Pietà filiale, quando il precetto diventa legge

In by Gabriele Battaglia

Con il sistema previdenziale ridotto allo stremo dalla corruzione e dalla diffusa inefficienza, il governo di Pechino ha deciso di applicare una nuova norma sulla pietà filiale. Confucio diventa legge. E su Taobao il mercato online più grande della Cina si moltiplicano offerte per l’affitto di parenti che badino agli anziani. Confucio imposto per legge. È questo il senso della nuova normativa “sulla pietà filiale”, entrata in vigore il primo luglio. Si chiama in realtà “legge per la tutela dei diritti e degli interessi degli anziani”, che “dovrebbero vivere nella casa di famiglia, dove i parenti sono tenuti a rispettarli e a prendersi cura di loro”. Non solo, la nuova misura impone anche che i membri più giovani della famiglia abbiano una particolare attenzione per i “bisogni psicologici degli anziani”, in modo che non si sentano trascurati, e dice che coloro che non vivono con i vecchietti debbano visitarli spesso e altrettanto spesso inviare loro cari saluti.

Oggi, a qualche giorno di distanza, si misurano le reazioni soprattutto a quest’ultima norma, già definita nella vivace Rete cinese “disposizione per la visita a casa spesso”.

Il Global Times riporta che proprio in Rete, sul sito di e-commerce Taobao, sono comparse inserzioni per “noleggiare un parente” che vada a trovare l’anziano trascurato. Non è uno scherzo e chi vive in Cina sa benissimo che oltre Muraglia ogni nuova legge produce immediatamente un business fatto per aggirarla, un vero e proprio indotto. In questo caso, il materialismo di mercato che si sostituisce così cinicamente agli antichi valori confuciani induce il Global Times a una chiosa che è una domanda accorata: “Provate a chiedervi: quando invecchierete, vorreste essere visitati da uno sconosciuto in nome della pietà filiale?”

Lo scrittore Yu Hua presta la propria penna al New York Times per osservare che non si può imporre per legge la pietà filiale, norma confuciana rimossa con veemenza ai tempi della Rivoluzione Culturale (1966-76): “Le dinastie imperiali cinesi hanno sottolineato l’importanza di essere fedeli ai governanti e al Paese e premurosi verso i genitori, ma quando i ‘I 24 Paragoni di pietà filiale’ [testo confuciano scritto durante la dinastia Yuan (1260–1368), ndr] è stato vietato, della fedeltà e della pietà filiale è rimasta solo la prima – la fedeltà al Partito comunista. Nel momento in cui promuove ora la pietà filiale, il Partito ignora quindi il proprio ruolo nella sua precedente soppressione e biasima il comportamento individuale per il degrado delle norme etiche, uscendosene quindi con una ridicola clausola legale per fuggire le proprie responsabilità da partito al potere negli ultimi 63 anni”.

Ma perché si vuole imporre un valore per norma giuridica? Risponde il columnist del South China Morning Post Chang Ping, secondo cui la “legge sulla pietà filiale” rivela in realtà il fallimento del welfare cinese.

“Si è scoperto che tra il 1982 e il 1996 l’autorità di Sicurezza Sociale di Shenzhen ha prelevato dal proprio fondo un totale di 1,76 miliardi di yuan [224 milioni di euro, ndr] per investimenti in 145 progetti. I funzionari hanno detto che tutto il denaro è stato restituito, con un utile di circa 1 miliardo di yuan in 14 anni – un tasso di rendimento che gli utenti di internet hanno osservato essere addirittura inferiore agli interessi bancari”.

È il problema dei troppi soldi che in Cina sono investiti male, in operazioni speculative, che non restituiscono abbastanza profitti. La mente corre immediatamente alla bolla immobiliare che anche i governi locali contribuiscono a gonfiare. “L’uso improprio di fondi di previdenza sociale – continua Chang – non è nuovo, ovviamente. Nel 2006, il caso di corruzione dell’ex segretario del Partito di Shanghai, Chen Liangyu, ha riguardato l’appropriazione indebita di miliardi di yuan di fondi pensione della città. Alla fine, quasi 30 funzionari furono arrestati e più di 20 vennero condannati”.

Secondo l’autore, anche se non ci fosse la corruzione, il fondo di sicurezza sociale della Cina sarebbe comunque a breve in crisi, dato che gli anziani in Cina saranno presto 202 milioni, cioè il 14,8 per cento della popolazione. In un rapporto sul “buco nero delle pensioni” della rivista Capital Week e della Bank of China – ricorda Chang – si legge che “il deficit pensionistico di quest’anno potrebbe raggiungere la pesante somma di 18,3 miliardi di yuan” (2 miliardi e 330 milioni di euro).

In pratica, la fine della rendita demografica (altrimenti detta “invecchiamento della popolazione”), la corruzione e le inefficienze nella gestione dei fondi di previdenza sociale fanno sì che il sistema non regga più. E quindi “il governo sta essenzialmente dicendo ai suoi cittadini: smettetela di fare affidamento sulla sicurezza sociale per i vostri bisogni previdenziali, come fanno le persone delle società moderne; assicuratevi solo di avere figli su cui ripiegare, come ai vecchi tempi”.

[Scritto per Lettera43; foto credits: upi.com]