Perché Xiaomi punta alla doppia quotazione

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La Commissione cinese di regolamentazione dei mercati sta facendo pressioni sulla società affinché mandi in porto l’operazione a Shanghai o Shenzhen


L’ipo dell’anno sarà una doppia quotazione sia a Hong Kong e sia nella Cina continentale. La Commissione cinese di regolamentazione dei mercati sta infatti facendo pressioni su Xiaomi affinché il produttore di smartphone mandi in porto l’operazione a Shanghai o Shenzhen.

In un momento di competizione tra i listini asiatici per attrarre ipo, le autorità di Pechino non intendono perdere l’ennesima occasione dopo che in passato i colossi tecnologici del Dragone, ossia Alibaba, Tencent Holding e Baidu, hanno preferito alle due piazze locali New York o Hong Kong. Quella della società fondata da Lei Jun potrebbe aggiudicarsi la palma di ipo più grande dell’anno.

La compagnia, uno degli unicorni cinesi, è valutata tra gli 80 e i 100 miliardi di dollari. Con l’offerta pubblica iniziale prevista per la prima metà dell’anno la società prevede di raccogliere almeno 10 miliardi di dollari. Il produttore di smartphone comunque non vuole chiudersi alle spalle la possibilità di sbarcare in borsa anche a Hong Kong, anche se l’ipotesi della doppia quotazione non sarebbe vista di buon occhio dal governo.

Come sottolinea la Reuters, l’eventuale scelta di una delle due borse cinesi metterebbe comunque alla prova le regole che Pechino stessa si è data in quanto Xiaomi è domiciliata fuori dalla Cina. L’alternativa è un cambio di struttura societaria. Per l’agenzia non è però neppure escluso che, vista l’entità dell’operazione, i vertici comunisti non decidano di dare comunque l’ok.

Anche a Shanghai e Shenzhen quindi si ragiona sul come essere maggiormente competitivi. Passi in questa direzione sono già stati fatti dalle borse di Singapore e di Hong Kong. Quest’ultima ha recentemente fatto cadere le rigide norme sul diritto di voto degli azionisti che la privarono dell’ipo di Alibaba, che alla fine scelse Wall Street per lo sbarco sul listino da 25 miliardi di dollari. Il colosso dell’e-commerce ha una struttura societaria nella quale un gruppo di manager ha il controllo dell’azienda pur con un pacchetto ristretto di azioni, che quindi non si addice alle regole dell’ex colonia britannica. Le modifiche hanno già avuto effetto tant’è che lo stesso Jack Ma ha preso in considerazione l’eventualità di quotarsi anche a Hong Kong. Quanto ai listini cinesi, pur macinando operazioni scontano la mancanza di grandi ipo.

di Andrea Pira

[Pubblicato su Mf/Milano Finanza]