Il giorno precedente l’accordo dell’Unione europea con Tokyo per quanto riguarda il Jefta, il trattato di libero scambio, la delegazione dell’Ue era a Pechino in occasione del 20° Ue-China Summit.
Il summit è arrivato successivamente, di poco, all’affermazione di Trump secondo il quale il vero nemico degli Usa sarebbe proprio Bruxelles. Non è un caso che nella dichiarazione finale firmata dal presidente della Commissione europea Juncker e dal premier cinese Li Keqiang — che nell’ambito dei rapporti Ue-Cina prende il posto di Xi Jinping, a sua volta impegnato in un rilevante tour in Africa — si facciano riferimenti costanti ai mercati aperti, liberi, trasparenti — proprio in contrapposizione al protezionismo trumpiano — e ci sia un protocollo allegato relativo specificamente alle questioni climatiche e alla messa in opera del trattato di Parigi nonostante Washington si sia defilata. Senza parlare dei lusinghieri giudizi nei confronti del Wto, criticato da Trump e al quale la Cina si è appellata proprio per i dazi commerciali posti da Washington alle sue merci.
Buoni propositi, inviti ad aumentare il volume di scambio tra Ue e Cina — nonostante la bilancia commerciale penda, così come con gli Usa, a favore di Pechino. Ma quanto emerge davvero, al di là delle intenzioni e della volontà comune di tenere aperti tutti i tavoli di negoziazione — tra gli altri sulla ricerca scientifica e la cooperazione strategica — è un dato lampante: nei 44 punti complessivi e finali dell’incontro, Bruxelles regala alla Cina alcuni successi non da poco, specie se si ricorda che nei precedenti due incontri non si era arrivati a una dichiarazione congiunta a causa dei dissidi sulla questione del mar cinese meridionale, unita a uno scetticismo neanche troppo velato di Bruxelles sulla Nuova via della seta di Xi.
Nel documento finale di questo incontro del luglio 2018, intanto, si fa solo un vago riferimento alla collaborazione sul tema dei diritti umani; ancora più rilevante è il modo con il quale viene trattato il tema del mar cinese meridionale, senza fare alcun cenno alle contestate — quanto meno in Asia — operazioni militari cinesi nell’area; ma quanto davvero risulta clamoroso è il punto 3 dove si legge: «L’Unione europea riconferma la sua One China policy», legittimando i recenti atti di bullismo di Pechino nei confronti di mezzo mondo, per quanto riguarda l’isolamento completo di Taiwan e l’accettazione che l’isola venga considerata come una sorta di provincia cinese.
Come mai l’Ue è sembrata così prona alla volontà cinese? Non c’entra solo Trump, bensì la più generale strategia europea di Pechino.
Prima dell’incontro a Pechino, infatti, Li Keqiang era stato in Germania: in quell’occasione i due Paesi — la Cina è il principale partner commerciale di Berlino — avevano stretto accordi per circa 20 miliardi di euro. Oltre a questo Pechino ha consentito alcune operazioni di investimento di importanti aziende tedesche, ad esempio al colosso chimico Basf, in territorio cinese; in questo caso la Cina è venuta meno alle restrizioni che di solito usa per l’ingresso sul suo mercato di aziende straniere.
In più a margine dell’incontro di Berlino, è stata liberata Liu Xia, confermando dunque un’intesa tra Cina e Germania ben avviata dopo un periodo di minima turbolenza. E le ragioni di questo periodo più tiepido precedente all’incontro di Berlino, sono da riscontrare nell’ambito del cosiddetto 16+1, ovvero il think tank nato nel 2002 tra Cina e i Paesi dell’Europa orientale(Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia).
Poco prima di recarsi a Berlino Li Keqiang era stato a Sofia per l’incontro del 16+1, visto da sempre con sospetto dall’Unione europea, perché interpretato come un tentativo cinese di erodere la compattezza dell’Ue.
A parziale discredito cinese va detto che ancora il volume di commerci con questi Paesi è inferiore sia a Paesi asiatici, come Corea del Sud e Giappone, sia soprattutto all’Unione europea. E chi ha particolarmente a cuore questa area è proprio la Germania.
Gli ultimi incontri europei della Cina vanno dunque nella consueta direzione per quanto riguarda Pechino: dialogare con tutti e spingere in ogni ambito per la Nuova via della seta, visto che in Asia alcuni progetti cominciano a riportare i primi intoppi.
Da parte di Bruxelles — dunque — potrebbe essere maturata l’idea che, a fronte dell’America di Trump e della Russia di Putin, il rischio di ritrovarsi una potenza globale in grado di scardinare alcuni punti fermi della Ue, non debba essere percorso.
[Pubblicato su Eastwest]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.