Il titolo di questa Pillola forse interrogherà qualcuno dei miei venticinque lettori. Come fanno il cielo e la Terra a dare soldi, o almeno a richiamarli in qualche modo? Per dimostrare questa specie di equazione devo partire da lontano. Se avete pazienza seguitemi. E va da sé che, parlando di soldi, vi dirò qualcosa sull’economia monetaria dell’antica Cina.
La prima forma di moneta usata in Cina fu, così come in altre civiltà, la comunissima conchiglia cauri (Cypraea moneta); la troviamo nei siti archeologici d’Africa, Oceania, Asia, Europa. Questa conchiglia, accanto ad altre monete in corso, fu usata negli scambi commerciali anche in epoca medievale e fino al secolo XVIII; un ricercatore tedesco del secolo scorso (Franz Alfred Schilder) ci ha informato che ancora nel 1900, cento cauri avevano un loro valore ufficiale in oro. I cauri, pescati in grandi quantità soprattutto alle Maldive, viaggiavano lungo la via delle spezie che passava per il Golfo Persico, poi nel Mediterraneo fino a giungere in Marocco dove il loro uso proseguiva lungo le piste carovaniere nell’Africa profonda.
Ma perché fu proprio il cauri a essere scelto come moneta, e non un altro tipo di conchiglia? Sicuramente perché lucido e bello, di piccole dimensioni, facilmente trasportabile anche in grande quantità, fatto di materiale resistente. Ma c’è una spiegazione molto più interessante: i cauri hanno la forma dell’organo genitale femminile, dunque erano evocatori di vita, di fertilità, di abbondanza.
Ritornando alla Cina, in molti corredi funerari di tombe neolitiche (5000-3000 a.C.) si sono trovati i cauri nella bocca dei defunti (usanza praticata anche nell’antica Grecia). Non ci sono documenti che svelino se le conchiglie venissero pescate nel Mar Cinese Meridionale o se fossero importate, certo è che accanto ai cauri naturali, in Cina si sono trovati anche dei cauri di bronzo dell’epoca della dinastia Shang (dal XVI all’XI secolo a. C.) nel sito archeologico della loro capitale Anyang (ricordiamo che a quell’epoca, la metallurgia del bronzo cinese era la più avanzata di qualunque altra civiltà coeva). Il cauri di bronzo era, all’epoca, l’unità monetaria certificata perché doveva avere un determinato peso controllato dallo Stato che lo emetteva. Una curiosità linguistica: le iscrizioni sulle ossa oracolari di epoca Shang ci dicono che il cauri cinese di bronzo era indicato dal carattere peng 朋 (rappresentava due cordicelle cui erano legati i cauri), e la parola “amico” era you 友 (due mani che si toccano in segno di amicizia e cooperazione); in documenti successivi, “amico” diviene pengyou 朋友, come a dire che il buon amico è colui che mette in comune la propria ricchezza.
Dopo l’XI secolo, in Cina il cauri fu abbandonato perché diventato più raro in natura, e gli Stati autoctoni che a quei tempi si contesero il territorio cinese cominciarono a battere ognuno la propria moneta in bronzo ma le forme di essa furono soltanto due, forme che riflettevano le caratteristiche di società basate sulla guerra e sulla coltivazione della terra: le monete del periodo che va dal secolo XI a. C. all’anno 221 a. C., periodo non a caso suddiviso in periodi chiamati Stati Combattenti e Primavere e Autunni, furono a forma di coltello o a forma di zappa. E poi…
E poi, dal nord, arrivarono le orde dei Qin che via via conquistarono Stato dopo Stato e, nel 221 a. C., unificarono per la prima volta il vasto territorio e inventarono la Cina.
L’unificazione fu resa possibile non soltanto grazie alla supremazia militare dovuta soprattutto all’uso di staffe e di efficienti briglie per governare i cavalli in battaglia, nonché da armi sofisticate come le balestre, ma soprattutto da una lucida visione politica e amministrativa: bisognava che gli Stati conquistati e posti sotto un unico dominio avessero in comune gli strumenti teorici e pratici per convivere. Così, furono unificati i pesi e le misure, gli scartamenti dei carri, la lingua scritta (i dialetti regionali impedivano la comunicazione fra le popolazioni), vennero raccordate fra loro le muraglie che proteggevano i diversi territori (nacque così l’antenata della Grande Muraglia), si impose un’unica filosofia politica di governo (fu abbandonato il confucianesimo molto diffuso negli Stati Combattenti, e fu adottato il rigido e severo legismo) e, naturalmente, fu unificata la moneta per omogenizzare i sistemi di pagamento.
La nuova moneta in uso con i Qin aveva una forma che rimase inalterata per circa duemila anni fino all’inizio del XX secolo: era rotonda con un foro quadrato al centro, coniata in bronzo e in epoche successive in rame o in alcuni casi in argento, con pesi e valori differenti ma sempre con la stessa forma. Se la rotondità della moneta è spiegabile perché è facilmente maneggiabile e, non avendo spigoli …non buca le tasche, ci si è molto interrogati su quel foro centrale quadrato. La spiegazione più valida ritiene che, essendo le monete trasportate in filze, attraverso quel buco passava il laccetto che le teneva assieme, il laccetto era di cuoio più resistente della corda, quindi ritagliato da pelle animale, quindi ancora di sezione quadrata. Ma a me piace un’altra spiegazione molto più poetica e affascinante che viene dalla storia dell’astronomia cinese.
In Cina, la più antica teoria cosmologica codificata risale al V-IV secolo a. C. Essa si chiamava Gai Tian 盖天 (cielo coperto) e descriveva l’Universo come costituito dalla Terra quadrata circondata dalle acque, e ricoperta dal cielo emisferico sul quale si muovevano i corpi celesti: in altri termini, il mondo era immaginato come una scacchiera coperta da una tazza. Probabilmente, questa teoria fu mutuata dai racconti leggendari delle popolazioni nomadiche al nord della Cina che vivevano nella steppa in una tenda; per esse, il modo più semplice per spiegare e rappresentare la forma del mondo era riprodurre il microcosmo (suolo sovrastato dalla tenda) come macrocosmo (Terra coperta dal cielo).
Ed ecco che la moneta circolare con il foro quadrato andava ben al di là della sua praticità: essa racchiudeva in sé la grandezza e la potenza dell’Universo, evocava i misteri delle cose sconosciute e grandiose, dava a chi la coniava, la batteva e la controllava – lo Stato centralizzato – un’aura di incommensurabile autorità.
Se pensiamo che oggi le monete del tipo più “avanzato” non esistono fisicamente ma sono soltanto degli evanescenti clic sulla tastiera, e meno si possono toccare con mano e più possono circolare ed essere spendibili immediatamente sull’intero pianeta, c’è da constatare che ai nostri giorni la praticità dell’unificazione monetaria virtuale non porta con sé nulla della fantastica visione della moneta rotonda con foro quadrato, nulla dell’umano sogno di tenere il mondo in tasca senza il pericolo di bucarla: niente più leggenda, niente più poesia, ma soltanto soldi, maledetti, e subito!
Di Isaia Iannaccone*
**Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)