science and Civilisation in China).

Certo, oggi, nel terzo millennio, con l’educazione pubblica generalizzata, internet che ha aperto le frontiere delle comunicazioni in modo che sarebbe stato impensabile nel passato, gli scambi globali non soltanto di merci ma anche di informazioni e messaggi culturali, le cose sono cambiate: ci sono elementi che consentono alle menti e alle coscienze, se lo vogliono, di saperne di più ed essere aperte. Ma se ritorno, al quesito iniziale, quello che dà il titolo a questa Pillola: nella guerra scatenata dalla Russia che ha aggredito l’Ucraina, cosa farà la Cina? Non posso che ripetere: non lo so, non lo sappiamo. Ma resto sempre del mio avviso: coloro che ragionano di Cina, quelli che parlano con la Cina, quelli che pretendono di prevedere le mosse dei Cinesi, non utilizzino soltanto la scala dei valori occidentali e unicamente le nostre unità di misura.

La Cina: un Paese che per duemila anni ha proiettato in tutto l’Estremo Oriente la sua cultura dominante. È con questa Cina che dobbiamo fare i conti. Dunque, studiamola meglio e senza pregiudizi. E, ripeto, lavorando affinché la Cina ci dedichi la stessa considerazione e lo stesso rispetto.

Di Isaia Iannaccone*

**Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)