Polemiche dopo l’aggressione a tre donne. Ma le autorità evitano di parlare di violenza di genere. Sui social monta la protesta. Sotto accusa anche la videosorveglianza che non protegge
Una campagna anticrimine di due settimane per combattere i comportamenti violenti, l’estorsione, il gioco d’azzardo, la prostituzione, e le truffe. E’ l’iniziativa avviata dai funzionari di Tangshan, città-prefettura della provincia dello Hebei, in risposta ad un caso di risonanza nazionale che ha visto tre donne sedute a un ristorante venire pestate a sangue la notte di venerdì scorso. Tutto è cominciato quando un uomo apparentemente ubriaco ha messo una mano sulla spalla di una delle ragazze, venendo bruscamente respinto. Una telecamera di sorveglianza, che ha ripreso tutta la scena, mostra chiaramente il battibecco degenerare rapidamente in rissa. Trascinate fuori dal locale, prese a calci e bottigliate in testa, due delle donne sono finite in ospedale con ferite gravi.
Il video è rimbalzato presto in rete generando l’indignazione generale. Soprattutto a causa della lentezza con cui la polizia è intervenuta dopo le prime segnalazioni. Non solo. L’attacco non sarebbe il primo caso a Tangshan: diversi residenti hanno lamentato di aver subito in passato molestie da parte di bande di malviventi e alcuni degli aggressori avevano precedenti penali.
In risposta alle polemiche, sabato le autorità provinciali hanno avviato indagini culminate in almeno nove arresti. La Commissione centrale per l’ispezione disciplinare del partito comunista ha promesso tolleranza zero per gli atti violenti che mettono in pericolo la sicurezza pubblica. Troppo tardi. Il caso ha ormai innescato un acceso dibattito con ampie implicazioni sociali.
C’è chi sul web ha messo in evidenza l’incuranza dei passanti davanti al pestaggio. Un fattore che la rivista finanziaria Caixin ha attribuito alla mancanza, in Cina, di una propensione all’azione collettiva a causa dell’ossessione del governo per la stabilità sociale: ogni forma di mobilitazioni dal basso viene scoraggiata col risultato che i cittadini si aspettano siano le autorità a intervenire per riportare l’ordine. Sui social network qualcun altro ha sottolineato come la videosorveglianza di massa – onnipresente nelle città cinesi – non sia servita a proteggere la popolazione nel momento del bisogno. Si fa inoltre largo il sospetto che la scarsa tempestività della polizia comprovi la diffusa collusione tra i funzionari locali e il crimine organizzato.
Ma ad irritare di più l’opinione pubblica è stata soprattutto la scarsa importanza attribuita alle ragazze vittima delle percosse. A giudicare dal tono dei media, infatti, la retorica ufficiale sembra aver volutamente sviare l’attenzione dal fatto che non si sia trattato di una “comune rissa”, bensì dell’ennesimo caso di violenza sulle donne. Dal 2018 ad oggi, sulla scia del #MeToo globale, le tematiche di genere hanno guadagnato una notevole visibilità sui social media cinesi, spingendo le autorità a introdurre tutele legali contro gli abusi, ma anche a reprimere sul nascere ogni forma di attivismo femminile. Solo nella giornata di sabato la piattaforma di microblogging Weibo ha reso noto di aver bloccato 265 account per violazioni varie, compreso l’incoraggiamento al “confronto di genere”. L’attacco di Tangshan “non deve essere interpretato come una forma di antagonismo sessuale” ha intimato il quotidiano statale China Daily.
In rete diversi utenti hanno associato l’accaduto alla storia della moglie disabile tenuta in catene dal marito nella provincia del Jiangsu. Qualcun altro ha ricordato il licenziamento di una dipendente di Alibaba dopo la denuncia per molestie di un collega e lo scandalo che ha coinvolto la tennista Peng Shuai, sparita per diversi giorni dopo aver accusato l’ex premier di averla costretta ad avere rapporti.
Dovendo scegliere tra l’ammettere le proprie responsabilità per la mancata tutela della sicurezza sociale e il rischio di un ritorno in auge del #MeToo, il partito sembra aver preferito la prima opzione.
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su il manifesto]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.